Qualche giorno fa Silvio Berlusconi ha affermato che «Nel ’92 la magistratura iniziò un’azione verso i cinque partiti democratici che, pur con molti errori, erano riusciti a garantire per 50 anni progresso e benessere». Si rivolgeva, ovviamente, allo scandalo di Mani Pulite (o Tangentopoli), fra i cui protagonisti c’era anche Antonio Di Pietro, all’epoca magistrato che indagava su un sistema di corruzione che coinvolgeva larga parte della politica e dell’imprenditoria italiana. Berlusconi, tra l’altro, è sia politico ((sia pure solo di nome)) che imprenditore.
L’abbiamo cominciato a dire di recente nella rubrica sulla storia italiana: il progresso e il benessere di cui parla Berlusconi ci sono stati. Il problema è che il costo di questo progresso e di questo benessere non è stato ancora pagato. Immaginate una grande tavolata a cui partecipano tante persone che si abbuffano alla grande: a poco a poco tutti si alzano dal tavolo e alla fine l’ultimo rimasto deve pagare un conto astronomico.
È quello che è successo in Italia: abbiamo mangiato a scrocco per sessant’anni e stiamo per arrivare al momento in cui bisogna pagare il conto (avete presente il debito pubblico stratosferico che abbiamo? Quello è il conto da pagare). Come siamo arrivati a questo punto?
La lotta alla corruzione non è un problema morale, come lo definirebbe qualcuno “un crimine senza sangue”, da poter passare in secondo piano perché “il Paese ha altre priorità”. È, in primo luogo, un problema economico. Quando ci dicono che “non interessa alla gente”, ci stanno distraendo per metterci le mani nel portafogli.
La corruzione è uno di quei fallimenti del mercato di cui parlavamo qualche giorno fa. I fallimenti del mercato, come detto allora, comportano delle esternalità, ovvero dei costi sociali, ovvero ancora costi a carico di tutti i cittadini.
La corruzione determina inefficienza. La corruzione impoverisce tutti e arricchisce pochi (politici e imprenditori).
La corruzione, in primo luogo, aumenta i costi nel settore privato, delle imprese, le quali, per rifarsi, come ha descritto uno dei protagonisti della Tangentopoli torinese degli anni Ottanta, Adriano Zampini ((Un faccendiere che ha fatto fortuna corrompendo e che si è fatto diversi anni di galera per questo)), gonfiavano a dismisura i propri conti. Facciamo un esempio pratico.
Bisogna costruire un’autostrada. La prima cosa da fare è vincere l’appalto: Zampini descriveva come le imprese si mettessero d’accordo in modo tale che vincesse una di loro, in modo che, a turno, tutti riuscissero ad avere appalti. Una volta vinto l’appalto si pagavano i politici che avevano permesso tale vittoria, di solito il 10% del valore. Dopodiché bisognava rifarsi. Dai, diciamo, 100 milioni preventivati (100 milioni che pagava lo Stato, ovvero noi), si facevano nuove perizie, nuovi studi, e i costi, miracolosamente, lievitavano, diciamo fino a 110 milioni. In questo modo le imprese ricavavano i “normali” 100 milioni dall’appalto più i 10 milioni che venivano girati ai partiti ((Ed eventualmente anche altro: facevano, come si dice dalle mie parti, la “zuppa” o la “cresta”, ovviamente a spese di noi cittadini)). Lo Stato, governato dagli stessi partiti che avevano assegnato l’appalto e ricevuto la tangente, doveva quindi pagare 110 milioni, e come li pagava? In parte con le tasse (ovvero i nostri soldi oggi) e in parte emettendo debito (ovvero i nostri soldi domani).
Ora pensate a quante strade, ferrovie, ponti, aeroporti, palazzi e infrastrutture varie sono state costruite fino ad oggi in sessant’anni. Pensate a quanti miliardi e miliardi di appalti sono stati assegnati e pensate al 10% di miliardi e miliardi pagato in tangenti. E ora è facile capire come mai abbiamo questo debito mostruoso (ovvero soldi che dovremo pagare domani) e una imposizione fiscale altissima (ovvero soldi che paghiamo oggi).
Antonio Fazio (quindi non un comunista preso a caso, ma un ex governatore di Bankitalia e amico dei furbetti del quartierino) diceva sul Corriere della Sera a suo tempo che «la corruzione ha gonfiato la spesa pubblica, inceppato il mercato, ostacolato la selezione dei fornitori e dei prodotti migliori». La definisce una «tassazione impropria […] che alla fine ricade sulla collettività». Lo stesso articolo ricordava che le metropolitane italiane costavano miracolosamente il triplo di quelle francesi. E non mi sembra di vedere treni o rotaie d’oro. E sempre in quell’articolo si citava l’economista Mario Deaglio, che stimava in diecimila miliardi di lire annui la spesa per tangenti dalle imprese ai politici. Diecimila miliardi l’anno che abbiamo pagato o che pagheremo noi, con tanto di interessi e interessi sugli interessi: altro che mutui subprime!
E questo è solo uno degli effetti della corruzione, che distorce la politica, facendole fare non il bene di tutti, ma il bene di qualcuno; che distorce la giustizia ((basti pensare alla condanna (passata in giudicato) per corruzione giudiziaria verso Cesare Previti in una vicenda che portò nelle tasche di Berlusconi la Mondadori)); che distorce la pubblica amministrazione; che distorce il mercato, facendoci pagare non le cose migliori, ma le cose scelte da poche persone che si spartivano gli appalti a turno ((e oggi crollano le scuole)); che inquina l’ambiente (e non in senso metaforico). Si può continuare all’infinito.
Tangentopoli non ha spazzato via cinquant’anni di benessere, come dice Berlusconi. Tangentopoli ha tentato di spazzare via un sistema che arricchiva poche persone e che stava per esplodere.
Tangentopoli non ce l’ha fatta, come vedremo fra qualche settimana ((Per chi non potesse resistere riassumerò: la classe politica allora al potere tentò di bloccare tutto con il decreto Conso, un colpo di spugna che per fortuna il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro respinse con fermezza; negò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi, referente politico di Berlusconi, tra le altre cose, che ammise in Parlamento prima e in Tribunale poi di avere ricevuto finanziamenti illeciti perché “lo facevano tutti”, mentre i deputati della Lega Nord, oggi partito di governo insieme a molti politici dell’epoca, li chiamava “ladri”; Berlusconi cavalca l’onda dello sdegno, si presenta come il simbolo della nuova classe politica, vince le elezioni e cosa fa il suo governo (che contava, a mero titolo di esempio, al ministero dell’Interno un certo Roberto Maroni)? Emana il decreto salva-ladri, approfittando del fatto che l’opinione pubblica era distratta (per la teoria dei corsi e ricorsi storici) dalla TV (l’Italia stava giocando la semifinale del Mondiale di calcio USA ’94); molti fra corrotti e corruttori escono di prigione; Di Pietro inizia ad indagare anche su Berlusconi e subito dopo è costretto a dimettersi dalla magistratura poiché indagato in moltissime inchieste (sempre archiviate per non aver commesso il fatto); il pool ha perso il suo pezzo più importante; poco dopo interverrà D’Alema, che con la sua Bicamerale, con Berlusconi e con la riforma della giustizia cancellerà molte delle prove raccolte dal pool, cancellando di fatto la vicenda Tangentopoli.)) . Il momento di pagare il conto sta per arrivare, siamo noi la generazione che lascerà per ultimo il tavolo dell’abbondanza, dovrà mettere mani al portafoglio e pagare per tutti. E i vari Berlusconi, D’Alema, Veltroni, Fini e compagnia bella se ne staranno a casa a godersi la pensione di parlamentare. A spese nostre.
Oggi Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio e imprenditore, attacca Tangentopoli, lo scandalo della politica e degli affari. Oggi (come altre volte in passato) Silvio Berlusconi è sotto processo ((sospeso per lodo Alfano)) per corruzione. Il governo Berlusconi ha tagliato l’Ufficio Europeo Anticorruzione, visto come uno spreco ((Il solito bue che dice cornuto all’asino)). E non è l’unico politico in attività ad essere sotto inchiesta per reati simili o assimilabili, sia a destra che a sinistra (visto che si coprono a vicenda, si vedano le vicende Dell’Utri/mafia e D’Alema/Latorre((e molti altri))/furbetti del quartierino).