Google misura l’inflazione? Ma anche no

Scb bananas Fra i numerosissimi servizi creati nei laboratori di Google, c’è anche il Google Price Index (GPI – al momento non disponibile al pubblico), che in parole povere misura l’inflazione. O almeno così dicono.

Secondo questo strumento gli Stati Uniti sarebbero entrati in deflazione, ovvero i prezzi, invece che salire, scendono, al contrario di quanto dicono le statistiche ufficiali.

Un problema del GPI è che prende in esame solo i prezzi presenti in rete, il che costituisce un limite enorme di questo strumento, visto che vi sono cose che non vengono comprate in rete, e se accade, è un evento piuttosto raro.

Ma c’è un altro limite piuttosto interessante: in rete è più facile mettere a confronto prezzi diversi e scegliere quello più basso. Inoltre negli ultimi mesi si sono affacciate sui mercatini virtuali masse di gente in difficoltà a causa della crisi economica, gente costretta a vendere i suoi beni, e spesso e volentieri lo fa su internet. Tutto questo ha una conseguenza molto importante: per poter vendere un bene in rete, bisogna proporre prezzi sempre più bassi, poiché l’acquirente potrà facilmente trovare qualcun altro che offra un prezzo inferiore.

Nei negozi tradizionali il problema della ricerca limita le possibilità di confronto dei prezzi: magari a Napoli vendono lo stesso modello di webcam che sto cercando io a un prezzo inferiore rispetto al negozio della mia città, ma di certo non spenderò 30 euro d’aereo per risparmiarne tre. Ma anche nella stessa città le cose si fanno più difficili che su internet: per fare un confronto, dovrò recarmi in più negozi, per poi magari scoprire che quello con il prezzo più basso era il primo, sotto casa mia.

Dunque: alta possibilità di confronto e forte concorrenza di prezzo sia fra produttori e distributori diversi, sia fra questi e privati che vendono (e a volte svendono) articoli usati, seminuovi o addirittura ancora impacchettati, producono ovviamente una guerra dei prezzi che, in una situazione di domanda in crisi asmatica, genera deflazione.

Quindi non c’è niente di sorprendente se in rete c’è deflazione e anzi la notizia non è nient’altro che una curiosità. La vita reale, però, è diversa.

Sarà interessante, però, capire se il GPI potrà essere utilizzato per fare previsioni circa l’andamento dei prezzi reali, ad esempio verificando se nei prossimi mesi l’America entrerà in deflazione anche nelle statistiche ufficiali. In tal caso, le cose comincerebbero a farsi divertenti, per gli amanti della statistica.

Photo credits | Andrius Burlėga

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