Quando Alfano dice che le cose vanno peggio per il Paese dice una cosa giusta e una sbagliata. Quella giusta è che i dati macroeconomici sono in costante deterioramento; quella sbagliata è che la colpa di ciò sia di Monti e di Monti solo (corollario: “Monti deve cadere per il bene del Paese”). Si badi bene: non è una difesa a oltranza di Monti. Io al posto suo mi sarei dimesso mesi fa, scaricando le colpe su chi continuava a spararmi alle gambe dicendomi che era una ceretta.
Bisogna infatti ricordare che chi ha segato le gambe alle riforme di Monti sono stati i partiti dell’ex maggioranza, fra cui il PdL: il Parlamento, infatti, più e più volte ha annacquato misure di rinnovamento dell’economia, trovandosi d’accordo solo su misure populiste e sull’aumento delle tasse.
Di quest’ultima misura ho parlato ieri: dal lato fiscale l’azione del Governo Monti ha dovuto seguire il sentiero tracciato dal precedente Governo Berlusconi, sotto un diktat tedesco che tale governo era troppo debole per contrastare. Anzi, il suo compito era proprio quello di dare credibilità al consolidamento dei conti. La frenata del PIL e il conseguente aumento del rapporto con il debito pubblico si deve innanzitutto (ma non solo bisogna considerare anche la traiettoria pluriennale tipica di un Paese in crisi ultradecennale come il nostro) all’insensato pareggio di bilancio a tutti i costi che Berlusconi e Tremonti avevano contrattato con Merkel e Sarkozy. Il resto sono tutte misure conseguenti.
E se tale aumento della pressione dello Stato si è riversato principalmente sulla classe media, ciò è dovuto al fatto che nel corso del decennio precedente la politica fiscale di centrodestra è stata eccessivamente morbida verso chi più aveva, mentre dall’altro lato il centrosinistra tirava fuori la vendetta fiscale che costringeva alla fuga i capitali, tant’è che per fare cassa l’unico modo è colpire i fessi che non se ne sono potuti andare, ovvero i lavoratori. A ben guardare sono le stesse dinamiche presenti anche nell’attuale governo tecnico, e non c’è di che stupirsi, considerando su quale maggioranza si basi tale governo.
Consideriamo anche che nel bel mezzo dello spazio politico ci sono riforme annunciate, ma mai implementate, o annacquate, come le lenzuolate di Bersani, come pure la nota di colore delle gaffe dei ministri, e il quadro del governo Monti è dipinto con gli stessi colori dei precedenti. Non potrebbe essere altrimenti: il Parlamento, che è alla base della democrazia italiana, è rimasto sostanzialmente lo stesso negli ultimi decenni. Perché un governo tecnico avente la stessa base dovrebbe essere differente?
Niente di nuovo: ne parlavo su queste pagine quando il governo Monti si era appena staccato dal seno di Napolitano e si preparava a dare all’Italia un boost di autorevolezza che, unito all’azione di Mario Draghi, ha stroncato, per ora, la crisi dei debiti sovrani. Ma restava il problema che le misure del governo tecnico avrebbe dovuto votarle un Parlamento non tecnico, perché in ultima analisi questo Paese ad essere marcio di caste e gattopardi. Roba scritta nel dicembre 2011 che sembra uscita dai giornali di oggi.
Adesso ci sarebbero stati alcuni mesi di governo in cui la strategia per il Paese poteva essere chiara: introdurre riforme impopolari ma necessarie e scaricare la colpa su Monti in campagna elettorale. La Storia avrebbe poi giudicato (e non dubito in modo positivo).
Poiché, invece, la politica italiana è un teatrino per il potere, un Berlusconi all’angolo se ne frega di fare l’interesse del Paese, e punta a sopravvivere andando all’attacco. Se tutto va bene, avrà abbastanza peso per continuare a sopravvivere; se tutto va male, avrà mandato in Parlamento suoi fedelissimi, ed avrà un partito purgato e pronto alla rivalsa populista.
Non dubito che la prossima campagna elettorale, essendovi già un partito in siderale vantaggio, sarà incredibilmente sporcata dalle scemenze più sceme: dall’usciamo dall’euro al default come l’Argentina, dalle banche che si sono comprate l’Italia perché Monti è un massone venuto da Vega alla patrimoniale (sul serio? Un altro po’ di tasse e l’Italia rischia il crack, io vi avviso). Tanto chissenefrega, dicono gli attuali “perdenti” (Berlusconi, Grillo, le destre tremontian-leghiste, le sinistre extraparlamentari): noi puntiamo al Parlamento, mica a governare. Il PD sarà costretto a inseguire sul piano della demagogia o a vedere i propri consensi erosi, perché se c’è una cosa di cui siamo sicuri è che noi italiani abbiamo la memoria di una mosca, e sotto elezioni sbattiamo continuamente contro il vetro credendo di uscire dalla finestra. A queste condizioni la cosa giusta da fare è accelerare il declino, non fermarlo, perché questo è ciò che vox Dei chiede.
Solo che passata la sbornia elettorale bisognerà cominciare a lavorare, a fare sul serio, e di nuovo verrà il dilemma tipico della politica italiana degli ultimi vent’anni: fare la cosa giusta e rischiare di perdere consensi e magari deputati, come accadde con l’Unione, o fare ciò che fa più comodo nei sondaggi, visto che in questo Paese ogni giorno è campagna elettorale e mai politica del fare?
Le riforme stanno lì nel mezzo, ad aspettare qualcuno che le adotti. O che la realtà ponga fine all’agonia con lo schiacciamosche.