Termometro Finanziario: Obama subito alle prese col fiscal cliff

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Photo by U.S. Navy Petty Officer 1st Class Chad J. McNeeley [Public domain]

Per Termometro Politico

Le elezioni (statunitensi) più costose della storia si concludono con un sostanziale nulla di fatto: come prima del 6 novembre, un presidente democratico dovrà convivere con un Congresso spaccato fra la Camera a maggioranza repubblicana e un Senato a maggioranza democratica. E i mercati si spaventano.

Si preannuncia una lotta durissima sulla questione del fiscal cliff, ovvero il precipizio fiscale in virtù del quale a fine anno scatteranno aumenti di tasse e tagli di spesa che deprimeranno un’economia che già non straripa di allegria. Obama ha già affermato che respingerà al mittente ogni proposta che non preveda un aumento delle tasse ai più ricchi, rispondendo al leader della maggioranza repubblicana che, pur annunciando aperture, ha già predetto che sugli aumenti delle imposte il GOP farà opposizione durissima.

Va ricordato che negli USA le tasse federali sono già al livello più basso nella serie storica e che alle elezioni di martedì gli americani hanno sostanzialmente respinto i Tea Party, i repubblicani più integralisti, contrari ad ogni aumento di imposte (specie ai ricchi). I repubblicani sono allo sbando dopo la batosta elettorale (Romney ha perso in tutti gli swing states escluso il North Carolina), e dovranno scegliere se fare una lotta senza quartiere oppure scendere a compromessi con i democratici e un Presidente che si spera avrà un polso più “esecutivo” rispetto ai primi quattro anni alla Casa Bianca.

Gli analisti si aspettano che alla fine il fiscal cliff sarà ridotto e che un accordo sarà raggiunto, specie sulla questione del debito pubblico. Il diavolo, però, sarà come sempre nei dettagli, e i lavori verranno seguiti con la massima attenzione: gli USA devono ripartire il prima possibile lungo il sentiero della crescita, oppure arrestare il declino in cui si sono spinti nel corso dell’era Bush diventerà una missione impossibile.

Passiamo agli appuntamenti più importanti della agenda macroeconomica della prossima settimana. Lunedì gli USA saranno “a mezzo servizio” per via della festività Veterans’ Day. Martedì conosceremo il dato sull’inflazione in Italia, attesa sugli stessi livelli del mese precedente, ovvero al relativamente basso livello del 2,6% su base annua. Più tardi gli occhi dei mercati europei saranno puntati verso la Germania, che rilascerà l’indice ZEW sul sentiment economico: l’indice dovrebbe essere ancora “pessimista”, ma in lieve miglioramento. Prima di pranzo andranno in asta BOT italiani a 3 e 12 mesi. Mercoledì andranno invece in asta BTP a 3 anni.

Sempre mercoledì conosceremo l’andamento della produzione industriale nell’Unione Europea, e purtroppo gli analisti non si attendono notizie positive, visto che si prevede un calo dell’1,9% su base mensile. Le vendite al dettaglio negli USA dovrebbero subire un deciso rallentamento, pur restando moderatamente positive su base mensile. In serata i mercati leggeranno con la massima attenzione i verbali dell’ultima riunione della Fed, cercando di estrapolare informazioni circa il futuro andamento dei tassi di interesse e dell’economia in generale.

Giovedì sarà mattinata dedicata alle stime preliminari del PIL di alcuni Paesi dell’Eurozona. Su base trimestrale, si attende che la Germania vedrà il proprio PIL crescere (anche se più lentamente), mentre Spagna e Italia lo vedranno diminuire. In mezzo al guado la Francia, il cui PIL dovrebbe rimanere fermo. Nel complesso, il PIL europeo è atteso in negativo per lo 0,2%. Negli Stati Uniti verranno rilasciati i soliti jobless claims (attesi in rialzo), ma soprattutto l’indice dei prezzi al consumo, che dovrebbe restare fermo grazie al calo dei prezzi dei carburanti. Infine l’indice della Fed di Philadelphia dovrebbe annunciare che la salute delle imprese dell’area si sta leggermente deteriorando.

Venerdì, oltre alla bilancia commerciale italiana (attesa in deficit, ma in lieve miglioramento), conosceremo il livello di produzione industriale statunitense: anche in questo caso, le attese sono per un rallentamento.

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