Eccomi ritornato dopo una lunga pausa “forzata” ((Il mio pc ha fatto kaboom a causa di un vecchio workaround, dannoso ma necessario, cui si è aggiunto un raffreddore fastidioso.)). Un post per annunciare il mio liveblogging di questa notte per seguire i risultati di questa elezione che io vedo decisiva per i destini del mondo: a sinistra potete vedere già predisposto il widget collegato al mio account su Twitter, che trasmetterà i miei pensieri in diretta. Chi invece volesse seguirmi direttamente su Twitter, può recarsi su questa pagina.
Nel momento in cui scrivo i seggi sono aperti da qualche ora a New York, mentre stanno per aprirsi a Los Angeles. Va detto che, in teoria, l’elezione potrebbe concludersi anche all’una di notte, se uno dei due candidati vince determinati Stati chiave, ma ne riparleremo fra poco.
Ci siamo ormai abituati a vedere Barack Obama in vantaggio, in molti lo danno già per vincitore. Purtroppo, come spesso accade a ridosso del voto (in Italia non ce ne accorgiamo, perché la Legge impedisce di diffondere ufficialmente sondaggi nei quindici giorni precedenti il voto ((salvo poi Berlusconi che ce li riferisce ufficiosamente a reti unificate))), lo spread, ovvero la differenza fra i candidati si assottiglia e la vittoria di Obama è tutt’altro che certa.
Riepilogo un attimo il sistema elettorale americano: ogni Stato (Florida, California, etc.) elegge un certo numero di grandi elettori (Electoral Votes – EV) in proporzione alla propria popolazione. Più persone ci sono e più grandi elettori elegge. Il candidato che ottiene la maggioranza dei voti in uno Stato prende tutti i grandi elettori di quello Stato. Alla fine che ha più di 269 grandi elettori è il nuovo presidente.
Gli ultimi sondaggi di cui dispongo vedono Obama in vantaggio con 228 EV contro i 118 di John McCain. Questi sono i voti che si direbbero essere “sicuri”. Poi ci sono gli Stati in cui un candidato è in vantaggio, ma non è sicuro di riuscire a vincere. Anche in questo caso Obama è in vantaggio, con 50 EV a 14. Poi ci sono gli Stati che sono davvero indecisi, in cui tutto può succedere. In totale questi Stati “lancio della monetina” contano per 128 EV.
Insomma, la partita è apertissima, poiché non vi è certezza per ben 192 EV.
Stiamo parlando di sondaggi, ma i sondaggi non sono le urne. E qui entra in gioco un fenomeno chiamato “Effetto Bradley“. In parole povere, nel sondaggio dico che voto Obama così faccio vedere che non sono razzista, ma poi voto McCain che è bianco come la neve.
Qualcuno ha ipotizzato che questo effetto pesi per circa il 2-3% e in tal caso, se quest’ipotesi fosse esatta, McCain avrebbe la strada spianata per la vittoria. Se la soglia teorizzata del 3% fosse bassa nella pratica, McCain potrebbe già preparare le valigie per trasferirsi nella Casa Bianca.
Ma perché ho detto che verso l’una di notte potremmo già sapere in che direzione si va? Perché i seggi dell’Atlantico non aspetteranno che chiudano i seggi del Pacifico per contare i voti (al momento è mezzogiorno a New York e le 9 a San Francisco). Fatta una certa ora (se non sbaglio le 19, ora di NY), alcuni stati inizieranno lo spoglio e proclameranno un vincitore. E uno di questi Stati è la decisiva Virginia, con ben 13 EV: se Obama riesce a vincere lì, ci sono ottime probabilità che abbia vinto anche in altri Stati chiave.
Di quali Stati chiave parliamo? Innanzitutto della Pennsylvania (governatore democratico, Ed Rendell, rieletto nel 2006), Stato da 21 EV, che sembrava essere sicuramente democratico, ma che ora vede Obama con un semplice vantaggio. In secondo luogo della Florida (27 EV), Stato che sembrava di Obama fino a pochi giorni fa e che oggi è più incerto che mai. Infine, sempre rimanendo a est, l’Ohio, con 20 EV. Nel 2004 fu uno degli Stati in bilico che poi assegnarono la vittoria a Bush, ma nel 2006 ha eletto un governatore democratico, Ted Strickland.
Io personalmente vedo il primo verso Obama, mentre i secondi andrebbero a McCain. Diventerebbe decisiva la Virginia: Obama ha, secondo i sondaggi, sei punti di vantaggio che lo metterebbero al riparo dall’effetto Bradley nella misura di cui ho parlato prima. Inoltre in Virginia c’è un governatore democratico, Tim Kaine, uscito nel 2005, il che dovrebbe essere di buon auspicio.
Chiudo solo con qualche osservazione: il mio endorsement l’ho dato, lo vedete a destra in questo momento, ed è per Barack Obama. La sua vittoria potrebbe avere, a mio avviso, un effetto eccezionale non solo sugli USA, ma anche per il mondo, e non solo fra qualche anno, ma già adesso. Questa svolta sarebbe una ventata di ottimismo che farebbe bene al mondo.
La vittoria di McCain, invece, che troppo spesso ha inseguito il suo rivale denunciando di non avere una strategia precisa e andando quasi a casaccio, sarebbe solo un prolungamento di Bush, prolungamento del quale il mondo non sente davvero il bisogno.
Con questo chiudo e vi ricordo, qualora foste ancora svegli, il mio liveblogging su Twitter (anche se comincerò con sparute osservazioni già da ora). 😀
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Io il mio endorsement l’ho dato a McCain, non solo perché il suo programma mi convince di più, tranne forse che per il “Drill, baby, drill!!”, ma perché ha una ventina di anni di esperienza in più di Obama, il quale, sicuramente, si troverà (perché tanto la sua vittoria è quasi certa) inadatto ad affrontare crisi politiche e nella gestione (il presidente USA non è un fantoccio super-partes come Napolitano) della più grande [pseudo]democrazia del mondo. E poi, con buona probabilità, l’elezione di un presidente nero scatenerà moltissime nuove ondate di razzismo, e non perché sia una cosa giusta (tutt’altro) ma perché gli americani sono stupidi, capaci di scegliere qualcosa di nuovo per poi pentirsene dopo sei mesi. Ma, evidentemente, il “Change we need” ha fatto abboccare tanti pesci alla rete quanti ne hanno fatti scappare i repubblicani a portare alla Casa Bianca per otto (e dico ben otto, neanche quattro) il presidente più impopolare dal 1776. E chissà che gli americani che in queste ore stanno andando a votare non ripensino con nostalgia a Nixon..
Io il mio endorsement l’ho dato a McCain, non solo perché il suo programma mi convince di più, tranne forse che per il “Drill, baby, drill!!”, ma perché ha una ventina di anni di esperienza in più di Obama, il quale, sicuramente, si troverà (perché tanto la sua vittoria è quasi certa) inadatto ad affrontare crisi politiche e nella gestione (il presidente USA non è un fantoccio super-partes come Napolitano) della più grande [pseudo]democrazia del mondo. E poi, con buona probabilità, l’elezione di un presidente nero scatenerà moltissime nuove ondate di razzismo, e non perché sia una cosa giusta (tutt’altro) ma perché gli americani sono stupidi, capaci di scegliere qualcosa di nuovo per poi pentirsene dopo sei mesi. Ma, evidentemente, il “Change we need” ha fatto abboccare tanti pesci alla rete quanti ne hanno fatti scappare i repubblicani a portare alla Casa Bianca per otto (e dico ben otto, neanche quattro) il presidente più impopolare dal 1776. E chissà che gli americani che in queste ore stanno andando a votare non ripensino con nostalgia a Nixon..
Alla faccia dell’ottimismo. 🙂 Nel merito:
>perché ha una ventina di anni di esperienza in più di Obama
A me sembra un difetto, più che un pregio. Non è che Obama è un adolescente, né tantomeno si ritrova per la prima volta a Washington. Anzi, non so se hai visto il video: Obama si è smarcato dalle lobby, ha raccolto una marea di denaro grazie alle piccole donazioni. In questo modo non dovrà rispondere alle lobby, ma agli americani. Il caro mcCain, invece… non so quanto tu abbia approfondito il lobbysmo di Washington, ma noterai che più rimani in DC e più ci sei invischiato.
>inadatto ad affrontare crisi politiche e nella gestione
Mica è il Re Sole! C’è un Parlamento indipendente a controllarne l’operato e tutto un gabinetto di persone ed esperti a consigliarlo.
>il presidente USA non è un fantoccio super-partes come Napolitano
Se avessimo un esecutivo indipendente dal Parlamento, come negli USA, di Napolitano non avremmo bisogno. Va da sé che il paragone va fatto col Presidente del Consiglio italiano, più che con il Presidente della Repubblica. Berlusconi e Bush sono i capi dell’esecutivo, Napolitano non c’azzecca niente. È come paragonare mele e astronavi.
>l’elezione di un presidente nero scatenerà moltissime nuove ondate di razzismo
Obama più che nero è abbronzato, e infatti ha già avvisato i negri che non sarà il presidente delle minoranze ma il presidente di tutti. Se hai letto l’articolo, noterai che i razzisti tipo KKK sono una minoranza piccola, tanto che l’effetto Bradley è stato stimato appena al 3% (sarebbero i razzisti ipocriti). La vittoria di Obama non può essere dovuta al voto in massa della gente di colore, ma anche e soprattutto dei bianchi. Se vincesse Obama, insomma, vuol dire che negli USA c’è una grandissima maggioranza di popolazione cui non interessa il colore della pelle, e sarebbe una sconfitta per tutti gli eredi dei nazisti e del KKK.
>“Change we need” ha fatto abboccare tanti pesci alla rete quanti ne hanno fatti scappare i repubblicani a portare alla Casa Bianca per otto (e dico ben otto, neanche quattro) il presidente più impopolare dal 1776.
Non dubito che anche se avesse vinto Hillary la parola d’ordine sarebbe stata la stessa (immagino avrai notato che lo slogan alle primarie era “Yes, we can”, mutato poi in “Change we need”. Da come la vedo, era la strategia base preparata dal partito per l’elezione). Insomma, per i democratici è d’obbligo fare leva sull’odio scatenato dal bushismo, e l’avrebbero fatto anche con la vittoria di Hillary, proprio perché il mondo in cui viviamo oggi (dalla crisi finanziaria alla guerra in Iraq) è dovuto alle scelte compiute da Bush.
Nel caso non lo sapessi, comunque, il partito, negli USA, è politicamente insignificante. Sono delle grandi macchine elettorali che si attivano durante le elezioni e poi spariscono fino alla tornata successiva, non come da noi dove la politica si fa più nelle sedi di partito che in Parlamento. Per questo ritengo che la strategia del cambiamento sia stata preparata dagli strateghi dell’Asinello, piuttosto che dallo staff di Obama.
Alla faccia dell’ottimismo. 🙂 Nel merito:
>perché ha una ventina di anni di esperienza in più di Obama
A me sembra un difetto, più che un pregio. Non è che Obama è un adolescente, né tantomeno si ritrova per la prima volta a Washington. Anzi, non so se hai visto il video: Obama si è smarcato dalle lobby, ha raccolto una marea di denaro grazie alle piccole donazioni. In questo modo non dovrà rispondere alle lobby, ma agli americani. Il caro mcCain, invece… non so quanto tu abbia approfondito il lobbysmo di Washington, ma noterai che più rimani in DC e più ci sei invischiato.
>inadatto ad affrontare crisi politiche e nella gestione
Mica è il Re Sole! C’è un Parlamento indipendente a controllarne l’operato e tutto un gabinetto di persone ed esperti a consigliarlo.
>il presidente USA non è un fantoccio super-partes come Napolitano
Se avessimo un esecutivo indipendente dal Parlamento, come negli USA, di Napolitano non avremmo bisogno. Va da sé che il paragone va fatto col Presidente del Consiglio italiano, più che con il Presidente della Repubblica. Berlusconi e Bush sono i capi dell’esecutivo, Napolitano non c’azzecca niente. È come paragonare mele e astronavi.
>l’elezione di un presidente nero scatenerà moltissime nuove ondate di razzismo
Obama più che nero è abbronzato, e infatti ha già avvisato i negri che non sarà il presidente delle minoranze ma il presidente di tutti. Se hai letto l’articolo, noterai che i razzisti tipo KKK sono una minoranza piccola, tanto che l’effetto Bradley è stato stimato appena al 3% (sarebbero i razzisti ipocriti). La vittoria di Obama non può essere dovuta al voto in massa della gente di colore, ma anche e soprattutto dei bianchi. Se vincesse Obama, insomma, vuol dire che negli USA c’è una grandissima maggioranza di popolazione cui non interessa il colore della pelle, e sarebbe una sconfitta per tutti gli eredi dei nazisti e del KKK.
>“Change we need” ha fatto abboccare tanti pesci alla rete quanti ne hanno fatti scappare i repubblicani a portare alla Casa Bianca per otto (e dico ben otto, neanche quattro) il presidente più impopolare dal 1776.
Non dubito che anche se avesse vinto Hillary la parola d’ordine sarebbe stata la stessa (immagino avrai notato che lo slogan alle primarie era “Yes, we can”, mutato poi in “Change we need”. Da come la vedo, era la strategia base preparata dal partito per l’elezione). Insomma, per i democratici è d’obbligo fare leva sull’odio scatenato dal bushismo, e l’avrebbero fatto anche con la vittoria di Hillary, proprio perché il mondo in cui viviamo oggi (dalla crisi finanziaria alla guerra in Iraq) è dovuto alle scelte compiute da Bush.
Nel caso non lo sapessi, comunque, il partito, negli USA, è politicamente insignificante. Sono delle grandi macchine elettorali che si attivano durante le elezioni e poi spariscono fino alla tornata successiva, non come da noi dove la politica si fa più nelle sedi di partito che in Parlamento. Per questo ritengo che la strategia del cambiamento sia stata preparata dagli strateghi dell’Asinello, piuttosto che dallo staff di Obama.