A sentire qualcuno dell’opposizione, la risposta alla domanda di cui nel titolo parrebbe essere positiva. La risposta, da parte mia, è no. Se però mi si chiede se l’Italia sia un regime democratico, la mia risposta è, ancora, no.
Cerchiamo di fare un’analisi un po’ più approfondita, pur con tutte le critiche che si possono fare e che spero si faranno: partiamo da una definizione di regime autoritario, ovvero quella più accettata di Juan Linz.
Autoritario è un sistema politico con pluralismo politico limitato e non responsabile, senza una elaborata ideologia guida, ma con mentalità caratteristiche, senza mobilitazione politica estesa o intensa, tranne che in alcuni momenti del suo sviluppo, e con un leader o talora un piccolo gruppo che esercita il potere entro limiti formalmente mal definiti ma in realtà abbastanza prevedibili.
Va detto che questa definizione è molto generale, che serve ad identificare un genere: al suo interno, infatti, possono esservi forti diversificazioni, pur essendovi il medesimo sfondo.
Vediamo in che misura sussistono le cinque dimensioni rilevanti di un regime autoritario applicato all’Italia:
- mobilitazione: l’Italia di Silvio Berlusconi non si caratterizza per un alto grado di mobilitazione; al di fuori delle manifestazioni costruite ad hoc per omaggiare il capo, come il primo congresso del Popolo della libertà – guarda caso momento di sviluppo-, le masse non sono mobilitate. I diritti civili, politici e sociali sono, almeno formalmente, garantiti, ma l’esercizio effettivo di tali diritti è ostruito da un’informazione visibilmente controllata, e negli ultimi tempi anche dall’intimidazione, mentre le strutture delle opposizioni sono deboli e allo sbando;
- pluralismo limitato: questa dimensione attiene alla sfera della responsabilità. Laddove il pluralismo è limitato, notiamo l’esistenza di pochi attori veramente rilevanti nell’arena politica, che sistemano le questioni di responsabilità al massimo inter eos. In una liberal-democrazia di massa, la questione della responsabilità è affidata al popolo, mediante elezioni libere, competitive, corrette. Questo non avviene in Italia, basti pensare che una delle cause del declino italiano (Berlusconi, nei suoi quattro fallimentari governi) sia appunto arrivato al quarto mandato. Vuoi anche per l’incapacità dell’opposizione, gli italiani non riescono ad attribuire correttamente le responsabilità, e ciò è dovuto proprio alla mancanza di pluralismo (riducendo ai minimi termini la questione, da un lato abbiamo Berlusconi, dall’altro degli incapaci).
- mentalità caratteristiche: alzi la mano chi ha capito l’ideologia alla base del berlusconismo. Se qualcuno l’ha capito, ce lo spieghi: il berlusconismo non sembra avere alcuna ideologia (men che meno quella liberale). Ha, al massimo, mentalità caratteristiche, ovvero una serie di valori (o disvalori) che ne guidano l’agire. Piuttosto forte il populismo, oggi non più solo berlusconiano, ma pure tremontiano, brunettiano, sacconiano, ano, ano;
- leader o piccolo gruppo: credo che spiegare questo punto sia superfluo;
- limiti formalmente mal definiti: qui c’è la parte più divertente. I limiti all’esercizio del governo, formalmente, ci sono (la Costituzione). Il problema è che vengono regolarmente calpestati. Due esempi: la legge è uguale per tutti? No, ci sono quattro tizi che per legge sono più uguali degli altri; ancora, il potere legislativo è nelle mani del parlamento? Formalmente sì, nella pratica no, visto che questo governo tiene sotto scacco il Parlamento a colpi di voti di fiducia. Quanto alla prevedibilità, beh… notiamo che ogni volta che esce fuori un processo a carico del capo o dei suoi seguaci, puntualmente esce fuori una leggina da hoc che cancella il reato, abbatte la prescrizione, rende immuni, eccetera. Esempio solo per rimanere nel campo della giustizia (vogliamo parlare delle televisioni o delle tasse?).
Vale la pena, qui, di sottolineare alcuni aspetti di un regime autoritario rimasto unico nel suo genere: il regime fascista. Esso era caratterizzato dalla presenza di un leader carismatico legato ad un partito con tendenze totalitarie; ha usato, nel corso della sua instaurazione, vari attori sociali, come la Chiesa (che era un po’ cooperante un po’ conflittuale), la monarchia, l’esercito, la grande industria e la classe media. Il regime si caratterizzava per spunti nazionalisti che si traducevano in una politica estera aggressiva; per l’antiliberalismo; per l’antiparlamentarismo; per l’anticomunismo; per l’anticlericalismo; per l’anticapitalismo. Salvo poi sostanzialmente fare nulla se non rafforzare il proprio potere (il corporativismo, in vent’anni, non venne mai alla luce; la Camera dei Fasci e delle Corporazioni nacque solo al tramonto del regime stesso). Non so voi, ma io ritrovo diverse analogie con l’Italia berlusconiana, oltre, ovviamente, a qualche differenza.
Dunque, questo basta a definire l’Italia un regime autoritario? Dal mio punto di vista no: l’Italia ha tratti autoritari, ma non è (ancora) un regime autoritario.
Chiediamoci, allora, se l’Italia è una democrazia.
Una democrazia si caratterizza per quattro elementi fondamentali:
- suffragio universale maschile e femminile;
- elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette;
- pluralità di partiti;
- diverse e alternative fonti d’informazione.
Questa è la definizione minima di democrazia: l’assenza di uno o più di questi fattori mette in crisi la presenza dell’Italia all’interno del genus democratico. Vediamoli uno per uno:
- suffragio universale maschile e femminile: è indubbio che questa dimensione sia presente;
- elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette: le elezioni sono libere (se diamo un’interpretazione estensiva a questo aggettivo) e ricorrenti (anche troppo), ma non sono competitive, né corrette (si guardi il quarto punto);
- pluralità di partiti: ne abbiamo anche troppi, anche se quelli rilevanti, ovvero oggi in Parlamento, sono molto pochi, almeno relativamente al passato;
- diverse e alternative fonti d’informazione: qui c’è il problema. Abbiamo un presidente del Consiglio che possiede tre televisioni, che ne controlla altre due ed è sulla strada per prendersi pure la terza (se è vero che si vogliono piazzare Gianni Minoli ed Enrico Mentana su RaiTre). Una settima televisione, la cui indipendenza è già piuttosto sbiadita, si inchinerà al premier, poiché il suo proprietario (alias Telecom Italia), non può certo alienarsi i rapporti con il gruppo di potere (La7, infatti, potrebbe segnalare un bel po’ di fattacci che la danneggiano, ma non lo fa per non essere ulteriormente danneggiata, visto che l’autorità indipendente, visto che ha trovato in Google il monopolista della pubblicità e non in Mediaset e compagni, potrebbe non essere poi così indipendente); l’ottava televisione (SKY) ha avuto tasse raddoppiate, si è vista sottrarre la RAI, la quale è stata poi costretta ad allearsi con il proprio concorrente (Mediaset) per creare una propria piattaforma satellitare (TivuSat) in un gioco in cui Silvio vince e gli italiani perdono. In Italia oltre il 60% degli italiani si informa SOLO con la televisione, con punte di quasi l’80% fra i pensionati e le casalinghe (bacino elettorale del centrodestra, guarda caso). Gli altri diversificano, ma solo un decimo compra regolarmente i giornali. In altre parole, si può dire che per la stragrandissima maggioranza degli italiani la televisione è il principale mezzo di informazione. Ma se la televisione è praticamente tutta in mano a Silvio Berlusconi, vuol dire che questa quarto pilastro della democrazia è veramente debole.
A causa della debolezza dei pilastri 2 e 4, l’Italia non appare essere un regime democratico secondo la definizione data (che poi è la definizione minima fornita dalla scienza politica – ce ne sono altre: alcune non cambiano in sostanza il discorso appena fatto, mentre le altre sono definizioni meramente “procedurali”, secondo le quali l’Italia è un regime democratico perché la Costituzione (democratica) e le sue procedure (democratiche) sono formalmente rispettate, ma pure queste definizioni vengono incrinate se pensiamo allo svuotamento dello spirito costituzionale, quanto, nella pratica, a tutte le sentenze della Corte Costituzionale scavalcate – ricordate Europa 7).
L’Italia, tuttavia, non è neppure pienamente un regime autoritario.
In conclusione di questa veloce riflessione, sono portato a dedurre che l’Italia si trovi in un momento di crisi democratica, più precisamente di crisi nella democrazia, poiché assistiamo al cattivo funzionamento di alcune strutture dello Stato (Parlamento, magistratura), oltre che un progressivo distacco della Piazza dal Palazzo (l’esistenza stessa di Beppe Grillo e dei grillini, e soprattutto la loro crescita, ne è un sintomo, solo per fare un esempio).
Notiamo, inoltre, la sostanziale scomparsa del centro politico: l’accordo fra le parti su problemi sostantivi è estremamente raro (addirittura i problemi sostantivi sono lasciati in secondo piano rispetto agli scandali sessuali e altre facezie simili); ancora, in questi giorni stiamo assistendo ad una escalation di violenza verbale (citazioni in giudizio, attacchi all’Europa, attacchi degli house organ contro i direttori dei giornali nemici) e non (ricordate questo?) finora inaudita.
Tutti questi sono sintomi di una profonda crisi democratica (e ve ne sarebbero molti altri). Si potrebbe dire che l’Italia si trova in uno stato intermedio fra la democrazia e l’autoritarismo. Se il genus democratico non viene abbandonato, è perché questo non è né necessario né auspicabile: la democrazia resta un valore fondamentale per la stragrande maggioranza degli italiani e soprattutto per la posizione nel campo internazionale (anche se da questo punto di vista gli altri Paesi europei, non addormentati dalle tv del padrone, già sanno che la democrazia è in crisi in Italia, se pensiamo alle dichiarazioni di Martin Schultz e altri – che dicono, in pratica, che Berlusconi può essere un cattivo esempio per altri Paesi del mondo – e al fatto che i nostri vicini non vedono di buon occhio le amicizie strettissime che “vantiamo” con leader certamente non democratici come Vladimir Putin e Muammar Gheddafi, a cominciare dagli USA), e per questo è necessario mantenere l’apparenza (senza contare che, non svenite dalla sorpresa, anche all’interno del PdL c’è gente che è davvero innamorata della democrazia).
La teoria ha elaborato una definizione di un tipo di autoritarismo (o meglio, un regime di transizione fra autoritarismo e democrazia) che ben si adegua, a mio avviso, all’Italia dei giorni nostri. È quella della democrazia elettorale, che Cotta, Della Porta e Verzichelli definiscono come segue:
Se […] il procedimento elettorale è corretto, ma i diritti civili non sono ben garantiti, se in particolare, la stessa informazione è condizionata da situazioni di monopolio con la conseguenza di escludere parti della popolazione dall’uso effettivo dei propri diritti, se eventualmente non vi è un’effettiva opposizione partitica e in realtà un solo partito [ndTooby: vogliamo dire “coalizione”?] domina la scena elettorale e, più in generale, quella politica, allora si potrà parlare di democrazia elettorale.
Sembra un calzino messo sopra lo stivale.
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ovviamente citando la fonte e rispettando il più possibile la formattazione.
Tooby, consentimi di farti una piccola critica preliminare: alle volte, per quanto riguarda i rispettivi argomenti di specializzazione, forse ognuno farebbe meglio a mantenere il discorso su piani più generali, perché scendendo nello specifico la propria preparazione mostra la corda.
Ad esempio: il problema dell'esercizio del potere legislativo non è tanto che il governo tenga sotto scacco il parlamento con le votazioni di fiducia (cui in ogni caso hanno ricorso riccamente anche gli ultimi esecutivi “sinistroidi”, alle volte con clamorosi autogol). Il vero problema risiede nel fatto che ormai il parlamento concorre minimamente motu proprio alla produzione legislativa: 1) il numero di decreti legge e decreti legislativi (governativi) supera ormai di gran lunga le vere e proprie leggi (del parlamento); 2) per non farne una questione solo numerica, i testi normativi governativi intervengono su materie di grande importanza ed ampiezza, su cui il parlamento “decide” di astenersi allegando variamente la scarsa competenza tecnica, la farraginosità decisionale…; 3) da qualche anno a questa parte, la normativa comunitaria che necessita di recepimento del nostro ordinamento è tutta trasposta attraverso decreti legislativi emanati sulla scorta di leggi delega sostanzialmente in bianco (il parlamento si limita ad elencare le direttive da attuare, senza mai specificare nulla in proposito); 4) le autorità amministrative “indipendenti” concorrono con i loro regolamenti a disciplinare settori nevralgici dell'economia e della società in generale (energia, gas, telecomunicazioni, concorrenza, pubblicità…), senza però essere politicamente responsabili, ed anzi, essendo fortemente legate (nonostante la sbandierata indipendenza) al potere politico che le ha espresse (e, quindi, in ultima istanza, alle lobby economiche che stanno dietro); 5) materie di grande rilevanza sociale ed economica sono oggi rimesse (nell'ambito territoriale di competenza, naturalmente) alle regioni ed agli altri enti locali, non più al parlamento. Con la conseguenza negativa che, essendo cessati i trasferimenti automatici dallo stato centrale alle periferie, gli enti territoriali si destreggiano sempre con l'acqua alla gola e sono quindi incapaci di politiche ad ampio respiro, mentre, nel lungo periodo, si allarga la forbice tra alcune regioni strutturalmente più solide ed altre che non lo sono.
Mi fermo qui, ma lo svuotamento (giuridico e fattuale) delle funzioni del parlamento, se solo si volesse constatarlo, è sotto gli occhi di tutti. Gli strumenti per concentrare il potere in un gruppo sempre più ristretto, peraltro, sono in bell'evidenza: il parlamento oggi serve solo a ratificare decisioni prese altrove.
Sul superamento della Costituzione sia nelle procedure, sia nella sostanza, ci sarebbe molto più da dire oltre al caso di Europa 7 o al c.d. lodo Alfano. “Scavalcamenti” disinvolti e gravi violazioni sono all'ordine del giorno ed hanno conseguenze ben più gravi ed estese degli esempi che hai menzionato.
Senza contare che ormai, al di là di qualche proclamazione demagogica, tutte le fazioni politiche si sono accorte che alterare formalmente i contenuti della Costituzione non è necessario quando si possono raggiungere i propri fini con altri mezzi.
Mi permetto, poi, di ribadire un'osservazione che già avevo fatto e che pare sia caduta nel vuoto: non credo che il capitalismo o il liberalismo siano delle ideologie, sono delle etichette che in larga misura rappresentano delle razionalizzazioni dell'esistente. Nessuno ha mai individuato le loro caratteristiche mentre l'economia occidentale moderna sorgeva (e non vale citare Adam Smith a sproposito): tali qualificazioni sono state ideate ed applicate a posteriori.
Sempre in ambito politico-ideologico, poi, dissento fortemente dalla tua affermazione sulla scomparsa del “centro” (se ben l'ho capita): ormai nelle forze politiche parlamentari trovi solo centro (ed il populismo demagogico-cafone della lega). Tutte le altre fronde sono state potate (a prescindere dall'esistenza formale di una miriade di altri partiti, che non è più necessario bandire come ai tempi del fascismo solo perché o li si può incorporare – come fossero delle imprese concorrenti -, o li si può lasciare agonizzare e sparire). Se oggi tutti gli ex democristiani presenti si riunissero in una sola formazione, raggiungerebbero una percentuale di voti di gran lunga superiore a quelle su cui la DC si assestava in passato, specialmente nel passato più recente. Peraltro, ti stupisci del mancato accordo su problemi importanti?
Che c'è di nuovo? Il punto non è tanto questo. Il problema non è che non si accordino in merito a certe gravi problematiche, ma che si accordino in relazione ad altre e, per limitarmi ad una sola segnalazione, mi riferirò al caso Alitalia. Avrebbe mai potuto il PD fare una qualsivoglia opposizione se tra i suoi deputati c'è il figlio dell'attuale presidente del cda di una delle più costose truffe mai elaborate? Soggetto, quest'ultimo, che ha già collaborato con alcune delle più fallimentari privatizzazioni poste in essere – guardacaso – da governi di sinistra?
Infine, mi trovo d'accordo sul fatto che l'Italia sia in crisi democratica, ma non che sia in un punto intermedio nel segmento che corre tra “democrazia perfetta” (qualunque cosa ciò significhi) e “regime autoritario” (che, in forma perfetta, è invece storicamente identificabile e vanta un curriculum assai più lungo della concorrente). La bilancia, secondo me, pende molto più verso la seconda alternativa ed attaccarsi a definizioni manualistiche vale ben poco, specie se si considera che l'ultima citazione da te fatta è un'altra razionalizzazione dell'esistente.
Capisco che ai fini di un post sia necessario sintetizzare, ma l'amore per certe eleganti simmetrie e per le coerenti generalizzazioni può indurre ad essere superfciali. Di democrazia in Italia c'è solo il nome ed è bene accorgersene e denunciarlo prima che sia troppo tardi: Berlusconi sta ripercorrendo con la sua invincibile protervia e la sua gretta ed ambiziosa ignoranza la strada che già condusse ben altri ad essere primus inter pares.
Peccato che nella nostra farsesca replica storica avremo solo un primus inter (im)pares.
Ottimo, ti ringrazio. 🙂
Ti ringrazio per il tuo commento, che approfondisce ciò che per motivi di lunghezza ho dovuto sintetizzare. L'obiettivo del post era trasformare un'affermazione, un sentire (l'Italia è un regime autoritario, l'Italia è una democrazia) in una questione più articolata, razionale, e per quanto possibile oggettiva, perché credo che una cosa sia dire che siamo in un regime autoritario, un'altra spiegare razionalmente perché. Dirlo senza una discussione, probabilmente, mi farebbe solo additare quale comunista, grillini, di pietrista, giustizialista e altre etichette.
>Sempre in ambito politico-ideologico, poi, dissento fortemente dalla tua affermazione sulla scomparsa del “centro”
Questo punto riguarda una mia piccola osservazione, ovvero la nascita di una nuova cleavage all'interno della politica italiana. È corretto quanto dici sulla base delle fratture tradizionali (ovvero che esiste solo il centro e tutto il resto), ma non in base a quest'altra frattura, che riguarda chi è berlusconiano e chi no, chi è stato incorporato e chi ancora tenta di resistere. Qui il centro scompare: o approvi l'operato del governo o sei un cattocomunista, e non c'è una via di mezzo. Se la maggioranza fa una legge porcata, lo dici solo perché hai pregiudiziali contro Berlusconi, non perché, che so, una legge che rende Tizio intoccabile dalla Legge è un abominio. Se fai una proposta dai banchi dell'opposizione o critichi il governo sei un antitaliano, un populista, non ti prendono neanche in considerazione. È questo il centro che è scomparso, non quello tradizionale (che, come hai detto, si è pure rafforzato).
>mi trovo d'accordo sul fatto che l'Italia sia in crisi democratica, ma non che sia in un punto intermedio nel segmento che corre tra “democrazia perfetta” (qualunque cosa ciò significhi) e “regime autoritario” (che, in forma perfetta, è invece storicamente identificabile e vanta un curriculum assai più lungo della concorrente)
Posto che non ho parlato di democrazia perfetta, che pare non esista, ma solo di una definizione minima di democrazia, il regime di cui io parlo (la democrazia elettorale) cade nei regimi autoritari senza alcun dubbio. Come hai detto tu, il regime autoritario è chiaramente identificabile (probabilmente perché, allargandolo un po', ricomprende tutto ciò che democrazia non è), e per questo motivo non si può essere democratici solo un po': o lo si è o non lo si è, e in quest'ultimo caso si è in un regime autoritario.
Vengo quindi alla fine: perché ho detto che l'Italia non è ancora un regime autoritario? Perché sono ancora presenti varie reti di sicurezza (prima fra tutte l'Europa) che ci impediscono di sprofondare da questa zona grigia alla zona nera (ovvero di perdere anche il nome e le poche libertà rimaste della democrazia): questa è una considerazione di più lungo periodo che si rifà a quanto tu dici, ovvero che bisogna mettersi in testa che la democrazia italiana è in crisi, che rischia di crollare, che bisogna ficcarsi bene in testa che le libertà vanno conquistate giorno dopo giorno e che, quindi, bisogna resistere a questa deriva.
Non ho fatto altro che dare una base razionale e teorica, nel mio piccolo, perché se non si ragiona in modo deciso finiremo per cadere davanti ai colpi di coloro i quali negano impunemente persino l'evidenza (ma quale conflitto d'interessi, ma quali collegamenti con la mafia, ma quale P2, ma quali leggi ad personam, mavalà, eccetera eccetera).
Sì, probabilmente le nostre idee finiscono per coincidere.
Riguardo alla questione “il centro c'è o no” direi che la guardiamo da due punti di vista differenti. Tu da fuori ed io da dentro.
Tu consideri gli effetti dei proclami contro qualsiasi opinione difforme da quella espressa dal governo. Io considero la “rete” delle comuni esperienze politiche di molti rappresentanti oggi in carica a livello nazionale e locale.
In fin dei conti, una cosa non esclude l'altra, anche se è necessario non sottovalutare il potere complessivo ed ininterrotto degli ex democristiani.
Sulla questione “dove si colloca l'Italia tra regimi democratici e regimi autoritari?”, so benissimo che non hai mai parlato di “democrazia perfetta”: si trattava solo di una mia maniera di inquadrare il problema. Oltretutto mi sembrava – ma la mia impressione è stata smentita dalla tua risposta – che la tua posizione fosse cautamente intermedia, mentre mi pare che anche qui le nostre vedute coincidano.
Mi sovvengono, poi, tre precisazioni che avevo dimenticato prima.
1) l'IVA a Sky andava aumentata, c'è poco da fare. Possiamo discutere sulla tempistica, possiamo discutere su ciò che l'ultimo governo Prodi avrebbe dovuto fare al riguardo…ma doveva essere aumentata. Credo che dovremmo focalizzare l'attenzione non tanto sui vantaggi concorrenziali che Berlusconi ha tratto dalla manovra, quanto su quelli di cui Sky aveva in precedenza beneficiato in virtù del regime impositivo privilegiato.
Piuttosto, ma qui mi rivolgo alla tua competenza di economista per conferma, ritengo che a livello comunitario sarebbe probabilmente il momento di ritoccare sensibilmente al ribasso le aliquote più alte dell'IVA, per contribuire alla ripresa economica (anche se dubito che ciò succederà, se solo si considera che i trasferimenti derivanti dalla riscossione dell'IVA rappresentano la principale fonte di sostentamento delle istituzioni comunitarie).
2) Sulla questione Sky-Rai, credo che le cose siano andate diversamente da come tu ritieni, anche se riconosco di non aver approfondito il tema. Mi pare, infatti, che sia stata Sky a mettere in fuga l'emittenza pubblica con richieste esose per l'inclusione dei canali RAI nei propri pacchetti. Nessuna “sottrazione” da parte di Mediaset, quindi, anche se alla fine i risultati non cambiano: la Rai è solidamente alleata (nella subalternità) di Mediaset (e non dall'altro giorno).
3) Esistono anche tanti giornali, ma, a prescindere dal discorso sul loro superamento (in termini di tecnologia) dall'informazione su internet, la libertà di stampa è ai minimi storici. Non ci sono voci fuori dal coro, solo tanti pennivendoli su commissione che variamente chiosano i medesimi temi e ne tacciono o travisano altri. Quindi, prendere la stampa a riferimento della democraticità dell'Italia è veramente inattendibile.
In conclusione, quindi, e ripetendo il mio convincimento, l'Italia non è forse un regime autoritario, ma è quasi un regime autoritario.
Scusami se non attendo la tua replica, ma questo tuo post mi sembra la sede adeguata per segnalare una notizia circolante con una certa insistenza che, se vera, sarebbe il colpo di grazia per l'ultima trasmissione che fa dell'autentico giornalismo d'inchiesta in Italia: Report.
Parrebbe, infatti, che la Rai non sarebbe più intenzionata a fornire copertura legale ai giornalisti della redazione di Report, i quali, pur formalmente liberi di proseguire il loro lavoro, sarebbero esposti personalmente alla gragnuola di querele che normalmente segue ad ogni puntata.
Ossia, il modo migliore per ottenere il silenzio desiderato senz'essere accusati di aver chiuso la trasmissione.
Speriamo che non sia così, ma prepariamoci al peggio!
Sì ma:
'In una liberal-democrazia di massa'
Ma cche vvorr dì?
Negli USA per vincere le elezioni devi raggranellare 200 milioni di dollari. Che tipo di democrazia è? Basta vedere quello che sta succedendo ad Obam, menato da tutte le parti. Bah..
'alzi la mano chi ha capito l’ideologia alla base del berlusconismo'
Beh, Di Pietro oggi ne ha dato una spiegazione convincente. Riassumo: 'Invidia sociale'? 'Ignoranza'? 'Insicurezza sociale'? Le 3 'i'.
'Non so voi, ma io ritrovo diverse analogie con l’Italia berlusconiana, oltre, ovviamente, a qualche differenza'.
Anche il look dell'attuale Mascellone è ben impostato sull'illustre antenato storico. Secondo me si sta siringando di cortisone, è gonfio come un rospo. Mala tempora current.
'Si potrebbe dire che l’Italia si trova in uno stato intermedio fra la democrazia e l’autoritarismo'.
Il problema è la tendenza. E' come dire: hai 38 di febbre, ma stai guarendo. Oppure hai 38 di febbre, ma vai per il trenanove e uno per il trentasei. E' quello che sta succedendo adesso: l'autunno è raffreddato, ma l'atmosfera diventa incandescente. Sai che? Tieni una rubrica sulle notizie Tg3/Rete 4. Oggi ho fatto zapping: fantastico. Gasparri da una parte e i lavoratori in protesta dall'altra. E non dico dov'erano delle due. Qui siamo al disastro, persino la Marcegaglia si sta preoccupando.
Ps non male il film su Canale 5. No, non quello con T.Hill, questo in seconda serata.
Negli USA, è vero, servono centinaia di milioni di dollari per vincere le elezioni: ma serve anche la persone. Puoi avere quanti soldi vuoi, ma i media, che lì fanno domande, prendono ogni singola fibra della tua storia e la passano al setaccio. Dì solo mezza cagata e ti giochi milioni di elettori, a prescindere da quanto denaro spendi o raccogli.
Poi hai visto anche tu L'uomo dell'anno, quindi qualunque cosa dica è superflua.
>Beh, Di Pietro oggi ne ha dato una spiegazione convincente. Riassumo: 'Invidia sociale'? 'Ignoranza'? 'Insicurezza sociale'? Le 3 'i'.
Non è ideologia (che dovrebbe essere la forza che guida la distruzione creatrice del regime verso il nuovo ordine postulato dall'ideologia stessa), è mentalità caratteristica (ovvero una specie di vademecum, tipo “il PIL cala dell'1%? Dite che la Birmania sta peggio di noi; hanno condannato Mills? Dite che sono giudici comunisti; tutti mi attaccano? Il popolo mi ha votato”).
Ottimo post. Chiramente un'analisi totalmente accademica e piu' scientifica richiederebbe di andare ben oltre le righe qui espresse, pero' e' senza dubbio un tentativo interessante quello di interagire con problemi, fatti e termini dell'arena politica quotidiana attraverso gli strumenti propri della Scienza politica. Tutto questo senza perdere di vista il tipo di lettore, che non e' certo un accademico.
bravo
Ti ringrazio, ho cercato di fare del mio meglio. 🙂