Buongiorno, legge sul prezzo dei libri. Addio, cultura e concorrenza

Book burning (2)Da oggi (falso, vedi sotto) i prezzi dei libri sono calmierati per legge. Se un’azienda è più efficiente di un’altra nel vendere libri, anche digitali, non può far valere il proprio vantaggio competitivo; se un’azienda qualunque ha un magazzino pieno di roba invenduta, non può fare forti sconti per svuotarlo e fare largo ai nuovi titoli. Chi viene penalizzato è il cliente e lo Stato italiano intero, visto che questa norma scoraggia l’acquisto dei libri e quindi l’alfabetizzazione viene fortemente appesantita.

[Stamattina a Radio Uno sentivo di gente scandalizzata che diceva che il lavoro c’era: in Abruzzo non si trovano 400 fornai. Eccerto, un giovane che ha studiato per fare, che so, l’ingegnere informatico, il biotecnologo, ma pure il ragioniere e altre professioni, come vogliamo definirle, tipiche dei Paesi avanzati? Un giovane che ha studiato per le professioni del Terzo Millennio dovrebbe mettersi a fare il pane? Per carità, pur di sbarcare il lunario non si fanno gli schizzinosi, ma non si può accettare che un ingegnere aerospaziale faccia il fornaio per tutta la vita.]

Io non riesco a non pensare male: questi (e non parlo solo della destra) ci vogliono tenere nell’ignoranza e nella povertà (scriveva Montanelli che la ricchezza è condizione non sufficiente ma necessaria per lo sviluppo della cultura). L’istruzione e la ricerca vengono costantemente tagliati, per non parlare del digital divide (non solo dentro l’Italia, ma fra l’Italia e il resto del mondo avanzato); le classi medie e povere sono costantemente tartassate, sicché resta sempre meno per elevarsi culturalmente e quindi sperare in un futuro migliore (e lo vediamo in questa manovra); adesso questa idiozia dei libri a prezzo fisso. Siamo delle mucche da spremere!

De Mauro ha detto che in Italia solo il 20% delle persone sa scrivere, leggere e fare di calcolo quanto serve in una società avanzata. C’è poi il dato curioso (fonte: ISTAT) secondo cui il 47% degli italiani legge almeno un libro l’anno e il 44% più di tre. Il 10% degli italiani ha dichiarato di non possedere libri. Ma soprattutto l’indagine ha dimostrato che si leggono più libri nelle regioni ricche (al Nord) e fra le classi più ricche (esclusi gli studenti). Quale sarà l’effetto di questa legge su queste statistiche secondo voi?

Legge, va ricordato fino alla nausea, proposta da un esimio coglione del PD, il famigerato Ricardo Franco Levi, ormai nemico pubblico numero uno della cultura (vista anche la precedente proposta di obbligare anche i blog su Hello Kitty ad avere un direttore responsabile) e approvata in modo bipartisan, o come dice Diego Cajelli, in double penetration. Si tratta, molto semplicemente, di dinosauri tecnofobi che non ci stanno ad essere spazzati via dal progresso

E non venitemi a dire che così si tutelano le piccole librerie, perché le piccole librerie sono in coma da un bel pezzo, e da prima che esplodesse Amazon, e nessuno ha fatto niente. Sono senza dubbio fra i soggetti meno tutelati, visto che non possono assolutamente competere in una catena piena di distorsioni dell’accidenti come quella del libro (qualcuno ha detto Mondadori?). E non lo metto in dubbio. Ma questa legge non è fatta per loro e non le aiuterà.

Ricordo che quando andavo al liceo (2001-2006, mica un milione di anni fa) spesso mi recavo con degli amici presso una modesta libreria (ma ben fornita) a fare shopping. Solo che a un certo punto ci siamo accorti che eravamo diventati piuttosto esigenti, e il libraio, pur con tutta la bontà del mondo, non riusciva a procurarci ciò che volevamo leggere. In una delle mie prime visite a Milano, mia zia mi portò in varie Feltrinelli, dove era impiegata, e trovai molti dei libri che cercavo. Sicché sì passò al tradimento e andammo nel megastore aperto nel centro commerciale: trovammo quasi tutto quello che ci serviva. Ed era il 2004. Ma non era ancora finita. Di lì a poco scoprimmo IBS, con scelta ancora più grande (riuscirono a trovarmi un libro per cui avevo perso ogni speranza), con sconti e spedizione gratuita per ordini sopra un tot: costituimmo un gruppo di acquisto, i miei compari mi davano la loro lista, io ordinavo e pochi giorni dopo distribuivo i libri a scuola. E per noi morirono pure i megastore. (La libreria veniva ancora frequentata, ma il volume di spesa era drasticamente sceso)

E tutto alla faccia del “meno piccole librerie = minore scelta”.

Avete trovato la quadra? No? Ebbene, le piccole librerie stanno morendo da una decina d’anni almeno. Chi sta morendo di recente sono i megastore (qualcuno ha ridetto Mondadori?). Nonostante tutto, comprare su IBS o alla Feltrinelli era la stessa cosa, e magari preferivi la seconda se ti serviva un solo libro: il prezzo era lo stesso, non pagavi la spedizione e lo avevi subito fra le mani. Perché per salvare le piccole librerie non sono intervenuti una decina di anni fa? O cinque anni fa? Ve lo dico io perché. Perché sono già intervenuti a difesa delle piccole librerie: la legge sul prezzo fisso vige in Italia dal 2001 (legge 99). Ma le piccole librerie continuano a morire. Chissà, forse c’entra la grande distribuzione? Può darsi, visto che il 60% del mercato italiano è nelle mani di un pugno di soggetti (Mondadori, Feltrinelli, RCS, Giunti, Messaggerie, poi mi pare ci sia un 10% della De Agostini), il resto è spartito fra migliaia di altri (confronto: il 90% dell’editoria francese è in mano a 300 soggetti, in Italia la stessa percentuale è in mano a circa 50), per cui lo status quo andava benissimo (ivi compreso il segmento online, che era ugualmente nelle mani della grande distribuzione – a partire da IBS, gruppo Messaggerie, che controlla in vario modo Garzanti, Longanesi, la Salani che stampa Harry Potter, Chiare Lettere che partecipa a Il Fatto Quotidiano, eccetera). E l’esclusione dei piccoli a beneficio dei grandi continua: Feltrinelli e Mondadori (più il primo, in verità) stanno comprando concorrenti a non finire. Tutto questo fino a novembre 2010.

Poi a novembre arriva Amazon in Italia. È stata l’ennesima grande scoperta per me (vabbé, per me da ben prima del 2010): una scelta talmente vasta e prezzi talmente stracciati che non mi stupirei di trovare una Bibbia autografata da Gutenberg a sei euro (per quella autografata da Dio si stanno attrezzando). E come vuoi che i megastore competano con questi? Infatti grazie ad Amazon i libri in lingua italiana stanno diventando minoranza nella mia libreria: prima per avere un libro in inglese andavo alla Feltrinelli International (mica nella piccola libreria prussiana, figuriamoci se li trovavo!) di Piazza Cavour a Milano (pagando 5 euro di mezzi pubblici), adesso (o almeno fino a ieri) mi arrivano dagli USA via Nuova Zelanda con spedizione gratuita. E scontati. Con Amazon in Italia avrei ricominciato a comprare i libri italiani, ma adesso sucate: leggo tanto, ma il mio budget per i libri è fisso e non ho soldi da regalare agli oligopoli del menga. I libri italiani resistono ancora nella mia biblioteca digitale, ma o si tratta di ebook presi da Liber Liber o acquistati su Amazon.  Limitatamente al mio caso almeno, la legge Levi rappresenta la morte dell’editoria in lingua italiana, visto che comincerò ad acquistare esclusivamente su Amazon.com o su eBay internazionale (su eBay ho trovato un libro che non si stampava più da anni).

Ritorno in topic: a novembre arriva Amazon in Italia. E in men che non si dica arriva la legge Levi, che equipara l’editoria digitale a quella cartacea. C’avranno messo tre mesi ad approvare la legge (e siamo nel Paese in cui abbiamo varato due manovre correttive in due mesi, e la seconda la stiamo riscrivendo ex novo da 15 giorni). Che qulo.

Meanwhile, gli editori continueranno a fare i prezzi che vorranno, come prevede la legge, e, specie i grandi, potranno accordarsi con i grandi distributori (spesso le cose coincidono) per continuare a spazzare via piccoli editori, piccola distribuzione, piccole librerie com’è da almeno una decina d’anni, poiché i problemi di cui sopra non sono stati risolti manco di striscio. Il poco d’aria che arriverà impedirà a costoro (i piccoli) di inventare nuove strategie di business, sicché, nel lungo periodo, continuerà la moria.

In altre parole, invece di innovare e riformare la filiera, cogliere al volo le nuove tecnologie, si è preferito il protezionismo in un mercato che ancora necessita di svilupparsi. Non si possono fare paragoni con l’estero, visto che in Francia, Germania, Svizzera, eccetera, il mercato è ben più sviluppato, e gli investimenti in cultura non vengono tagliati (Amazon stima che i lettori interessanti [cioè che comprano, e non solo roba mainstream] per gli editori, in Italia, siano 5,5 milioni, meno del 10%, ricordo che non so quanto tempo fa in Francia erano almeno il doppio). È un ritornello vecchio di almeno un paio di secoli (tanto per, è il protezionismo del Regno delle Due Sicilie ad avere stroncato lo sviluppo economico del Sud Italia – anche se la mazzata finale è arrivata dalla sua non graduale abolizione da parte del Regno d’Italia, ma è un’altra storia).

Questo è il modo di pensare in questo Paese maledetto, dopotutto.

(Post scritto a puntate nelle settimane passate, scusate i cambi di stile e se non inserisco fonti per le info [come detto in questi giorni non ho tempo], ma se servono scrivetemi nei commenti.)

Photo Credits | April Sikorski from Brooklyn, USA (6.15.08Uploaded by mangostar) [CC-BY-SA-2.0], via Wikimedia Commons

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7 Comments

  1. Lo so che il tuo era solo un inciso in mezzo ad un discorso più ampio ma è un punto che mi preme discutere:
    Se hai studiato per fare l’ingegnere aereospaziale non hai il DIRITTO di fare l’ingegnere aereospaziale ma solo la possibilità. Non me ne frega niente se hai studiato sodo e se la tua famiglia ha fatto chissà quali sacrifici. Se servono 10 ingegneri aereospaziali e ce ne sono 15 cinque di questi dovranno trovarsi un altro lavoro oppure spostarsi ed andare da qualche parte dove ci siano posti disponibili.
    Il fatto che ci sia una sovrabbondanza di ingegneri/scienziati/letterati ed una carenza di fornai/elettricisti/imbianchini È un problema. E non è una questione di istruzione. Nel boschetto della mia fantasia ci sono fornai acculturatissimi che quando si lavano la farna dalle mani invece che guardare il grande fratello studiano per il puro gusto di studiare e perché guadagnano abbastanza da poterselo permettere.

  2. Lo so che il tuo era solo un inciso in mezzo ad un discorso più ampio ma è un punto che mi preme discutere:
    Se hai studiato per fare l’ingegnere aereospaziale non hai il DIRITTO di fare l’ingegnere aereospaziale ma solo la possibilità. Non me ne frega niente se hai studiato sodo e se la tua famiglia ha fatto chissà quali sacrifici. Se servono 10 ingegneri aereospaziali e ce ne sono 15 cinque di questi dovranno trovarsi un altro lavoro oppure spostarsi ed andare da qualche parte dove ci siano posti disponibili.
    Il fatto che ci sia una sovrabbondanza di ingegneri/scienziati/letterati ed una carenza di fornai/elettricisti/imbianchini È un problema. E non è una questione di istruzione. Nel boschetto della mia fantasia ci sono fornai acculturatissimi che quando si lavano la farna dalle mani invece che guardare il grande fratello studiano per il puro gusto di studiare e perché guadagnano abbastanza da poterselo permettere.

    1. Non è una questione di diritto a fare il lavoro per cui si è studiato, il punto è un altro: siamo in un sistema economico in cui i settori in crescita non sono quelli ad elevato valore aggiunto come negli altri Paesi avanzati, bensì quelli tradizionali a basso VA, il meid in Itali come va di moda dire, sicché aumenta la domanda di fornai (causa contrazione dell’offerta) e non quella degli ingegneri aerospaziali, com’è invece altrove (e infatti invece di lottare per quei 10 posti, che magari vengono assegnati ai figli di, lottano per i 30 negli USA, per esempio, dove magari l’anno prossimo saranno 31).

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