Una proposta di cambiamento per la norma D’Alia sulla censura della rete

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione. Le modifiche sono in blu.

Roberto Cassinelli, deputato del PdL, ha annunciato di avere presentato un emendamento alla norma D’Alia (l’articolo 60 del PDL 2180), quella che prevede la chiusura di un sito se all’interno dello stesso qualcuno (non necessariamente l’autore o il proprietario) invita a disobbedire alle leggi.

Una rapida lettura: gli articoli 1 e 2 dell’emendamento prevedono (tra le altre cose) che l’ordine non possa più provenire dal ministro dell’interno, ma dall’autorità giudiziaria, che prima dovrà informare l’interessato (il presunto colpevole) e ordinare la rimozione del contenuto entro ventiquattro ore e poi, se questo non interverrà con la rimozione, scatterà l’oscuramento del sito, ma non ad opera dei provider, come prevede la norma D’Alia, bensì del gestore dello hosting.

Si fanno due mezzi passi avanti: da un lato si dà la possibilità all’autore o al gestore del sito di rimuovere il contenuto a titolo preventivo o cautelare, dall’altro si toglie discrezionalità al ministro dell’Interno. La norma così come scritta adesso, infatti, prevede che il ministro possa ordinare l’oscuramento del sito in pieno stile cinese senza dare al gestore del sito alcuna possibilità di rimediare al danno. Si chiude e basta, per la serie, prima t’ammazzano e poi ti fanno domande.

Nasce però un problema: cosa accade se il gestore dello hosting è all’estero? (In una mail inviatami ieri sera, Cassinelli ha risposto: «Il criterio di diritto internazionale privato cui si ispira la giurisprudenza italiana (come peraltro avviene anche in Francia e negli USA) è quello della diffusione del contenuto/nazionalizzazione. Se Youtube nazionalizza il suo sito e si rivolge ai netcitizen italiani, risponde in Italia. In talune occasione potrà esserci la difficoltà di raggiungere tempestivamente il gestore della piattaforma, ma giuridicamente il sistema funziona.»)

L’articolo 3 dell’emendamento Cassinelli prevede che si applichino le norme contenute all’articolo 321 del codice di procedura penale, ovvero quella sul famigerato sequestro preventivo.

L’articolo 4 prevede invece l’istituzione di un tavolo tecnico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri «per il coordinamento dell’attività di monitoraggio e repressione dei reati commessi a mezzo internet».

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