Il governo Bersani, con le mani legate

Dice bene Ferruccio De Bortoli quando sottolinea che tutto questo parlare di tasse non è altro che un palloncino destinato a sgonfiarsi a marzo. Lo ha detto pure Bersani ieri sera, quando prometteva che “prima guardo i conti, poi taglio le tasse“.

Il succo rimane. Chi vi promette meno tasse nel breve periodo vi sta prendendo per i fondelli.

La proposta più coerente è quella di Oscar Giannino (Fare per Fermare il Declino), su cui torneremo approfonditamente appena avrò tempo. Però parla di riduzione della pressione fiscale nell’arco di 5 anni. Non domani. La stessa cosa la diceva pure Monti qualche tempo fa: parafrasando “se uno abolisce l’IMU nel 2013, dovrà rimetterla nel 2014″. All’esercito dei piedi per terra si aggiunge Bersani. Rimangono solo il pifferaio magico, il contabile più sopravvalutato dell’universo e il capo dei celti ladroni (( Berlusconi, Tremonti e Maroni. )) , che poi sono (guarda un po’ il caso) quelli che hanno avuto una formazione economica meno completa, per non dire completamente assente.

E per tacer del fatto che sono eminenti caz*ari.

Per cui scordiamoci cambiamenti di rotta nel 2013: passato febbraio, tutti gli occhi punteranno su Berlino. E finché non saranno passate le elezioni tedesche, possiamo dimenticarci un cambio di paradigma di qualche tipo. Per cui, almeno per quest’anno, il fiascal compact ce lo teniamo così com’è, poiché, al momento e assieme ai conti in ordine, è l’unica cosa che ci separa dal baratro (Draghi è stato chiaro: “io vi difendo a oltranza, purché abbiate i conti a posto” – ovvero che soddisfino i tedeschi). Passata la sbornia elettorale anche in Germania, auspicabilmente senza la Merkel, si potrà cominciare a fare quattro chiacchiere sui fallimenti dell’austerità.

Certamente il fiascal compact va cambiato: non è sbagliato tanto il principio (il deficit, e quindi il debito, non possono impazzire, come da pessima abitudine italiota ultradecennale), quanto i tempi. In recessione una stretta fiscale equivale ad ancora più recessione: serviva (e servirà) essere più morbidi, perché se non si esce dalla tempesta, l’austerità ad ogni costo aprirà più buchi di quelli che riempie. Per il 2013 si prevede una crescita dello zerovirgola praticamente ovunque, il che significa che, al netto del normale ottimismo, c’è il rischio di fare un altro anno sottozero. E perciò si dovrà ben parlare di razionalizzazione e allentamento delle briglie fiscali in mano alla Merkel.

Questa è la situazione in cui Bersani si troverà quando andrà a Palazzo Chigi.

Ma ci sono due incognite.

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2 Comments

  1. Nessuno ha un programma economico convincente; quello del PD poggia su di un punto debole: il dare per scontato che l’attuale atteggiamento della Germania sia demagogia elettorale destinata a sparire dopo le elezioni. Ma è solo una speranza.
    Io mi preparerei invece allo scenario peggiore. Se poi quello migliore dovesse verificarsi, tanto meglio. Ma rischiamo di ritrovarci nel 2014 ancora in recessione e con un tasso di disoccupazione al 15%.

    1. Più che sparire, quell’atteggiamento dovrebbe venire ridotto a più miti consigli: al momento se uno afferma di voler rinunciare alla conquista economica d’Europa rischia di essere penalizzato alle elezioni. Passata la sbornia, il prossimo governo potrà fare i conti con la realtà: già adesso il governo sta affrontando il rallentamento dell’economia tedesca, rinvenendo cause esogene, sia pure invertite (le chiamano “colpe di certi Paesi dell’Eurozona”).

      Questo sarà ancora più vero se la Germania si allineerà al vento di sinistra (anche se rischiamo di avere altri tipi di problemi).

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