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Un’Italia multietnica, la nostra scialuppa di salvataggio

Pare che a qualcuno non sia chiaro: la società multietnica è la sola cosa che separa l’Italia in crisi strutturale da quindici anni dall’abisso del declino, dalla retrocessione a Paese del secondo mondo.

In Italia c’è un problema cronico: gli italiani (quelli di razza ariana) non fanno figli. E quando li fanno, spesso e volentieri se ne vanno all’estero.

Siccome sono i giovani a lavorare, ovvero a produrre ricchezza, meno figli si fanno e meno ricchezza si produce. Al contrario, la vita si allunga sempre più e avremo presto tantissimi ultraottantenni cui non potremo chiedere di lavorare, perché non possono permettersi scorte di viagra e altre “medicine” come il nostro Presidente Silvio Berlusconi, che a oltre settant’anni frequenta minorenni.

Non fosse che il problema è comune a tutti i Paesi occidentali, in Italia c’è pure una classe politica che ormai, data l’età, ha già inseminato almeno un paio di donne (come dimenticare Berlusconi, l’ultra cattolico Piercasinando Casini, ecc.) e hanno già avuto una decina di figli. Perché mai occuparsi di chi i figli vorrebbe farli? La famiglia è al primo posto in tutti i programmi elettorali. Salvo poi, finite le elezioni, lasciare il posto ad un altro tipo di Famiglia.

Ecco allora che l’Italia vive con stipendi da fame e da precaria. «Il mio contratto scade fra sei mesi, chissà se me lo rinnovano: come faccio a pensare ad un figlio, che nascerà fra nove mesi? Se vado in maternità, non ho tutela (vedasi caso Alitalia) e mi licenziano. Se sono ostinata e lo faccio lo stesso poi dovrò pagare qualcuno per controllarlo mentre sono al lavoro (se ce l’ho ancora), perché un bambino su quattro non trova posto negli asili». Eccetera.

All’estero, per dirne due: in Francia hanno adottato il quoziente familiare, ovvero più fai figli e meno tasse paghi. Tra l’altro lo Stato ti dà una marea di aiuti (e infatti la Francia spende un sacco di soldi per queste cose – l’Italia, invece, deve pagare la marea di debiti che ci ha lasciato il mai abbastanza osannato Bottino Craxi). In Germania, invece, si è fatta una cosa semplice semplice: un reddito minimo. Tutti i tedeschi devono guadagnare almeno tot euro, per legge, e se non hanno un lavoro paga lo Stato.

In Italia del quoziente familiare si è parlato in campagna elettorale, lo ha proposto Berlusconi, ma in giro non si è visto manco come proposta. Il reddito minimo che avrebbe dovuto sostituire tutti i sussidi, aiuti e compagnia bella, è stato proposto dall’economista Tito Boeri, che s’è pure scomodato per suggerire a Giulio Tremonti da dove prendere i quattrini necessari per garantire a tutti i cittadini italiani un minimo di dignità. Ma Tremonti non l’ha manco preso in considerazione, perché per parlare di economia devi chiamarti con un nome ariano, tipo Giulio, mica con un nome comunista come Tito. E poi a Giulio nessuno suggerisce niente, lui c’ha il dono della preveggenza (di cui parlerò stasera).

Tornando in topic. Gli italiani non fanno figli, e questo ci porta inesorabilmente verso l’abisso. E la classe politica non aiuta.

Voi comunisti direte: beh, loro hanno la pensione assicurata, che je frega?

E invece no. Versione semplificata del sistema pensionistico italiano. Tizio ha cinquant’anni. Lo Stato prende dalla sua busta paga un tot di soldi e lo versa come pensione al padre di Tizio. Fra una ventina di anni Tizio andrà in pensione, e sarà suo figlio lavoratore a pagarla.

Tutto perfetto? Ma neanche per idea. L’età media si allunga: il padre di Tizio, vent’anni dopo ha novant’anni, ed è ancora vivo (provocando l’ira di Maroni e Tremonti). Suo figlio Tizio (settant’anni) è ormai in pensione. Il figlio di Tizio, quindi, dovrà pagare la pensione sia a suo padre che a suo nonno.

Altro scenario: Tizio e sua moglie Caia hanno avuto (o hanno potuto permettersi) un solo figlio. Vanno in pensione. Il figlio dovrà dunque pagare la pensione sia al padre che alla madre. Senza considerare gli eventuali nonni che si ostinano a rimanere in vita, nonostante i riti vudù messi in atto da Tremonti.

Pare dunque evidente che in un Paese dove si nasce poco e non si muore più il sistema delle pensioni basato su un contratto fra le generazioni (tu padre mi lasci un’Italia dove lavorare e fare figli così che io figlio domani possa pagarti la pensione) non possa reggere. Probabilmente è necessaria una riforma, modello americano o cileno. O magari all’italiana, abolendola de facto, abbisognando di sessant’anni di contributi e di un’età minima di ottant’anni per ricevere la pensione (è quello che stanno facendo i destrorsi, casomai ve ne siate accorti). Così crepi prima di riceverla e risparmiamo.

Ma c’è un metodo molto più semplice per migliorare la situazione. Accogliere gli immigrati a braccia aperte. Gli immigrati lavorano. Sì, forse ci sono anche dei criminali (che ipocrisia: ci sono un sacco di criminali in Parlamento, a cominciare da quel ladro di Umberto Bossi, leader della Lega Ariana del Nord, che prese tangenti, che ha il coraggio di chiamare criminali persone che neppure conoscono). Ma la stragrande maggioranza degli immigrati (come gli italiani, del resto) sono persone oneste e lavoratrici, che fanno lavori che noi italiani in pura lana ariana extravergine d’oliva non vogliamo più fare.

Oggi gli immigrati producono svariati punti di PIL (e se il loro datore di lavoro – italiano biondo con gli occhi azzurri – non è un criminale – caso raro -, pagano pure le tasse). E non solo: gli immigrati fanno figli, un sacco di figli, ed è grazie a loro che abbiamo raggiunto la quota di sessanta milioni di abitanti. E questi qui pagheranno non solo la pensione del padre loro ma pure del padre tuo o della madre tua. O di tutt’e due. E questo vale sia per l’ultimo degli operai che per il più strapagato parlamentare.

Ma se faremo passare la linea dell’intolleranza, del razzismo, del fascismo come vogliono questi imbecilli che non hanno capito un emerito cazzo (Berlusconi, Maroni, Calderoli e tutti gli analfabeti leghisti e fascisti), l’Italia sarà condannata a subire un declino sempre più inevitabile. E sui barconi, ammassati a gruppi di duecento persone alla volta cercando di raggiungere l’Albania, senza cibo né acqua, in futuro rischiamo di esserci noi.

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