La decrescita non è mai felice

(Nei mesi scorsi mi è mancato il tempo di scrivere bene, ma non di scrivere: mi sono riempito di bozze che non sono riuscito a sistemare e pubblicare. Cercherò di pubblicarle gradualmente, in forma completa oppure come bozza resa decente, pur di liberarmene 🙂 )

Dicono i sostenitori della decrescita felice che “chi pensa che la crescita possa essere infinita in un mondo finito è un pazzo, o un economista”. Beh, io ho almeno una delle due caratteristiche, e mi sento di dire che chi sostiene questa posizione senza capirla fino in fondo è un ignorante o ha un po’ di creduloni cui ripulire il portafogli. Va premesso, comunque, che la questione decrescita è stata affrontata in un milione di modi diversi, e non tutti sono cretini: un conto è parlare di sostenibilità, un altro di ritorno ai bei tempi quando l’uomo coltivava la sua zuppa di fagioli, specie quando si ignorano i meccanismi squisitamente tipici del carattere umano.

Dall’altro lato della strada, qui dove si crede che la decrescita non è mai felice (e potete facilmente notarlo considerando che l’Italia dell’ultima dozzina d’anni è piuttosto in decrescita, ma non troppo felice) ci limitiamo ad osservare la realtà, la quale pare funzionare in modo lievemente diverso rispetto a quanto teorizzato dai depressi felici più integralisti, che paiono dimenticare dinamiche piuttosto basilari.

Prendiamo ad esempio il mercato dell’energia. Il petrolio è una risorsa fondamentale per lo sviluppo umano, ma è destinato ad esaurirsi. Poiché l’offerta di petrolio diminuisce mentre la domanda aumenta, il prezzo del petrolio, per una legge economica quasi triviale da ripetere, è destinato a salire. Questo però ha una conseguenza che triviale non è: se il prezzo del petrolio aumenta, aumenta anche l’offerta di petrolio.

Ovviamente non è che il petrolio si generi come per magia all’aumentare del prezzo: più semplicemente, l’aumentare del prezzo rende sfruttabili nuovi giacimenti e utilizzabili altre tecniche di estrazione, sicché per ogni livello di prezzo del petrolio avremo diverse quantità di petrolio sfruttabili.

Prendiamo per esempio la tecnica del fracking: la frantumazione idraulica è un processo noto da oltre un secolo, ma il prezzo del petrolio rendeva molto più conveniente importare da Paesi come l’Arabia Saudita. Il calo dell’offerta e l’aumento della domanda (e altri fattori), però, hanno spinto al rialzo i prezzi del petrolio, sicché importare petrolio è diventato man mano sempre meno conveniente, e oggi, grazie al fracking (e ad altri fattori, come trivellazioni sempre meno antieconomiche), gli USA rischiano di diventare il primo produttore di energia del pianeta.

Qualcuno dirà: ok, ma pure con il fracking e con tutte le tecniche possibili e immaginabili il petrolio e compagnia restano fonti non rinnovabili, e prima o poi finiranno. Ovvio. Ma il processo di aggiustamento attraverso i prezzi continuerà ad avvenire, specie grazie allo sviluppo tecnologico: per esempio, immaginiamo che si scopra che è possibile ricavare energia dalle brioche all’albicocca in misura tale che occorrono, poniamo, mille dollari di brioche per ottenere l’equivalente di un barile di petrolio. Dato che quest’ultimo ne costa cento, è evidente che continueremo a mettere benzina e non albicocche nei nostri serbatoi. Ma man mano che il petrolio diminuisce (e il prezzo aumenta), e man mano che lo sviluppo tecnologico rende la produzione di brioche meno costosa, ci sarà un momento in cui si preferiranno le albicocche al petrolio. Il problema energetico è quindi (teoricamente) risolto, visto che le albicocche sono rinnovabili. Potete sostituire le brioche con il solare, l’eolico, quello che volete: potete anche immaginare che diventerà conveniente sfruttare i laghi di metano su Titano. Il punto è che lo sviluppo cambia il nostro concetto di “risorsa”. L’errore è sempre quello: considerare tutto come superfisso.

Non solo: nell’attesa di questo breakthrough tecnologico, abbiamo altre strade per agire contro l’aumento del prezzo del petrolio (ovvero del suo progressivo esaurimento). Per esempio, nascono sempre più prodotti che permettono di fare le stesse cose (illuminare una stanza, ad esempio) consumando meno (usando LED in luogo di lampadine più sprecone). In questo senso la decrescita ha la sua ragione d’esistere, ma non c’è bisogno di cambiare paradigma, come dice Latouche: al mutare dell’ambiente, le capacità di adattamento dell’uomo (e dell’economia) reindirizzeranno la crescita verso altri sentieri senza sacrificare la questione del profitto, che spinge il progresso, ma non deve essere il suo fine ultimo. Come al solito, basta non essere talebani per dire qualcosa di sensato.

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3 Comments

  1. Il tuo pezzo al solito è molto interessante.

    Utilizzi come limite per lo sfruttamento di una risorsa la convenienza economica del processo. In realtà manca un fattore fondamentale, a mio modo di vedere obbligatorio da tenere in conto, ovvero la convenienza energetica: smetteremo di estrarre petrolio quando per estrarne un barile ne dovremmo spendere 0,9 e quel 0,1 barile che avanza non permetterà più di pagare tutto il resto (costi non energetici di estrazione, costi non energetici di trasporto, guadagno). Questo per mettere in evidenza che c’è comunque un limite fisico che deve essere rispettato, che integra quello economico. Quale dei due sia vincolante non si può stabilire, perché se domani gli stati uniti fanno una legge che finanzia con 100 dollari al barile l’estrazione del petrolio è ovvio che il limite è falsato.

    In ogni caso la decrescita non può essere felice e siamo d’accordo. Però il mondo è finito e anche se la nostra capacità di sfruttarlo aumenta, a meno che non si renda sostenibile (e oggi non lo è, anche se almeno alcuni ci stiamo provando) prima o poi (magari fra mille anni) la crescita dovrà esaurirsi.

    E’ vero che le albicocche sono rinnovabili, il problema è se sono sostenibili, ovvero se abbiamo campi sufficienti a coltivare albicocchi per schiacciarne i noccioli per far andare le macchine di tutti.

    Spero di non essere stato troppo talebano.

    Ciao

    1. Certo che no, hai detto cose di cui ho accennato nell’articolo: il limite fisico c’è, ma non giustifica la teoria della decrescita come certi la interpretano.

  2. Coltivare con a zappa? mamma mia!!

    Io la zappa la uso ancora, di tanto in tanto, ma ogni volta che sento questa cosa della decrescita, un pò non la capisco, e molto ci ragiono sopra, e spesso credo che il problema non sia la decrescita, ma come del resto dici tu, un miglior e più oculato uso dei beni e consumi.

    Si riveste di romanticismo una serie di lavori che in realtà portavano in passato alla morte prematura per fatica, a malattie mai curate per mancanza di soldi, allo schiavismo o caporalato, ovviamente quest’ultmo ancora presente, non solo al sud, ma anche al nord, lo chiamano precariato da agenzie interinali……………. spero ci capiamo.

    Per non parlare delle nuove tecnologie, dovrebbero essere meno inquinanti, invece prendono il tempo che trovano, un’esempio fra tutti, i pannelli fotovoltaici, non durano molti anni, e la loro riciclabilità rasenta lo 0%, eppure si pubblicizzano come miglior prodotto a basso impatto ambientale, e con detassazione nel 730.

    Si è fatto il g8 in Giappone anni fà, da cui ne usci un’accordo che tutti i produttori si impegnavano a creare materiali e beni di consumo riciclabili ed a bassissimo impatto ambientale (ricordo male?), ecco, mi pare che i tempi non siano ancora maturi per ciò e per la decrescita.

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