Giusto due riflessioni scritte davvero di getto per dire perché, secondo la mia modesta opinione, il comunismo è bello ma impossibile, e perché il capitalismo funziona ma non sempre.
Si parte da un pensiero che pare ovvio, ma non lo è. Le economie che prendono decisioni giuste diventano economie ricche. Le economie che prendono decisioni sbagliate diventano economie povere.
I valori alla base del comunismo sono certamente molto belli:
- Tutti gli uomini sono uguali;
- Ognuno dà quel che può;
- Ognuno riceve ciò di cui ha bisogno.
Grazie a questi valori, il marxismo-leninismo è diventata una grande macchina per la raccolta del consenso. Il problema è che non può funzionare.
Tutte le economie (che siano superpotenze, imprese o singole persone) devono prendere decisioni riguardante allocazione e produzione. Le persone devono decidere, ad esempio, come usare il proprio tempo (quanto lavorare, quanto fare altro). Gli stati devono decidere dove devono andare i soldi, in questo o in quel progetto, in questo o in quel settore dell’economia.
Le economie comuniste devono essere necessariamente centraliste (e storicamente lo sono), poiché, al contrario, può accadere che individui della stessa comunità finiscano per dare meno di quel che possono o ricevere meno di quanto hanno bisogno (o viceversa). Basti pensare alle differenze che c’erano fra i vari Paesi comunisti. Insomma, ci deve essere qualcuno che decide in che modo tutti gli uomini sono uguali e agire di conseguenza.
Il problema del centralismo è che troppe informazioni e troppe alternative finiscono nelle mani dei pianificatori. Più grande è il progetto, maggiori saranno le informazioni necessarie. Da questo deriva il problema della qualità: se le informazioni sono troppe, diventa difficile discernere fra informazioni di qualità alta e bassa. Ci sono poi problemi politici e pregiudizi personali: ai pianificatori un certo progetto potrebbe non piacere per motivi che non sono razionali. Si passa quindi all’implementazione: un piano razionale ed efficiente, ad esempio, potrebbe essere scartato perché il popolo e/o i pianificatori stessi (se alla ricerca del consenso) lo ritengono un peggioramento rispetto alla situazione attuale. Infine, nel caso una politica fallisca, i pianificatori daranno la colpa agli “implementatori” e viceversa. Questa situazione può essere risolta grazie alle informazioni, ma se le informazioni sono troppe diventerà difficile non solo trovare i responsabili, ma anche decidere come correggere la nuova politica. E si ritorna all’inizio del paragrafo. Larry Harris ha scritto nel suo “must read” Trading & Exchanges (vado a memoria) che «comunismo e comunicazione condividono la medesima radice “comune”, che indica un gruppo che condivide qualcosa. Ironicamente, però, è stata proprio l’incapacità del comunismo nel comunicare in modo adeguato le informazioni necessarie per far funzionare l’economia». Giusto come nota di colore, Gordon Gekko, in Wall Street, ricorda che «The most valuable commodity I know of, is information».
Questo è l’errore del comunismo, errore che, come sappiamo, ha portato alla dissoluzione di una bella utopia.
Il capitalismo risolve il problema in altro modo: invece di un’unica autorità che decide il destino di tutti, le decisioni su come allocare le risorse e sul cosa produrre vengono prese a livelli inferiori, più piccoli, in modo tale che le informazioni necessarie per prendere decisioni, per correggerle e per punire chi sbaglia siano minori (riuscendo quindi a distinguere le buone informazioni dalle cattive). Interviene poi il mercato che, con i suoi prezzi, è in grado di riassumere in modo efficace tutte le informazioni.
Questo ovviamente in teoria: a differenza del comunismo, però, che pure funziona bene in teoria, l’errore, o meglio, gli errori sono interni al capitalismo stesso.
Il mercato non si autoregola in modo efficace, e lo sappiamo tutti. C’è bisogno di qualcuno che faccia la guardia, e quel qualcuno, ovviamente, sono i governi (che ricomprende le autorità indipendenti). Ogni governo, a seconda del suo colore politico, può avere priorità diverse e per questo intervenire in economia in modi estremamente variegati. Poniamo un caso fantasioso: fra qualche (anno, decennio, secolo, fate voi) verranno introdotte auto che fluttuano nell’aria a prezzi simili rispetto alle nostre quattro ruote. Ipotizziamo che la FIAT non abbia scommesso su questa rivoluzione: i prezzi delle azioni della FIAT crollano perché nessuno vuole le sue auto. Il governo, nel tentativo di salvare i posti di lavoro nel brevissimo termine, taglia le tasse alla FIAT la quale può vendere le sue vecchie auto a prezzi più bassi, riuscendo a difendersi. Le azioni risalgono, ma il mercato è distorto, e il taglio delle tasse crea problemi sull’intera collettività (ad esempio si aumentano le tasse, magari agli stessi lavoratori cui si è salvato il posto, oppure esplode il debito pubblico).
Usciamo dalla metafora e rientriamo nella realtà: fino al 2004 Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve, aveva in mano un intero Paese (ricordo una bella vignetta di Larry Wright sul mio manuale di macroeconomia che ben disegnava il potere del Reverendo Greenspan che con una sola parola poteva cambiare il corso del mondo), e con le sue manovre (principalmente inondando il mercato di denaro) ha dato agli Stati Uniti un periodo di grande prosperità. Purtroppo, però, quel fiume di denaro, se da un lato ha creato ricchezza nel breve termine, ha creato la crisi finanziaria che stiamo vivendo (infatti oggi siamo nel medio-lungo periodo di ieri).
Ci sono stati poi fallimenti nella vigilanza: pensiamo, ad esempio, agli scandali Parmalat, Cirio, Enron, Worldcom, Madoff; oppure pensiamo ai titoli spazzatura che venivano spacciati per titoli di altissima qualità (e che, per la cronaca, sono ancora in giro per il mondo). È evidentemente mancato il controllo delle autorità pubbliche (che, a posteriori, sono intervenute e stanno intervenendo – non in Italia, basti pensare, non mi stancherò mai di ripeterlo, alla depenalizzazione del falso in bilancio per salvare Silvio Berlusconi e i suoi amici mentre in tutto il mondo se rubi una mela oggi rischi l’ergastolo).
Questi sono errori nel capitalismo, errori risolvibili, ma occorrono varie condizioni, fra cui mi piace ricordare un governo che riesca a cercare l’intervento per il bene comune, e non solo di certi strati della popolazione, quindi un governo intellettualmente onesto, il che implica un elettorato ben informato (e messo di fronte ad alternative realmente differenti – se i partiti di destra e di sinistra non sono intellettualmente onesti – per l’Italia leggi: se sia i capoccia del PD che i capoccia del PdL sono costantemente coinvolti in inchieste e scandali – non c’è scampo); e inoltre un governo che sia capace almeno di provare a vedere le conseguenze di medio-lungo periodo che le sue decisioni possono comportare (e questa è probabilmente la condizione più difficile: la vita dei governi è davvero breve, basti pensare che la crisi finanziaria è venuta dopo la presidenza di Bill Clinton, che sostanzialmente ha aperto le porte alla crisi – ma che ancora gode di un forte peso – , dopo la presidenza di George W. Bush, che ne ha vissuto solo l’ultimo anno e che, essendo in fine mandato, non è stato – ancora – adeguatamente punito – ci penserà la storia, contrariamente a quanto afferma il nostro premier -, e del regno di Greenspan, finito nel 2006).
Gli economisti, nel corso del tempo, hanno generato un’incredibile letteratura in questo campo, e praticamente in ogni corso di economia che ho frequentato venivano ripetuti gli stessi identici concetti riguardo conflitti di interesse, asimmetria informativa e compagnia bella. Il problema, almeno dalle nostre parti, è che chi si occupa di economia, troppo spesso non è un’economista e spesso non sa (o non vuole sapere) tutte queste cose.
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Ottimo il commento di McLaud. Il capitalismo non funziona se non ci sono un set di regole predeterminate che ne governino i meccanismi. Ma tali regole sono prese spesso da organismi non elettivi come il WTO, in cui noi che subiamo l’economia non possiamo mettere il naso.
Cerco di buttarla giù semplice per non appesantire la discussione. La regola aurea del capitalismo ad esempio, non è il profitto, ma, come chiunque abbia lavorato in un’azienda sa, l’aumento di profitto. E le regole scelte finora non intaccano mai il postulato della continua crescita (dell’utile, dei guadagni, del PIL). Non si può crescere all’infinito, quindi si assaltano le piccole imprese, pesci grandi mangiano i piccoli e ciò che rimane sono poche multinazionali in un oligopolio selvaggio.
Multinazionali che reggono le economie dei Paesi che dovrebbero regolamentarle. Tornando alla FIAT, oggi non servono auto con motori potenti che vanno a 200km/h (il limite dovrebbe essere 130), né che abbiamo 100 o 200 cavalli (la potenza delle auto è la causa dei comportamenti pericolosi degli automobilisti). Ma quale governo limiterebbe mai la produzione di automobili ai ritmi odierni? Bisogna che il profitto cresca, che il PIL cresca, quindi servono sempre più risorse (limitate), meno costi (delocalizzazione nel terzo mondo, sfruttamento di manodopera).
Un capitalismo regolamentato è un idealizzazione al pari del comunismo. Credo che l’intero sistema vada ricostruito dalle fondamenta, ma è improbabile una tale svolta a livello globale.
«è stata proprio l’incapacità del comunismo nel comunicare in modo adeguato le informazioni necessarie per far funzionare l’economia»
imho il comunismo ha avuto appunto scarsi mezzi tecnologici che non hanno permesso di tenere sotto controllo l'intera situazione (ed insieme ad una organizzazione “chiusa” della politica che non vedeva di buon occhio il ricambio dei vertici, anche per la mitizzazione dell'immagine del leader come Stalin o Lenin).
dall'altro canto il capitalismo prospera grazie ai nuovi mass media che possono influenzare notevolmente sia il mercato che il mondo politico. cito ad esempio il TG1 che parla a raffica di sconti, fa continuamente pubblicità ad una lotteria, nasconde scandali che in America avrebbero fatto dimettere molti personaggi influenti e da giorni tira in ballo la querelle Il Giornale-Avvenire su fatti avvenuti (pare) nel 2002 (alla faccia dell'attualità…).
se il popolo è poco informato di cosa realmente avviene nei palazzi della politica e negli accordi tra le industrie (anche quest'anno si è avuto un “leggero sospetto” di cartello per il prezzo della benzina, ma l'unica cosa che si è fatta è mandare in onda solamente servizi con gli automobilisti infuriati per il prezzo) anche chi governa finisce per credere alle frottole che racconta (“La crisi non esiste, è un complotto sinistr-giudaico-massonico”) e quindi non prende i provvedimenti corretti (indipendentemente dalla bontà o meno del modello vigente).
Mi scuserai se sono pedante, ma intervengo nuovamente a correggerti: non di depenalizzazione si deve parlare (ché le conseguenze sarebbero ancora più pesanti delle attuali), ma di un subdolo “depotenziamento”. Oggi il falso in bilancio è un reato di applicazione assai ristretta e problematica, senza contare che, come dicevo l'altra volta, anche un bilancio “poco” falso non conduce alla punibilità dei suoi autori: viva l'Italia, la terra dove finalmente l'approssimazione non è reato!
Peraltro, pur comprendendo che il tuo discorso sia una generalizzazione, nel capitalismo reale le scelte decisionali importanti raramente sono prese a livelli “bassi”, ed anzi, l'esigenza di attraversare indenni periodi di crisi o di esternalizzare i costi delle cattive gestioni, o, più semplicemente, la volontà di incrementare i margini di profitto mono(/oligo)polistico, tendono a produrre fortissime distorsioni concorrenziali (cartelli, intese, abusi di posizione dominante…), a tutto scapito delle PMI e dei consumatori. In scala globale.
Per quanto riguarda i crack che hai citato (Parmalat, Cirio, Enron, Worldcom, Madoff), hanno avuto dinamiche estremamente differenti, ma, come hai sottolineato, sono stati in primo luogo ingenerati da deficit di controllo.
Il capitalismo non funziona senza un forte set di regole predeterminate ed un effettivo esercizio del controllo. In Italia e altrove non c'è stato né l'uno, né l'altro. Per il primo aspetto, mi limito a sottolineare che nel solo settore dei mercati finanziari diverse norme di legge o regolamentari si sono succedute freneticamente nel tempo. Alcune sono state vigenti per pochi mesi!
Se la certezza del diritto non è un valore in sè, almeno la stabilità di norme valide (e non frettolosamente composte da oscuri funzionari ministeriali o di autorità “indipendenti) aiuta il buon funzionamento del mercato.
Circa il secondo aspetto, ho poi serissimi dubbi sulla bontà del sistema delle autorità amministrative indipendenti, non solo per come funziona (o, per meglio dire, non funziona) qui in Italia, ma in generale, seguendo l'insegnamento di Weber, che scorgeva in esse un notevole pericolo per la democrazia.
Infine, solo una piccola chiosa sul comunismo. Da quanto hai detto traspare che la crisi delle economie comuniste ha avuto alla base un notevole problema di comunicazione. E' stato sicuramente un fattore rilevante, anche se non l'unico, ma non voglio dilungarmi troppo. Il punto è che gli ideali funzionano nel loro ambito d'elezione: l'astratto; realizzarli, però, è tutt'altra cosa. E certamente l'auspicato epilogo delle rivoluzioni marxiste, ossia il passaggio da un potere centralizzato “transitorio” alla “dittatura del proletariato” non si verificherà mai in nessuno dei pochi regimi comunisti superstiti.
Peraltro, il comunismo ha rappresentato una proposta di soluzione alle distorsioni di un determinato sistema economico (quello del XIX secolo e, forse, dei primi anni del '900). Ma, come quel sistema economico è stato superato, anche il comunismo non è più adattabile ai problemi odierni.
Fermo restando che:
a) non concepisco il capitalismo o il liberismo come ideali, ma solo come convenienti forme di razionalizzazione dell'esistente, e che
b) la costante demolizione degli idealismi del XX secolo (quale formazione politica parlamentare italiana menziona una qualche inclinazione idealistica, oggi?) od il loro sincretismo opportunistico (v. il laburismo alla Blair) non producono che disorientamento e politiche di brevissimo respiro,
il problema è: quale ideale potrà (con maggiore cautela rispetto al passato) essere preso a riferimento per l'evoluzione futura?
Butto lì qualche considerazione da profano. Uno dei tre valori alla base che citi è “ognuno dà quel che può” ed è questo il punto che mi sembra più delicato e meno concretizzabile. Premetto che è tutto quanto IMHO.
Il problema di fondo è che la volontà dell'individuo è uno dei fattori principali nel determinare quanto l'individuo effettivamente dà. Per di più il “bisogno” non è il medesimo per tutti gli individui e ciascun individuo potrebbe avere disponibilità diversa a lavorare per soddisfare un bisogno diverso. In parole povere (e generalizzando) io potrei essere disposto a lavorare di più per avere di più mentre qualcun altro potrebbe non esserlo, essendo disposto ad accontentarsi di meno lavorando meno.
Più che un “dare quel che si può” la questione diventa quindi un “dare quel che si vuole”. Il concetto di “ciò che un individuo può dare” è astratto e comodo, ma concretamente non esiste. Un individuo “dà” ciò che vuole dare e lo dà in funzione di ciò che può ottenere. Se non ha incentivi darà il minimo indispensabile al fine ottenere quello che può ottenere. Mi sembra un fattore fortemente nocivo per la crescita, azzarderei dire al punto da pregiudicare il successo del modello. Impedire a chi vuole lavorare di più di poter avere di più a me pare comunque ingiusto, oltre che controproducente.
Per il resto il problema di cui parli nelle conclusioni è una questione importante. Piaccia o no l'economia e un argomento tecnico, ciononostante politici e rappresentanti di categoria fingono di ignorare questo per poter fare demagogia e populismo e rigirare le questioni a sostegno delle proprie tesi e ottenere quindi consensi. È lo stesso principio su cui si fanno leva i ciarlatani di qualunque altro genere, che per l'economia peraltro attacca piuttosto facilmente: c'è un argomento complesso e articolato, la gente è poco informata e manca di mentalità critica e quindi è incline a credere a questa o a quella versione a prescindere o quasi dalla sua fondatezza, sulla base di elementi non tecnici e non razionali.
Il problema è che non ha funzionato da nessuna parte e l'unico regime comunista liberamente sopravvissuto si è convertito all'economia di mercato (vedasi la Cina).
>Non di depenalizzazione si deve parlare (ché le conseguenze sarebbero ancora più pesanti delle attuali), ma di un subdolo “depotenziamento”
Uso questa definizione per l'uso invalso (non potevo certo mettermi a rispiegare tutto).
>nel capitalismo reale le scelte decisionali importanti raramente sono prese a livelli “bassi”
Non è chiaro il mio punto: a me interessa la contrapposizione fra un'autorità che decide tutto con organi inferiori che si limitano ad eseguire e il controllo delle decisioni su produzione e allocazione distribuito che si ha nel capitalismo, dove può esserci senza dubbio un'autorità guida, ma dove c'è indubbiamente enorme spazio di manovra per i privati. Per dirla alla buona, non c'è qualcuno ai piani alti a dirti se puoi o meno aprire una panetteria: se hai i mezzi e le conoscenze per farlo, aprila. Tutto il contrario del modello centralista, dove lo Stato decide quante pagnotte devono essere prodotte in quante panetterie.
>la stabilità di norme valide (e non frettolosamente composte da oscuri funzionari ministeriali o di autorità “indipendenti) aiuta il buon funzionamento del mercato
Questo è probabilmente il vulnus del capitalismo italiano (e se permetti, anche della sua democrazia – aggiungerei che i due aspetti si rinfrozano a vicenda).
>Da quanto hai detto traspare che la crisi delle economie comuniste ha avuto alla base un notevole problema di comunicazione. E' stato sicuramente un fattore rilevante, anche se non l'unico, ma non voglio dilungarmi troppo.
Diciamo che quella era una nota di colore che voleva sottolineare l'ironia della situazione. Ovviamente concordo.
Sulle trasformazioni degli ideali, sulla loro sparizione, sulla loro bontà si possono scrivere milioni di pagine. Siamo ancora troppo vicini al muro di Berlino per potere vedere l'avvento di nuovi ideali che con la loro forza totalizzante riescano a far rientrare ogni questione all'interno di un disegno. L'evoluzione della società portà con sé nuovi problemi: con la dissoluzione delle ideologie le risposte a queste nuove domande vengono prese all'insegna del pragmatismo, e se aggiungiamo, come detto, il piccolo orizzonte dei governi, con uno sguardo al breve periodo.
Dopotutto capitalismo e comunismo hanno impiegato secoli per affermarsi, il ventennio che ci separa dalla fine della guerra fredda sembra davvero un orizzonte piccolissimo. È possibile, e forse auspicabile, che nuove idee del mondo stiano già nascendo e che noi tutti vi stiamo già apportando il nostro contributo. 🙂
È la teoria della scelta razionale: un uomo privo di incentivi (positivi o negativi) fa ciò che vuole, non ciò che può, finché questo massimizza la sua utilità (che non è totalmente un'utilità monetaria – spiegando così perché si scrive su Wikipedia).
Per il resto valga quanto hanno detto gli economisti che ho linkato: qua abbiamo dei tizi che usano il populismo per nascondere non solo la propria incompetenza, ma soprattutto chiedono il silenzio dei critici perché non evidenzino i loro passati fallimenti (Berlusconi-Tremonti non è propriamente un binomio inedito e come già detto e ripetuto se l'Italia non cresce da un decennio la colpa è pure loro).
Insomma, si chiede agli economisti di stare zitti per non essere smerdati come dovrebbero sventolando il fatto che siano tutti gli uomini di quella categoria (senza distinguere fra chi ha realmente colpe e chi non è stato ascoltato quando avvisava che la diga stava cedendo) ad averci ridotto alla fame.
Non mi voglio dilungare, trovo degradante per gli esseri umani stare a discutere con tizi che pretendono di vivere nella giungla (dalla quale giungla verrebbero comunque cacciati dalle scimmie). Qualche giorno fa discutevo con un tremontiano su queste pagine, il quale non riusciva a far altro che ripetere la pappardella fornita dalla tv: ho cercato, come sempre cerco di fare, di portare fatti ed elementi razionali nella discussione (in sostanza ripetendo ancora perché Tremonti, al massimo, ha scoperto che se non respiri muori). Poi se chi mi legge non vuole pensare, pazienza, ma non per questo starò zitto.
penso che la Cina abbia resistito non solo per il cambiamento di rotta (con il comunismo capitalizzato) ma anche per il fatto che nessun governo si è messo realmente contro i cinesi.
altri paesi socialisti e comunisti (Cuba, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia) hanno fallito miseramente nei loro intenti anche a causa di fattori non economici (che non sto qui ad analizzare in quanto sono molto complessi e non hanno diretta attinenza con il discorso).
è difficile comunque stabilire se il capitalismo sia sopravvissuto anche grazie alla “potenza di fuoco” degli stati che seguono questo modello (in primis gli USA). soprattutto dato che i carri armati in Medio Oriente non sono lì semplicemente per “esportare la democrazia” (come se fosse una merce).
(Scusa il ritardo per l'approvazione del tuo commento, il sistema non mi ha avvisato).
Quello di cui parli è il fenomeno del loophole mining. La creazione di regole ha perlomeno un effetto fondamentale: gli agenti tentano di aggirarle.
Questo se da un lato favorisce l'innovazione, dall'altro può portare squilibri nel sistema.
Per questo motivo una regolamentazione perfetta non esisterà mai, tuttavia è indubbio che in questa gara senza fine in cui i regolatori introducono nuove regole e gli agenti creano nuove vie per aggirarle si possono sentire effetti benefici: ad esempio, come ho detto spesso su queste pagine, gli anni di recessione sono significativamente diminuiti nel corso del tempo, segno che nuove teorie e nuove regole funzionano… almeno fin quando il giocattolo non si rompe e servono nuove regole per tappare i buchi scovati dagli agenti.
La democrazia si può esportare, ma bisogna vedere che tipo di democrazia. Essa ha bisogno di pilastri solidi che la scienza politica ha ben determinato: suffragio universale, elezioni libere, competitive, ricorrenti e corrette, fonti d'informazione plurali e alternative, pluralità di partiti.
La solidità di questi fattori pone grossi problemi: una cosa è garantire certi diritti, un'altra è garantirne l'esercizio (esempio: una donna può avere il diritto di votare, ma questo diritto non è granché esercitabile se la donna resta saldamente nelle mani del marito – differenza fra diritti civili e politici e diritti sociali); affinché i pilastri di cui sopra riescano a diventare solidi, occorre un certo grado di ricchezza diffusa, istruzione, debolezza delle élites tradizionali, accettazione del dissenso, dell'opposizione, della competizione.
In altre parole è possibile esportare solo la democrazia delegata, dove il potere, formalmente in mano al popolo, resta in mano ad élites ristrette che si controllano a vicenda, ma all'interno della quale la cosiddetta accountability verticale non riesce effettivamente ad esprimersi.
Una breve nota sulla potenza di fuoco: siamo punto e a capo, come mai certi Paesi (quelli capitalisti) sono stati in grado di creare quella potenza di fuoco e non quelli comunisti? Questi ultimi regimi hanno resistito tenacemente per decenni (basti pensare al Vietnam).
In altre parole: perché gli USA e gli altri Paesi sono stati in grado non solo di costruire, ma anche di mantenere, tale potenza, mentre l'URSS, dopo averla costruita, si è accartocciata su sé stessa?
Grazie Arturo e grazie a te, Tooby.
In effetti, il problema ha molti aspetti e cerco di sintetizzarli: 1) la legge deve presentare un certo livello qualitativo; 2) solo a questa condizione la sua stabilità rappresenta un bene; 3) dev'essere implementata e fatta rispettare.
Sicuramente, le autorità “indipendenti”, assommando su di sè i poteri normalmente separati negli stati democratici (legislativo, esecutivo, giudiziario), si espongono a forti problemi di conflitti di interessi, anche per via della loro notevole “prossimità” con i soggetti controllati (per dirla brutalmente: influenzare 5 persone è molto più facile che influenzarne qualche centinaio). Senza contare che, anche quando ciò non avviene con malafede, si può essere portati ad identificare i problemi ed i bisogni dei maggiori operatori con quelli dell'intero mercato.
Non approfondisco neanche il problema degli organismi multinazionali, poi, la cui trasparenza operativa ed esposizione agli interessi delle lobby più potenti è nota. Sul punto basterebbe ricordare che praticamente tutta l'ultima normativa comunitaria su banche ed intermediari finanziari è stata scritta da organizzazioni di categoria e “filtrata” attraverso i pareri della BCE.
E' indubbio che il “fatta la legge, trovato l'inganno” funzionerà sempre, ma se l'inganno è la legge stessa, come si può pensare che vi sia una seria evoluzione economico-sociale?
In effetti, discordo in parte dall'affermazione per cui “nuove teorie e nuove regole funzionano”. L'ultima crisi dei mutui sub-prime americana ha avuto tra le sue cause anche queste circostanze: 1) molti standard contabili USA sono stati allentati, consentendo grande libertà, se non puro arbitrio, nella redazione dei bilanci; 2) molte norme sulla vigilanza e sulla struttura delle banche commerciali sono state abrogate ed è stato lasciato loro il campo libero, imponendo tutt'al più di aderire a dei codici di autodisciplina; 3) sono stati abbassati gli standard richiesti per l'erogazione del credito…
Le regole da sole, forse, non avrebbero impedito la crisi, ma probabilmente ne avrebbero ridotto la portata…se ci fossero state.
Qualcuno imparerà dalla lezione? O, come pare, non accadrà e ci si affiderà sempre alla legislazione d'emergenza “del giorno dopo”?
''1) la legge deve presentare un certo livello qualitativo; 2) solo a questa condizione la sua stabilità rappresenta un bene; 3) dev'essere implementata e fatta rispettare.''
EH! Esattamente quello che (non) hanno fatto con il pacchetto sicurezza, in cui scrivere sui muri è peggio che falsare un bilancio, e sopratutto 3 articoli hanno oltre 100 commi e rimandi a non finire. Il tutto è farraginoso e inefficiente, fatto solo per riempire le carceri di disgraziati e poi lamentarsi con l'Europa per la mancata tutela (quella del ministro Al Fano che dice seriamente: abbiamo carceri per 40.000 detenuti, ma abbiamo 60.000 detenuti, però 20.000 sono stranieri quindi non abbiamo sbagliato nulla).
Il Comunismo e il capitalismo sono due scelte sostanzialmente IDEOLOGICHE. Il comunismo è fallito, il capitalismo anche ma non ce lo hanno ancora detto in tv quindi fino a quando non demoliranno il Muro di Wall Street non lo sapremo.
Tooby, tu dici che
''In altre parole è possibile esportare solo la democrazia delegata, dove il potere, formalmente in mano al popolo, resta in mano ad élites ristrette che si controllano a vicenda, ma all'interno della quale la cosiddetta accountability verticale non riesce effettivamente ad esprimersi.''
Afghanistan. E oggi, per festeggiare degnamente la ritrovata democrazia, NOVANTA MORTI sotto le bombe intelligenti della NATO. Evviva.
''Una breve nota sulla potenza di fuoco: siamo punto e a capo, come mai certi Paesi (quelli capitalisti) sono stati in grado di creare quella potenza di fuoco e non quelli comunisti? Questi ultimi regimi hanno resistito tenacemente per decenni (basti pensare al Vietnam).
In altre parole: perché gli USA e gli altri Paesi sono stati in grado non solo di costruire, ma anche di mantenere, tale potenza, mentre l'URSS, dopo averla costruita, si è accartocciata su sé stessa?''
Qui scatta la parolina magica per le mie orecchie: ''potenza di fuoco''.
Bon, allora prendiamo il cannone M61A1 Vulcan e confrontiamolo con il GSh-23-6. Il primo pesa circa 100 kg e spara 6.000 proiettili al minuto da 100 grammi, il secondo pesa circa 60 kg ma ne tira 10.000 e pesano 180 grammi l'uno.
Malgrado questo, l'URSS ha perso la Guerra fredda: come è possibile?
La risposta è semplice: la Guerra Fredda è stata una costosissima guerra di logoramento in cui i contendenti si sono confrontati senza freni nelle ambizioni e nelle spese.
MA. Gli USA e in generale la NATO avevano più risorse rispetto al Patto di Varsavia. Così quest'ultimo, come già accaduto alla Germania nella I e nella IIa GM, ha dovuto arrendersi perché semplicemente non riusciva a pareggiare lo sforzo: come un braccio di ferro alimentato da miliardi di spesa da una parte e dall'altra. Ma alla fine vince chi ha il fiato più lungo: perché la Gran Bretagna ha perso quasi tutte le battaglie tra il '39 e il '42 e alla fine ha vinto la guerra? Perché l'Asse, per quanto avanzasse con Rommel, o con Von Manstein, trovava sempre risorse fresche e pronte a contrastarlo, e alla fine non aveva nemmeno più la benzina per mandare avanti i suoi tank.
Con l'URSS è stato lo stesso, il colpo di grazia è arrivato dopo l'ultima battaglia, quella combattuta da quella carognetta di Reagan. Quando arrivò Gorby io me la ricordo bene tutta la speranza che c'era per un mondo migliore: ma era tardi. Era tardi perché Andropov, Cernienko e Breznev avevano mandato l'URSS in una via nella quale non poteva che perdere, impoverendosi oltre misura e cessando di ottenere quei successi che ebbe fino agli anni '60, anche nello Spazio. Ma gli USA potevano permetterersi di spendere 100 mld per andare sulla Luna e reclutare i migliori uomini e materiali per farlo, grazie anche a V.Braun e amici; i Sovietici, alla fine, non erano più in grado di tenere botta. Passi per lo Sputnik, la cagnetta Laika, Gagarin e Tereskova, ma alla fine servivano nuove tecnologie che semplicemente non potevano permettersi. E che non arrivarono mai.
Eppure.
Eppure, al giorno d'oggi, esistono ancora regimi comunisti. La Corea del Nord lo è; la Cina SOLO A PAROLE (come l'anno scorso, quando per le 'democratizzanti' Olimpiadi la Cina, attualmente arrabbiata con Taiwan perché ha accettato la visita del Dalai Lama, non ha mensionato Mao), perché in realtà unisce l'autoritarismo delle dittature comuniste alla produzione per la ricchezza tipica del capitalismo.
Poi c'é Cuba. Dopo 50 anni dalla Revolucion. Ancora in pista. Gli USA, con Katrina, ebbero bisogno di medici cubani. Perché a Cuba c'é più assistenza medica e istruzione che in Brasile? O degli USA?
Se sperabilmente si andasse ad un modello realmente pragmatico, si scoprirebbe che ognuno dei due modelli ha i suoi pregi (l'ideale? Socialdemocrazia, naturalmente. In Scandinavia sviluppo e ricchezza pro-capite sono andate a braccetto, da altre parti no) e i suoi difetti.
Obama sta perdendo la battaglia per la sanità pubblica. Lo accusano di essere comunista. Non sono meno demenziali di quanto non lo fosse chi accusava Chaplin di essere comunista dopo avere visto Il Dittatore. Così funzionano le lobby. In definitiva, l'unica possibile via è essere nel vero e parlare nel vero. Dire in concreto SE la riforma sanitaria è un vantaggio (e lo è, ma nonostante il Canada e Cuba, gli USA preferiscono guardare al … Messico). Ma le lobby non lo accettano. In realtà, quindi, il capitalismo è migliore del comunismo solo perché è più ricco e ha più mezzi a disposizione.
E non per caso: gli USA sono stati fondati sul genocidio degli Indiani e sulla schiavitù degli africani. Quando c'é chi dice che i 'comunisti hanno ammazzato 100 milioni di persone' (cazzate) bisognerebbe chiedere di cosa sono morti gli altri 99 miliardi di individui della specie umana apparsi fino ad oggi. Un esempio? L'Impero romano, che fu ricco fino a quando poté espandersi a suon di rapine e di stragi (come ricorda Tacito, tra l'altro) e che andò in disgrazia quando raggiunse i suoi limiti geografici.
Noi abbiamo un solo pianeta e il globalismo l'ha ridotto a ben poco. Foreste devastate, terreni arraffati ai Paesi più poveri, come il Madagascar o il Congo, e persino l'Ucraina. E' un'economia di rapina, poi però se i Somali non hanno più da mangiare perché il mare è stato saccheggiato dalle navi-fattoria e si mettono ad assaltare le navi allora si grida ai 'banditi'. Ma chi è il vero bandito, i piccoli delinquenti che sono costretti dalla fame a certe azioni, o le multinazionali e i governi che spolpano interi continenti? E' di questi giorni che i fiumi Tigri ed Eufrate stanno a secco: i Turchi hanno bisogno delle centrali elettriche e gli irakeni si attaccano. Con questi criteri logici non c'é futuro nemmeno con il capitalismo, l'umanità è troppo numerosa e le risorse troppo scarse per continuare a vivere di rapine e di inganni. Anche se temo che la cosa non sarà accettata dai 'capoccia', come al solito: meglio inventarsi guerre sante e combatterle per il gusto di finanziare le industrie delle armi e i contractors (costo guerra in Irak: circa x.000 mld di dollari), al contempo tagliare i diritti civili e sociali, e le tasse ai ricchi (non sia mai!).
Insomma, più che pensare al comunismo, sarebbe meglio cominciare a capire perché il capitalismo si sta sfasciando. Entrambi hanno i loro pro e contro. Ma a parte la Scandinavia, non lo ha capito nessuno.
Così, tanto per scrivere in una discussione che per una volta non sarebbe apostrofato da Mourinho come 'zero tituli' (post).
>Vedo che non hai chiaro il concetto: è possibile esportare un certo tipo di democrazia (di nuovo, quella delegata, quella minima, quella formale) e non altri. Chi credeva di andare lì per esportare il PROPRIO tipo di democrazia ha fallito.
E’ quello che ho detto io.
>E come mai avevano il fiato più lungo? Perché il comunismo è troppo pesante e, darwinaniamente, soccombe ad altri schemi, che pur certamente imperfetti, sono più leggeri.
Allora perché la Germania, l’Italia e il Giappone hanno perso la II GM? Perché in quell’occasione l’hanno vinta i comunisti di Stalin? Vedi bene che la tua teoria, presa così come la esponi, non regge all’analisi storica.
Perché la Germania di Guglielmo II ha vinto contro la Russia di Nicola, ma la Germania di Hitler ha perso contro l’URSS di Stalin?
Capisci che la tua teoria qui non funziona? O mi son perso qualcosa, magari Hiroito, Hitler e Mussolini erano più comunisti di Lenin ma nessuno se ne è accorto?
Il problema non è di regime. Il problema è di RISORSE. E quando, per esempio, hai sotto i tuoi talloni un subcontinente ricchissimo ma poverissimo (India), dimmi tu chi potrà mai vincere una guerra: armi gli indiani con armi fatte con le loro miniere di ferro, li mandi a fare una guerra contro un ‘medio Stato Europeo’ e con questa mossa già hai vinto. E’ l’elogio agli imperi coloniali che t’interessa? Too, se ti avventuri in questi discorsi devi ferrarti in Geopolitica. L’economia non basta da sola, e il discorso Comunista-perdente e Capitalista-vincente non funziona. Fino ai primi anni ’60, poi, erano i Comunisti a sembrare invincibili.
Poi, se permetti: gli USA hanno per caso avuto la guerra in casa come l’URSS? Dico, 20+ milioni di morti, miliardi di danni, riparati solo dopo 20 anni dalla guerra. La Russia anche adesso ha molte più donne che uomini, per via dei danni demografici subiti allora. Da un simile sfacelo è semplicemente incredibile che l’URSS sia riuscita a risollevarsi in pochissimi anni. Quale nazione occidentale avrebbe potuto fare altrettanto? Nel ’45 in macerie, nel ’57 nello spazio.. alla faccia della ‘pesantezza’, che invece lasciò gli USA notevolmente indietro, per incapacità gestionale e di volontà politica.
Il vero problema del comunismo fu un altro, e qui ti spiego perché ha fatto flop. Ci sono almeno due ragioni, queste:
1-nel ’60, la separazione Cina-URSS. E’ stato come che so, se l’Europa occidentale e gli USA diventassero nemici tra di loro. Con una mossa così assurda la vittoria sarebbe stata senz’altro nel lungo periodo per l’Occidente. Finché erano unite, Cina e URSS avevano la ‘massa critica’ per fare grandissimi progressi. Dopo l’URSS è rimasta con la tecnologia, la Cina con le braccia, e nessuna delle due è andata molto lontano.
Pensa che la Cina a tutt’oggi ancora costruisce armi e sistemi derivati da quelli sovietici passatigli prima del ’60, va a dare un’occhiata ai caccia J-7 (MiG-21) e alle tribolazioni passate dopo la ‘rottura ideologica’, è assolutamente illuminante per capire l’inizio della decadenza del blocco ‘rosso’.
2-Altro esempio? L’Albania, che progressivamente si è isolata da tutto e da tutti ed è andata in disgrazia. Ma a questo punto, il vero problema del regime comunista è: la MANCANZA DI RICAMBIO POLITICO E LA TENDENZA AL DISPOTISMO, per cui hai gli stessi leader dopo 40 anni, e la cosa inevitabilmente ‘puzza’ di vecchio e di superato, come potrebbero costoro essere ancora all’altezza del compito?
Può sembrare bizzarro che succeda proprio con il comunismo questa ‘dinastizzazione del potere’. Ma riflettici un attimo: i Paesi comunisti che passato ‘democratico’ hanno avuto? Russia Zarista? Cina? Corea? Albania? Dove si è instaurata la mala pianta della dittatura perpetua dei leader comunisti, non c’erano tradizioni democratiche pregresse. Oppure non c’é stata altra scelta (europa orientale).
Ma intanto, mentre a Cuba o in Cina non ci sono morti di fame lasciati per le strade, in India e in Brasile sì. A milioni. E i miei amici rumeni rimpiangono i tempi di Ceausecu, perché ora, alla faccia dell’economia ‘libera’, stanno peggio di allora. Idem per i Baltici.
E in più: facci caso, ma le dittature di destra si sono instaurate sempre in nazioni democratiche. Anche Roma: regno->repubblica->impero. E l’Italia con Mussolini, e ora con Berlusca, sta facendo lo stesso. Non ho notizie, invece, di democrazie piene che siano cadute nelle grinfie di qualche dittatore comunista. Non è strano? Io direi che è inquietante. Significa che la dittatura di destra è tipica delle nazioni democratiche. Come la nostra.
>E non se la passa granché bene, visto che non esistono meccanismi per prendere a calci nel culo l’imbecille che la guida.
Hai ragione, ma opss, lo stesso può essere detto anche dell’Italia di Berlusconi!! E noi non siamo certo comunisti.
>In termini tecnici è un regime comunista di mobilitazione, ed è uno dei regimi definiti “post-totalitari”, laddove i totalitarismi erano Germania nazista e URSS.
In termini pratici è un Paese turbo-capitalista.
>Andrea Mollica sta seguendo bene la questione, te lo consiglio: l’opinione pubblica viene fortemente deviata dai media, che addirittura finiscono per manipolare se stessi (tant’è che Cheney ha osato affermare che con la riforma Obama accadrebbe una cosa terribile – secondo lui -: la salute degli americani passerebbe nelle mani di medici pagati dallo Stato. Inconcepibile, nevvero?)
Ecco qualche link da parte di un noto giornalaccio: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2009/mese/09/articolo/1379/
«Non voglio che mio figlio sia indottrinato da un presidente marxista», «voglio prima leggere quel che dirà per non esporlo ai veleni liberal».
C’é qualche relazione matematica tra capitismo e l’imbecillità propria del popolo americano? No dico, questi parlano seriamente, non gli è bastato Bush?
Questo per i fiumi irakeni:
http://www.ilmanifesto.it/archivi/terra-terra/nocache/1/pezzo/4a9fca4e1d6b8/
Ne raccomando la lettura perché di queste cose non se ne parla MAI in televisione.
>Come detto sopra, è giustissimo. Il problema è che non riusciamo a sapere se e in quale misura modelli vincenti in un dato luogo possano essere vincenti altrove. Per farlo servono governanti lungimiranti ed esperti (altro che Tremonti) e affinché ciò sia possibile sono necessarie tre condizioni: un’opinione pubblica partecipante, informata e libera, un’opposizione capace e con speranze di andare al governo e un potere giudiziario funzionante, perché sono questi tre soggetti che rendono la maggioranza governante responsabile delle proprie azioni (in un regime democratico).
Il problema a mio avviso è anche quello che ci fanno vedere in TV e nei giornali. Da noi il moloch è il ‘libero mercato’, che libero non è (e non solo in Italia). In Corea del Nord divinizzano il ‘Caro leader’ che ha portato alla fame i suoi sudditi. In Birmania né l’uno né l’altro, l’informazione non esiste ma i soldati dei Generali sì.
Noi viviamo in una specie di Matrix e non c’è verso di scoprire la realtà finché non ci vai a sbattere contro. In Argentina tutti dicevano che l’economia andava benissimo: un giorno banche e bancomat chiusero gli sportelli, i cittadini scesero in piazza con le pentole a fare casino per protestare e i poliziotti gli spararono. Così ci si accorse che l’Argentina era fallita.
Ma senza mea culpa e riflessioni varie sulla natura e i limiti del capitalismo dove andiamo a finire? Con la crisi hanno salvato le banche, ma i cittadini non ne hanno avuto niente se non i debiti da pagare tramite i fondi erogati dagli stati (che da qualche parte dovranno pur essere scontati).
Cuba resiste da 50 anni all’embargo americano (oramai totalmente ingiustificabile, la guerra fredda è finita da 20 anni..). Ancora possono vantare che nessun bambino da loro, dorme per strada. Gli americani, così deliranti nelle loro idealizzazioni, dal canto loro hanno 20 milioni di homeless e gli unici che ci guadagnano sono i super-capitalisti con stipendi da nababbi e capitali spaventosi. Com’é che nessuno impari dai propri errori, non mi stupisce: ma che si insista a vedere solo quelli del ‘comunismo’ (Canada..) è veramente ridicolo. Quando avremo abbattuto l’ultimo albero e pescato l’ultimo pesce qualche televisione credi che ce lo dirà? Io dico che il capitalismo, per come è concepito, è un mostro che divora se stesso (oltre a tutto il resto), e come tutti i mostri, si genera con il sonno del coglione (Grillo cit).
>Afghanistan. E oggi, per festeggiare degnamente la ritrovata democrazia, NOVANTA MORTI sotto le bombe intelligenti della NATO. Evviva.
Vedo che non hai chiaro il concetto: è possibile esportare un certo tipo di democrazia (di nuovo, quella delegata, quella minima, quella formale) e non altri. Chi credeva di andare lì per esportare il PROPRIO tipo di democrazia ha fallito.
>Gli USA e in generale la NATO avevano più risorse rispetto al Patto di Varsavia. Così quest'ultimo, come già accaduto alla Germania nella I e nella IIa GM, ha dovuto arrendersi perché semplicemente non riusciva a pareggiare lo sforzo: come un braccio di ferro alimentato da miliardi di spesa da una parte e dall'altra. Ma alla fine vince chi ha il fiato più lungo
E come mai avevano il fiato più lungo? Perché il comunismo è troppo pesante e, darwinaniamente, soccombe ad altri schemi, che pur certamente imperfetti, sono più leggeri.
>La Corea del Nord lo è
E non se la passa granché bene, visto che non esistono meccanismi per prendere a calci nel culo l'imbecille che la guida.
>la Cina SOLO A PAROLE
In termini tecnici è un regime comunista di mobilitazione, ed è uno dei regimi definiti “post-totalitari”, laddove i totalitarismi erano Germania nazista e URSS.
>l'ideale? Socialdemocrazia
Posso essere d'accordo in qualche senso (dipende dalla definizione). La Svezia è un modello che mi piace, ma mi chiedo se sia esportabile.
>Obama sta perdendo la battaglia per la sanità pubblica.
Andrea Mollica sta seguendo bene la questione, te lo consiglio: l'opinione pubblica viene fortemente deviata dai media, che addirittura finiscono per manipolare se stessi (tant'è che Cheney ha osato affermare che con la riforma Obama accadrebbe una cosa terribile – secondo lui -: la salute degli americani passerebbe nelle mani di medici pagati dallo Stato. Inconcepibile, nevvero?)
>più che pensare al comunismo, sarebbe meglio cominciare a capire perché il capitalismo si sta sfasciando. Entrambi hanno i loro pro e contro. Ma a parte la Scandinavia, non lo ha capito nessuno.
Come detto sopra, è giustissimo. Il problema è che non riusciamo a sapere se e in quale misura modelli vincenti in un dato luogo possano essere vincenti altrove. Per farlo servono governanti lungimiranti ed esperti (altro che Tremonti) e affinché ciò sia possibile sono necessarie tre condizioni: un'opinione pubblica partecipante, informata e libera, un'opposizione capace e con speranze di andare al governo e un potere giudiziario funzionante, perché sono questi tre soggetti che rendono la maggioranza governante responsabile delle proprie azioni (in un regime democratico).
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In pratica l'idea è di assegnare alle macchine il lavoro, liberando gli uomini dal lavoro. Che ne pensi?