[Economics for dummies] Guardiamo in faccia la crisi economica

La Federal Reserve Bank di St. Louis (che fa parte del Federal Reserve System, il sistema della banca centrale USA) pubblica mensilmente l’andamento di quattro indici, ovvero mostra come stanno andando quattro variabili macroeconomiche USA, che da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso sono:

  • Produzione industriale
  • Reddito reale
  • Occupazione
  • Vendite al dettaglio reale

Il grafico è costruito ponendo come 0 (zero) il punto in cui l’economia ha raggiunto il picco, ovvero il momento in cui è cominciata la catastrofe, con aggiornamenti mensuali ((Parola obsoleta, ma reale.)) . Inoltre non raccoglie soltanto il grafico della nostra (o meglio, americana) situazione economica, ma li confronta con i dati della peggiore crisi economica, della migliore crisi economica e della media delle crisi economiche (la linea continua azzurra).

La linea rossa, invece, mostra la situazione che stiamo vivendo. Cosa notiamo:

  • La produzione industriale sta andando peggio della peggiore, con un crollo quasi verticale;
  • I redditi reali sono nella media (e ci aggiungo: anche se…);
  • L’occupazione ha raggiunto il livello della peggiore crisi (notate la forma diciamo meno spezzata rispetto a quella della produzione industriale? Questo succede perché la disoccupazione risponde con un ritardo di qualche mese, quindi è destinata a peggiorare nei prossimi mesi per seguire il crollo della produzione industriale);
  • Le vendite al dettaglio reali sono ben al di sotto della crisi peggiore.

Dunque a gennaio (ultimo mese disponibile) due indici (produzione industriale e vendite al dettaglio) sono peggiori della crisi peggiore, un indice (disoccupazione) pareggia la crisi peggiore (ma, come detto sopra, andrà verso il peggioramento), mentre uno (reddito reale) è nella media. Quindi le cose non stanno andando bene.

In generale non c’è da preoccuparsi: dalle crisi si esce fuori, prima o poi. Guardate questa pagina: mostra quanto sono durate (in mesi) espansioni e recessioni negli USA dal dicembre 1854.

Guardate questo grafico: la linea blu mostra la durata delle contrazioni per ogni ciclo, quella rossa la durata delle espansioni.

Vi faccio notare che il primo picco evidente della linea blu (quello sopra i 60 mesi) risale al 1873, quando non esisteva la Federal Reserve (e gli Stati Uniti erano appena usciti dalla guerra di secessione), mentre il secondo picco della linea blu (sopra i 40 mesi) rappresenta la Grande Depressione, la crisi del 1929, quando ancora non esisteva l’assicurazione sui depositi né altre garanzie del sistema bancario, quando negli USA ancora si dava retta in tutto e per tutto a Adam Smith. Da allora, però, le recessioni sono durate meno di venti mesi, comprese quelle più catastrofiche, come quella degli anni Settanta.

Notate poi che la linea rossa, proprio, dal ciclo successivo alla Grande Depressione, ha aumentato enormemente i picchi (ovvero i mesi di espansione).

Detta in altre parole, la media di mesi di recessione dal 1945 al 2001 si è praticamente dimezzata sia rispetto agli anni 1854-1919 sia rispetto agli anni 1919-1945, mentre la media dei mesi, negli stessi periodi, è quasi raddoppiata.

Questo non significa che la crisi che stiamo vivendo starà nella media, ma solo che forse le politiche economiche del dopoguerra sono state più efficaci nell’assicurare maggiori periodi di espansione. E che per questo, in generale, non c’è da preoccuparsi. Non credo che si arriverà ad avere 40 mesi di recessione, ma neppure che a fine anno la crisi sarà passata. Tutto dipenderà dall’efficacia delle politiche economiche: più saranno efficaci e meno durerà la recessione, ma già il fatto che i governi stiano intervenendo è un segno del fatto che possiamo evitare un nuovo ’29.

Fin qui ho parlato in generale, e in particolare degli Stati Uniti. Parlo brevemente dell’Italia: non sto qui a ricordare che l’Italia ha un bilancio pubblico disastroso, un sistema economico logorato dall’assenza di concorrenza e dagli accordi fra affari e politica, etc. Mi preme di ricordare che:

  • L’Italia dipende dalle esportazioni: SE gli altri si riprendono e SE vorranno i nostri prodotti, allora avremo speranze per superare questo brutto momento;
  • L’Italia dipende dal turismo e dal made in Italy, due settori troppo deboli (specialmente il secondo) per reggere la competizione internazionale: andrebbe favorita la ricerca e il portafogli andrebbe diversificato;
  • Il Governo non deve parlare di corvi e di pessimismo, non deve attaccare chi, come il barboncino di Berlusconi, Emma Marcegaglia, fa notare che le cose stanno andando peggio del previsto, perché le cose andranno sempre peggio del previsto, ed è normalissimo (la Marcegaglia ha ragione a lanciare l’allarme, perché ha sicuramente dati e sondaggi più recenti rispetto ai dati ISTAT, che sono naturalmente in ritardo di mesi). Al Paese non serve ottimismo, servono fatti: il Paese non deve credere che le cose vanno a meraviglia (perché è una bugia), il Paese deve capire che deve reagire e che il Governo c’è ed è pronto ad affrontare la crisi (e non con le parole, ma con i fatti). Messaggi chiari e azioni concrete;
  • Non bisogna prendere per ottime notizie dei buoni segnali falsi, mandando Emilio Fede ad esultare a reti unificate: le ottime notizie sono tali solo quando gli indici vanno tutti nella giusta direzione. Non serve a nulla festeggiare perché l’Italia non è stata richiamata dalla UE per il rapporto deficit/PIL: lo farà prossimamente. Intanto, giusto per fare un esempio, la produzione industriale sta crollando. Decisamente le notizie non vanno tutte nella giusta direzione.

Ma la leggerezza con la quale il buffone ha preso questa crisi mi fa pensare che questo qui non ha ancora capito con cosa ha a che fare. E le conseguenze le pagheremo noi, ceti bassi e medi, non certo un miliardario che ha l’hobby della politica.

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