Mentre le più grandi borse mondiali stazionano sui massimi dalla primavera 2011, la borsa italiana arranca e staziona poco sopra i minimi storici. Nell’ultima settimana, in particolare, il FTSE MIB è risultata essere la borsa peggiore, accusando il colpo dell’ennesimo ritorno di Silvio Berlusconi.
I mercati non hanno apprezzato il ritorno dell’uomo che ha governato l’Italia per nove degli ultimi dodici anni e che ha fatto registrare sotto la sua guida una performance economica di livelli estremamente bassi: la ricchezza per persona, ad esempio, è cresciuta di appena lo 0,1% dal 2000 al 2011, una prestazione deludente soprattutto se rapportata a quella di altri Paesi europei, come la Francia (cresciuta del 9%), la Germania (+15%) e addirittura la Spagna (+12%).
Analizzando i movimenti del mercato, si può immediatamente notare che c’è stata una forte pressione alle vendite di titoli italiani, dagli azionari fino ai titoli di Stato, e si può inferire che gran parte di queste vendite siano provenute dai portafogli di investitori italiani. Questo ha provocato scintille sullo spread BTP-Bund, che proprio pochi giorni fa era ritornato dopo oltre un anno sotto il livello di 300 punti.
Il premier quasi dimissionario Mario Monti lo aveva come fiore all’occhiello del proprio lavoro: nonostante la brutta caduta del PIL, l’estrema timidezza dell’azione governativa a causa dei veti incrociati dei partiti, d’accordo solo sull’alzare le tasse, l’Italia aveva ritrovato sotto il professore della Bocconi quel boost di credibilità che le serviva per calmare i mercati in quel lontano eppure vicino novembre del 2011, quando lo spread superava i 570 punti e si paventava lo spettro del default. Per tutto il resto, c’è stato Mario Draghi.
La rottura improvvisa (ma non imprevista) del PdL ha dunque tutta l’aria di poter riportare incertezza sui mercati e dunque un clima molto più teso in cui svolgere la campagna elettorale. È questo il motivo che ha spinto Monti alle dimissioni: arrivare alla scadenza naturale della legislatura in queste condizioni lo avrebbe reso il capro espiatorio di tutto quanto potrà accadere in un finale di legislatura che rischia di essere fra i più drammatici della storia della Repubblica.
Si comincia da lunedì con la riapertura delle piazze finanziarie: lo spread ripartirà da quota 323 punti, ovvero 250 punti sotto il livello che Monti si era ritrovato fra le mani tredici mesi or sono.
L’agenda macroeconomica, d’altro canto, promette altre novità che potrebbero pesare sullo spread. Lunedì mattina usciranno sia la produzione industriale italiana (attesa poco meno che stabile su base mensile) e soprattutto il PIL (atteso a -0,5% sul trimestre e -2,4% sull’anno). Martedì la Germania rilascerà l’indice ZEW sul sentiment economico, che dovrebbe segnare un miglioramento a -12 punti, dunque ancora una volta al di sotto della quota di 0 che separa ottimismo e pessimismo.
Mercoledì uscirà l’indice dei prezzi al consumo tedesco, misura particolarmente osservata dall’opinione pubblica: il dato dovrebbe far segnare un’inflazione in rallentamento dello 0,1% su base mensile, risultando così fermo all’1,9% su base annua. Restando in Europa, si segnala che andranno all’asta BOT italiani a 3 e 12 mesi. Negli USA forte attesa per il meeting della Federal Reserve riguardo la politica monetaria.
Giovedì sarà la volta dell’inflazione italiana: si attende un calo dello 0,2% su base mensile, che si tradurrà in un tasso annuo fermo al 2,5%. Dall’altro lato dell’Atlantico, gli USA rilasceranno (oltre ai jobless claims attesi stabili a 370mila nuove richieste di disoccupazione) il dato sulle vendite al dettaglio, attese in lieve rialzo.
Venerdì, infine, saranno rilasciate le stime preliminari dell’indice dei direttori degli acquisti (PMI) nel settore manifatturiero in Cina, Germania, Francia, Europa e USA. Gli analisti si attendono un dato inferiore alla soglia di 50 che divide espansione e recessione per i Paesi europei, e superiore a tale livello per gli altri due.
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