Silvio Berlusconi racconta palle. Ma una quantità di palle come non se n’è mai viste. Sono palle di pessima qualità, visto che lui è il primo a crederci.
E allora diciamola tutta: l’archivio Genchi non esiste. Genchi non ha intercettato nessuno. Non poteva farlo. Genchi elaborava dati, dati di un migliaio di utenze corrispondenti a molte meno persone, visto che dei parlamentari furbetti, per non essere intercettati, distribuivano schede SIM intestate a loro agli amici, in modo da essere coperti dall’occhio della magistratura (i telefoni dei parlamentari non possono essere messi sotto controllo).
Genchi non faceva altro che dire “Tizio telefona a Caio, che nomina Sempronio, che aveva chiamato Tizio un’ora prima”. Incrocia i dati, i numeri di telefono, un’operazione che serve a dare un’ambiente alle telefonate (perché intercettare la gente non è facile: pensate a quante persone voi chiamate per nome (Mario, Francesco, Giuseppe) e a quante persone con quel nome conoscete (Mario Rossi, Mario Bianchi, Mario Verdi). Genchi incrocerebbe i vostri dati per capire a quale Tizio, Caio, Sempronio o Mario vi riferite).
Berlusconi deve usare una vicenda (falsa) per fare pressione sull’opposizione: perché fra quelli finiti nell'”archivio Genchi” c’è anche gente di sinistra, tipo Rutelli. Berlusconi ha detto: “Ragazzi, siete nella merda pure voi, mettiamo il bavaglio a sti magistrati del cazzo tutti insieme, rendiamoli inutili e potremo fare quello che cazzo ci pare”.
Un po’ come Craxi alla Camera: “Sì io rubo, ma rubate pure voi. Salviamoci assieme e continueremo a rubare per tutti i secoli dei secoli.”
Questa storia ricorda quella del cimicione del 1996: Berlusconi convocò una conferenza stampa, urlando che i comunisti spiavano il leader dell’opposizione. Alla conferenza stampa mostrò un affare che forse si sarebbe potuto nascondere efficacemente dietro un palazzo o al monte Bianco: un modello di microspia che era già vecchio ai tempi della guerra franco-prussiana. Solidarietà di tutti: povero Silvio, i comunisti lo spiano, disse D’Alema (!). Poi si scoprì che, ufficialmente, quella cimice ce l’aveva messa un dipendente di Berlusconi.
Berlusconi, intanto, grazie a quell’escamotage, rimaneva a galla: dopo aver perso le elezioni (contro Prodi) sarebbe dovuto scomparire dalla faccia politica italiana, come sarebbe fisiologico in una democrazia bipolare quale era (a livello embrionale) la nascente seconda repubblica. Con il cimicione lui diventava una superstar e ottenne la bicamerale, durante la quale usò i baffi di D’Alema per pulirsi il culo. E oggi, dodici anni dopo, ce l’abbiamo ancora in giro.
Sempre e comunque a raccontare palle alle quali vari coglioni continuano a credere.
Un po’ come il mai avvenuto salvataggio di Alitalia.
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