Emergono due considerazioni divertenti da questo voto: la prima è che il bello del proporzionale è che tutti possono, per motivi vari, cantare vittoria. Il PD per avere resistito, la Lega per avere raggiunto il 10%, l’Italia dei Valori per avere raddoppiato i voti del 2008 e quadruplicato quelli del 2004.
La seconda è che anche i rappresentanti del Popolo della Libertà e i giornalisti del seguito (penso a Bruno Vespa) cercavano un motivo per cantare vittoria insieme a tutti gli altri, e l’hanno fatto pensando ai risultati altrui, del PD, in particolare. Ma le loro facce tradivano la sconfitta.
Il PdL non raggiunge il 40% neppure di striscio, fermandosi al 35%, dieci punti lontano dall’obiettivo di Silvio Berlusconi, che vede così spegnersi le speranze di egemonia in Europa. Il Partito Democratico, dal canto suo, si ferma al 26%, che sono nove punti di distacco dal PdL, ma in linea con gli obiettivi del partito per poter dire «Abbiamo combattuto, abbiamo resistito».
Proprio per questo motivo i pidiellini stanno cercando in tutti i modi di nascondere la sconfitta: il PD cala dalle Politiche dello scorso anno, è vero, ma è un calo che sapevamo da mesi, e che hanno portato alle dimissioni di Walter Veltroni. L’obiettivo è stato raggiunto, e Dario Franceschini può dire “missione compiuta”. Gianfranco Rotondi, evidentemente ubriaco, poco fa sembrava volere festeggiare una vittoria che non può esistere.
Per il PdL, invece, è stata una disfatta: rispetto alle politiche del 2008 perde il 2% dei voti nonostante le televisioni avessero sbandierato successi del governo mai esistiti, ma soprattutto è lontana anni luce dall’obiettivo del 40%, per non parlare del 45 e del 50 tanto sbandierati da Berlusconi, pur nel silenzio elettorale.
La Lega Nord vince, ma non riesce a smuovere le acque della maggioranza di governo: il partito di Umberto Bossi aumenta la propria quota del 25% (passa da 8% a 10%), ma perde la sfida interna con il PdL nel Veneto e deve rinunciare alla possibilità di chiedere il governo di una Regione.
Grande soddisfazione per l’Italia dei Valori, che raddoppia i suoi consensi rispetto alle politiche, passando dal 4% al 8%, e addirittura quadruplica il risultato delle precedenti elezioni europee (nel 2004 prese il 2%). È un risultato che incoraggia Di Pietro, che ieri sera ha annunciato che il simbolo dell’Idv perderà il nome “Di Pietro”.
L’Udc rosicchia ancora un po’ di consenso, arrivando al 6,4%, ma data la scarsa possibilità di coalizzarsi, il suo peso è pressoché nullo.
Fuori anche dal Parlamento Europeo i comunisti della Lista Anticapitalista di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani, come pure sono fuori i simil-comunisti-forse-socialisti di Nicola Vendola, Sinistra e Libertà. Non posso che dire “Alleluja”, forse capiranno che devono abbandonare sia la falce e il martello che il garofano se non vogliono rimanere fuori pure dalle assemblee condominiali.
Fuori anche quell’accozzaglia di partiti che riuniva il Movimento per le Autonomie, La Destra, I Pensionati e l’Alleanza di Centro, come pure i Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino. Sono spiacente per questi ultimi, ma dovevano continuare l’integrazione con il PD: sono contento non abbiano alcun potere di ricatto e possibilità di fare i voltagabbana (anche Pannella, quanto a mastellismo, non scherza).
E adesso? Adesso dobbiamo aspettare la reazione di Silvio Berlusconi, cui abbiamo rovinato la giornata. Speriamo non si metta a urlare ai brogli, ma per l’autunno dovremo aspettarci un’offensiva mediatica senza precedenti, perché la crisi si farà sentire con tutta la sua forza, il governo dovrà prendere coscienza della sua inadeguatezza, mentre arriverà la Waterloo del terremoto in Abruzzo a novembre.
Il Partito Democratico ha guadagnato otto mesi di tempo per tentare di evitare la dissoluzione: il Congresso di ottobre deve essere un bagno di sangue, deve fuoriuscire una linea morale, prima che politica, per differenziarsi dal partito del Popolo della Libertà Condizionata. Deve finalmente esserci del sano antiberlusconismo (che a dispetto di quanto si dica, non è mai esistito: D’Alema ha avuto tre occasioni per farlo fuori, e non lo ha fatto per interessi personali inciuciosi), perché fin quando Berlusconi sarà in politica, non potrà mai esserci politica seria: ogni volta che si cercherà di parlare di povertà, di precari, di disoccupati e di altre miriadi di problemi italiani, Berlusconi, con le sue televisioni, riuscirà a buttarla in caciara, a farci parlare di Noemi Letizia e delle altre puttanelle in topless di Villa Certosa, del suo cappello da cow-boy, delle sue gaffe internazionali, delle sue barzellette sugli ebrei nelle camere a gas e sui negri nei campi di cotone, su un’emergenza stupri costruita ad arte, sui cani randagi siciliani, sui gggiovani d’oggi che scoprono che leccare la tappezzeria ha effetti stupefacenti.
Per questo motivo non si può consegnare il partito a Minimo D’Alema e ai suoi sgherri (primo fra tutti Pierluigi Bersani): se così sarà, il PD perderà l’occasione che si è guadagnata con queste europee. E allora sarà “forza Italia dei Valori” tutta la vita: la giustizia civile (che è ciò che chiede l’Idv) è la premessa per la giustizia sociale, il PD non può permettersi fuorilegge e sfuggiti alla legge (come il farabutto D’Alema), né dare l’idea con le sue candidature che la corruzione possa essere il sistema, più che un’eccezione da sopprimere (e dopo queste europee ci sarà gente nei guai con la giustizia che entrerà in Parlamento, usufruendo dello scudo spaziale). Franceschini ha cambiato linguaggio, ma non ha cambiato il partito: l’opposizione si fa in tutt’altro modo.
A livello europeo una piccola nota: è una disfatta per i socialisti europei. Si fa strada l’idea di un’alleanza fra socialisti e liberali democratici e riformisti (le cui posizioni coincidono già all’80%) per far fronte alla grande maggioranza del partito popolare europeo. In questo modo PD e Italia dei Valori si ritroverebbero nello stesso gruppo parlamentare (Franceschini, mi hai sentito?).