Giovanni Falcone

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Oggi è il 23 maggio 2009. Il 23 maggio 1992, diciassette anni fa, Giovanni Falcone fu ridotto in atomi da ben cinque quintali di tritolo piazzati sotto l’autostrada A29, nei pressi dello svincolo per Capaci. Con un telecomando Giovanni Brusca, uomo d’onore, fa sparire in un attimo uno dei magistrati che più si impegnarono nella lotta alla mafia (insieme alla moglie e a tre agenti della scorta).

Falcone era pericoloso per un motivo particolare: sapeva parlare ai mafiosi. Conosceva il loro modo di comportarsi, il loro codice, sapeva che prima di essere dei criminali, erano siciliani (non voglio dire che siciliani = mafiosi, bensì che nell’Italia delle regioni, i milanesi sono diversi dai napoletani e dai romani e dai torinesi, e ogni regione e addirittura ogni città ha un suo proprio modo di essere). Per questo finivano per fidarsi di Falcone e, pentiti, parlavano.

Giusto il giorno prima della sua morte Giovanni Falcone era diventato superprocuratore: Falcone tornava da Roma, dove la sua presenza sempre più frequente era evidentemente sgradita, visto che le indagini stavano pericolosamente arrivando nella capitale. Qualche passo indietro.

Il Consiglio Superiore della Magistratura affidò il pool antimafia (che aveva avuto grandi successi) ad Antonino Meli, invece che a Falcone. Meli, giustamente, smantellò il suddetto pool (il CSM pare avere qualche grosso problema, allora come oggi, se consideriamo che la storia si è ripetuta di recente, con la cacciata di Luigi De Magistris e Clementina Forleo, due magistrati che han fatto l’errore di indagare su esponenti della politica romana, oltre che su mafiosi e massoni).

La Corte di Cassazione, in particolare nella persona di Corrado “ammazzasentenze” Carnevale, demolì le sentenze del maxiprocesso di Palermo, che aveva finalmente introdotto la mafia nel mondo della Giustizia italiana, con 360 condanne per un totale di 2665 anni di carcere.

Fu attaccato (per motivi politici) dalla sinistra (PCI/PDS) perché entrò al ministero della Giustizia chiamato da un socialista, Claudio Martelli.

Fu attaccato dalla Democrazia Cristiana, dove comandava un signore di nome Giulio Andreotti (condannato definitivamente ma prescritto per concorso esterno in associazione mafiosa), a capo di una corrente di cui faceva parte, tra gli altri, un tale Salvo Lima, ucciso dalla mafia perché non stava facendo abbastanza per Cosa Nostra (questo nel marzo 1992, dunque pochi mesi prima di Falcone, segno che la mafia era davvero in crisi).

Fu, infine, sabotato da parte della magistratura: l’Associazione Nazionale Magistrati (la stessa associazione che oggi non si è incazzata dopo che il TAR ha stabilito che la Forleo è stata spostata illegittimamente) proclamò uno sciopero contro la Superprocura che Falcone promuove come più efficace strumento contro la mafia. Motivazioni, ancora, politiche.

Rimasto solo, Falcone commette un grosso errore: decide di non arrendersi. Qualcuno, ormai stanco di aspettare che se ne vada sulle sue gambe, si accorda con Totò Riina per tagliargliele una volta per tutte. Quel “qualcuno” è a tutt’oggi avvolto nel mistero, come pure non si sa chi sia quel genio che, dopo la cattura di Riina, non ne perquisì il covo, lasciando che altri uomini d’onore facessero sparire i documenti ivi nascosti.

Ma intanto Falcone salta in aria per mano della mafia (e tanto basta per dire che lui combatteva la mafia nel modo giusto, ergo qualche ragione ce l’aveva). Qualche giorno dopo Paolo Borsellino rilascia la sua celebre (per chi si informa autonomamente) intervista. Poi salterà in aria pure lui (ma ne riparleremo fra cinquantotto giorni).

Conclusione, che c’entra poco, ma rende l’idea di com’è cambiata l’Italia negli ultimi diciassette anni. Ieri un signore (come potete vedere nel video dell’epoca che segue) aggrediva verbalmente Giovanni Falcone, accusandolo di avere infangato l’immagine della Sicilia con le sue indagini. Oggi questo stesso signore è stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e siede (pertanto) al Senato della Repubblica italiana. Risponde al nome di Salvatore “Totò vasa-vasa” Cuffaro.

Abbiamo davvero la memoria corta.

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