#iranelection

Quel che accade in Iran dovrebbe essere noto. Ci sono state delle elezioni (che ho seguito brevemente con il mio account Twitter), che in un primo momento avevano portato il riformista Mir Hossein Moussavi a cantare vittoria, anche perché i sondaggi della vigilia non prevedevano una vittoria del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, bensì al minimo un ballottaggio, visto che il presidente in carica veniva visto avanti con solo il 33% delle preferenze.

Invece Ahmadinejad avrebbe vinto addirittura con trenta punti in più. Uno sbaglio clamoroso dei sondaggi? Secondo gli analisti no, la vittoria sarebbe frutto di brogli.

Lo sfidante Moussavi è stato messo agli arresti domiciliari, ma è riuscito a comunicare con i suoi sostenitori e con il mondo attraverso Twitter. E lì si è scatenato il finimondo.

L’Iran non è un Paese di beduini, perlomeno non lo sono le città (chi ha visto il film «Mai senza mia figlia» qualche sera fa?). Dunque la protesta, oltre che in piazza, è andata in onda sulla rete, non solo per informare gli iraniani, ma per chiedere aiuto a mondo.

Il governo (che a dispetto delle apparenze non è democratico, bensì teocratico, con la guida Alì Khamenei a tenere ben saldo il potere temporale) ha fatto scattare immediatamente la repressione. La versione locale della polizia postale, infatti, si è messa a monitorare Twitter, Facebook, FriendFeed (da notare il crollo del traffico), mettendosi a bloccare gli indirizzi IP che diffondevano informazioni con il tag #iranelection. Ma non solo.

Ieri sera a Linea Notte è stato mandato in onda un video con gente in borghese e armati di bastoni (praticamente come i nostri futuri rondisti) che bastonavano tutti non solo per strada, informati dalla polizia, infatti, questi signori si sono messi a spaccare i vetri delle case per penetrarvi all’interno, e nelle immagini si vede benissimo. Quel che non si vede è quel che succede nella casa, ma possiamo immaginarlo.

Perché questi rondisti penetrano nelle case? Semplicemente perché sono stati informati dalla polizia che dal computer di quella casa sono partiti messaggi sospetti. E allora non solo li bloccano, ma mandano pure dei vandali a sfasciargli la testa, giusto per togliere ogni dubbio.

Khamenei, per tentare di sedare la protesta, ha deciso che i voti verranno ricontati: voi ve l’immaginate che gli autori dei brogli che impongono di ricontare per bene le schede?

Gli iraniani vanno aiutati perché riescano a spostare da soli il proprio Paese da una dittatura verso la democrazia. Possiamo farlo in due modi: il primo è fare pressione sui nostri governi (anche se dubito che quello italiano farà qualcosa, visto che, dopo aver ospitato Gheddafi per avere il suo petrolio, non proverà a muoversi, rischiando di inimicarsi uno dei nostri primi partner commerciali); il secondo è aiutare la diffusione delle notizie sull’Iran attraverso i nostri pc. Il come ce lo spiega Cory Doctorow, che io ho letto su Mantellini (una versione più estesa della guida alla cyberguerra in Iran si trova, invece, qui).

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