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Non è una memoria, è un avvertimento

La memoria dell’avvocatura di Stato, presentata nell’ambito della questione legge Alfano sull’immunità delle più alte cariche dello Stato, somiglia ad un avvertimento.

Il 6 ottobre prossimo la Corte Costituzionale deciderà se essa può rimanere all’interno del nostro ordinamento giuridico ovvero, nei fatti, stabilire se il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (l’unico a beneficiare di questo scudo spaziale) deve essere o meno perseguito per i reati di cui è accusato.

Le tesi presentate dall’avvocatura meritano una grande attenzione, perché va letta anche fra le righe, come farò nel seguito di questo post.

La memoria, infatti, afferma che se il lodo venisse bocciato: «ci sarebbero danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere esercitate con l’impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso con danni in gran parte irreparabili». In altre parole, Berlusconi dovrebbe dimettersi (come accade in tutti i Paesi civili del mondo, basti pensare, ad esempio, a Ehud Olmert, che si dimise per un’accusa di corruzione – come Berlusconi – quando era ancora solo indagato – mentre Berlusconi è già ben oltre e senza il lodo sarebbe già arrivata la condanna in primo grado).

La memoria fa riferimento a un altro scandalo, quello Lockheed, che portò alle dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone, storpiandone il significato: Leone si dimise perché era giusto e sacrosanto difendersi dalle accuse come un cittadino normale, per evitare che una così alta carica (la più alta, simbolo dell’Unità della Nazione) fosse in qualche modo macchiata dallo scandalo. Leone, in quella sede, dimettendosi, difese l’istituzione del Capo dello Stato, lasciandola senza macchia, così come fanno tutti e ripeto tutti coloro che ricoprono pubblici uffici in un qualunque Paese democratico: si dimettono per non macchiare la propria funzione. Una prassi che Silvio Berlusconi ha sotterrato sotto valanghe di letame, portando nella vergogna la stessa istituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri e di riflesso l’intero Paese, declassato a una Repubblica delle Banane dove vige la legge della giungla.

Va ricordato che un simile scudo spaziale non esiste in nessun Paese a noi simile (e dove esiste – Francia, Grecia, Portogallo e Israele – vale solo per il capo dello Stato, e altrove per i re). Lo scrissi qui mesi fa.

Il 6 ottobre sarà una pessima giornata per la storia della Repubblica, comunque vada. Se il lodo Alfano dovesse passare, ci ritroveremmo di fronte all’evidenza che la Corte Costituzionale ha perduto la sua funzione: la Costituzione afferma, infatti, che “Tutti i cittadini sono […] eguali davanti alla legge” (articolo 3, oltre che l’articolo 24). Berlusconi è un cittadino e va perseguito come tutti gli altri cittadini sospettati di avere commesso un dato reato. Se Mario Rossi e Silvio Berlusconi rapinassero una banca, tutti e due dovrebbero essere perseguiti allo stesso modo. Se si vuole salvare Berlusconi dal processo in quanto premier, occorre non una legge ordinaria, bensì una legge costituzionale, così come avviene, ad esempio, per le prerogative parlamentari, regolate non dalla legge ordinaria quale è il lodo Alfano, bensì da una legge di rango costituzionale, ovvero l’articolo 68 della Costituzione. Di questo parere è la maggior parte dei costituzionalisti, e dovrebbe essere puro e semplice buonsenso.

A questo non si può supplire, come fa l’avvocatura dello Stato, invocando la serenità di un organo regolarmente eletto (non è il caso di Berlusconi a voler essere fedeli alla definizione di democrazia, ma passi): non si può invocare la serenità dell’organo dimenticando quella del popolo sovrano. La differenza fra Mario Rossi e Silvio Berlusconi è che Mario Rossi non rappresenta lo Stato: se Rossi rapina la banca è un problema suo, che non tocca la serenità del popolo; se lo fa Silvio Berlusconi, al contrario, pur, ovviamente, non essendo colpevole fino a sentenza definitiva, il popolo perde la serenità a causa del dubbio “Chi ci governa è un rapinatore di banche?”. E, ribadisco, è per questo che chi occupa uffici pubblici, di regola, si dimette, se non quando è solo indagato, quando viene rinviato a giudizio (e sul capo di Berlusconi pende addirittura una condanna virtuale in primo grado).

Se invece il lodo Alfano non dovesse passare, checché ne dica Maurizio Gasparri nei suoi arguti e intelligentissimi interventi, ci troveremmo in una brutta situazione e nessun Ghedini o Ghedoni potrebbe fare nulla: Berlusconi non solo dovrebbe dimettersi, ma ci sono pure alte probabilità che lo faccia e che chieda elezioni anticipate (ed è questo, in sintesi, l’avvertimento contenuto nella memoria dell’avvocatura). Il motivo è semplice: fare ricorso alla piazza e farsi assolvere per via elettorale. L’Italia vivrebbe in quel momento un periodo buio, poiché si presenterebbero le condizioni contenute in questo mio recente post. Le elezioni si terrebbero in un clima teso e colmo di violenza [verbale] (il Littorio Feltri che conosciamo oggi ci sembrerà un dolcissimo cucciolo), perché per Berlusconi sarebbero le elezioni della vita: se le perdesse sarebbe finito.

E c’è di peggio: dalla bocciatura potrebbe essere travolto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che firmò in tempi record e senza battere ciglio quella legge immonda.

C’è ancora una terza via: l’approvazione parziale, ovvero bocciare solo la parte della legge in cui si promette immunità ai presidenti di Camera e Senato (nel caso in cui si bocciasse anche l’immunità del premier ricadremmo nel caso di cui sopra). In quel caso il lodo Alfano perderebbe definitivamente la sua patina dorata, e diventerebbe a tutti gli effetti e senza scusa alcuna, una legge ad personam, la più vergognosa sinora scritta e approvata.

Insomma, il 6 ottobre sarà una giornata chiave per il regime, e una pagina buia per la storia italiana in ogni caso. Indiscrezioni affermano che la Consulta in questo momento è spaccata: su 15 membri, otto sono favorevoli alla bocciatura, cinque contrari e due incerti.

Non ci resta che aspettare e continuare a informare.

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