L’analisi post-voto fatta durante Annozero la scorsa settimana (alla apprezzatissima presenza di giornalisti, esperti ed Emilio Fede, e non di politici pronti a buttarla in caciara – che poi è la regola per i talk show stranieri, bravo Santoro) mi ha dato la possibilità di riflettere su come alcuni soggetti politici siano usciti vincitori dalle elezioni regionali a scapito di altri, magari rispetto alla propria stessa parte politica.
Come detto nell’articolo precedente, i vincitori dell’ultima tornata elettorale sono quattro, pur se in modo diverso: la Lega Nord, Nichi Vendola, il Popolo delle Libertà e Beppe Grillo (seppure in questi ultimi due casi le vittorie non sono, a mio avviso, “solide”).
Mi sono chiesto cosa abbia portato soggetti tanto eterogenei a vincere la loro propria “battaglia” delle urne. Nei miei pensieri ho subito escluso la questione del voto moderato: è una scemenza, basti vedere che i vincitori sono tutto fuorché moderati (PdL escluso, ovviamente, essendo esso nient’altro che il vuoto pneumatico e avendo avuto grande emorragia di voti a favore della Lega). Grazie soprattutto alle osservazioni di Gian Antonio Stella, ho potuto notare invece che questi quattro soggetti hanno risposto in modo diverso a due domande secondo me fondamentali: in primo luogo, in che modo hanno portato avanti la campagna elettorale; in secondo luogo, come si sono rivolti all’elettore. Va tuttavia premesso che queste non sono le uniche due caratteristiche che portano alla vittoria in una competizione elettorale, e che molte altre variabili vanno tenute di conto (e infatti non esiste una formula magica per vincere le elezioni).
Io vedo due possibili risposte per ognuna di queste domande: per quanto riguarda la campagna elettorale, essi sono forza mediatica e concretezza dei programmi; per quanto riguarda l’elettore, sono testa e stomaco. Questo mi permette di individuare quattro possibili combinazioni all’interno delle quali inquadrare i soggetti politici considerati (sia chiaro, tuttavia, che nella realtà è possibile utilizzarli anche tutti e quattro, io qui mi riferisco al modo prevalente di proporsi).
La Lega Nord, stando ai dati sciorinati ad Annozero (sempre Stella), ha avuto una relativamente scarsa presenza mediatica, mentre ha avuto forte concretezza nelle sue proposte, dimostrandola spesso con la presenza fisica accanto agli elettori (ad esempio, all’uscita delle fabbriche). Per quanto le sue proposte siano stupide, razziste e irrazionali, la Lega Nord è riuscita a radunare consenso: il motivo è che questo partito ha parlato allo stomaco degli elettori, che non essendo un organo “pensante”, non ha notato la stupidità (e spesso, la mostruosità) di tali proposte.
Il Movimento a 5 stelle di Beppe Grillo si è presentato, invece, con programmi molto concreti su molti argomenti (acqua, energia, mobilità, rifiuti, ecc.), anche se poco articolati (soprattutto in senso regionale). Ma anche in questo caso, non era necessario che lo fossero: gli elettori a cui Grillo si riferiva erano anch’essi “di stomaco”. Con questo non voglio dire che non siano elettori di testa, anzi, il contrario: basti notare la differenza enorme fra le liste Grillo nel nord e quella della Campania, l’unica meridionale. Nelle prime, Grillo ha avuto successo, nella seconda no, e questo si spiega con il fatto che il livello di cittadinanza attiva, di educazione civica, della Campania (e del Sud in generale) è a livelli infimi. Questi elettori di testa, però, sono diventati elettori di stomaco, poiché hanno votato Grillo in quanto stufi e arrabbiati, anche se il loro voto, visto col senno di poi, ha rafforzato i nemici naturali del movimento poiché ha indebolito i soggetti più affini (IdV in primo luogo). Si pensi alla vittoria di Cota in Piemonte. Per questo parlo di elettori (oltre che di movimento) di stomaco. Se altri soggetti politici dovessero far proprio anche parte del programma di Grillo, il movimento verrebbe ridimensionato, poiché si passerebbe dalla protesta alla testa.
L’analisi, per il PdL, è molto semplice. In primo luogo, abbiamo avuto una forte occupazione dei media e nessun tipo di concretezza dei programmi. Basti pensare alle domande a risposta obbligata che Silvio Berlusconi ha urlato ai suoi elettori durante la manifestazione in piazza San Giovanni (“Volete pagare meno tasse?”). Ma il popolo di Berlusconi non ha bisogno di programmi concreti: se ne avesse bisogno, avrebbe anche le capacità di notare che Berlusconi, pur al potere da un decennio, non ha fatto una sola delle riforme promesse ormai dal 1994 (meno tasse per tutti? Mai viste. Più lavoro? Non pervenuto. Giustizia più veloce? Al contrario, le sue riforme l’hanno rallentata e demolita per farlo uscire sano e salvo dai suoi processi). Il PdL, insomma, continua a promettere le stesse cose, dimostrazione del fatto che non sono in grado di mantenere. Tutto questo perché l’elettore del PdL ragiona con lo stomaco (e per Silvio e i suoi cortigiani è meglio così). È una strategia che funziona, anche per anni (si pensi alle dittature del secolo scorso, dall’Italia all’Argentina), ma questo ha conseguenze disastrose nel medio periodo, visto che non si può promettere per sempre e nel frattempo lo Stato si sfascia. E i primi segnali di questa tendenza si cominciano a vedere: il PdL, infatti, ha perso molti elettori e molto share, e soprattutto sta abbandonando il Nord del Paese, e il perché è chiaro. Come già detto, i cittadini del nord hanno maggiore senso civico, ed è logico e consequenziale che non rispondano ad un partito che non fa proposte concrete. In questo modo non sono in grado di influenzare l’elettorato d’opinione, mantengono (com’è ovvio) l’elettorato d’appartenenza, e devono per forza rivolgersi a quello di scambio, ovvero agli elettori del meridione (in questi giorni, infatti, parliamo di meridionalizzazione del PdL).
L’ultimo è Nichi Vendola, ed è il soggetto che conosco meno. Come conferma sempre Stella, Vendola ha vinto perché ha proposto un programma netto. Anche Vendola, quindi, non si è certo contraddistinto per la sua presenza mediatica, quanto per i programmi concreti (quelli dell’ormai celebre “laboratorio di buona politica”). Si tratta di programmi articolati, ma soprattutto razionali. Con questo non voglio dire che siano buoni o cattivi (non è lo scopo di questo articolo), ma solo che non mirano in sé a suscitare emozioni viscerali negli elettori (come puoi emozionarti pensando alla gestione dell’acqua pubblica?), come nel caso della Lega (che, ad esempio, vuole farti incazzare contro gli rumeni). Vendola con il suo programma si è rivolto alla testa degli elettori, mentre per stimolare lo stomaco ha usato le sue proprie caratteristiche e il proprio carisma.
Quali conclusioni possiamo trarre? Che per vincere le elezioni oggi in Italia bisogna necessariamente passare per lo stomaco degli elettori. E qui si scopre l’acqua calda: l’han fatto tutti, basti ricordare Obama e quel suo flusso ipnotico pervaso di speranza (anche se poi la riforma sanitaria è uscita fuori un po’ annacquata). Ma ciò non toglie che i candidati possano usare lo stomaco per raggiungere la testa: è ciò che ha fatto Vendola (e in misura diversa Grillo) usando programmi concreti, proposte nette e visibili. Non l’ha fatto la Lega, le cui proposte, pur concrete e nette, si rivolgevano allo stomaco; men che meno il PdL, che tali proposte non le ha neppure fatte.
Quali consigli tiriamo fuori per le opposizioni che vogliono vincere nel 2013? La Lega va inseguita sì, ma solo nel metodo attraverso il quale ha aggirato il monopolio televisivo, ovvero tornando dagli elettori, aprendo sedi in ogni dove, mostrando vicinanza a chi è in difficoltà, insomma facendo politica concreta, non quella da salotto. Occorre lavorare ad un programma che sia pieno di proposte concrete e nette, occorre creare un think tank (o un laboratorio, se volete) delle opposizioni che sia in grado di dare una speranza a questo Paese, e che questo programma e questa speranza raccolga i consensi di più soggetti politici. Non è una missione impossibile, è resa tale dal fatto che ci sono persone che, ormai da anni al potere, hanno ormai perso la voglia di fare e di cambiare lo stato delle cose, e che oggi si occupa solo di mantenere poteri e poltrone. Occorre ricambio, è una cosa che ha capito George Washington già nel 1793: ricordate cosa ho scritto qualche giorno fa?
Sono certo che persone nuove (non necessariamente giovani, ma sarebbe auspicabile) riuscirebbero a creare una vera unione delle opposizioni che abbia come collante (come fu l’Unione o meglio l’Accozzaglia) non solo l’antiberlusconismo (per quanto non ci trovi nulla di male, visto che il berlusconismo è la degenerazione della politica), bensì la voglia di fare ciò che è bene per il proprio Paese. Ma rimanere in mano a persone ormai ai vertici da decenni non solo non dà l’immagine della speranza del futuro, ma non aiuta neppure a trovare nuovi schemi per parlare con una società che nei decenni è profondamente mutata.
E una volta creato (o anche mentre si crea) questo programma bisogna darsi da fare per trovare una persona (IL candidato) in grado di comunicarlo alla gente. Se sai cosa dire, le parole giuste verranno da sé. Alla gente comune non servono trecento pagine di programmi: il candidato deve essere in grado di arrivare alla testa degli elettori passando per lo stomaco, e per farlo, in primo luogo, deve scioccare l’elettorato con la sua faccia nuova, per avere attenzione (ancora, si pensi a Obama). Il che sega automaticamente Bersani, Di Pietro e altri dalla corsa alla presidenza, ma questo è necessario perché non si deve solo partecipare alle elezioni, ma bisogna pure vincerle. E con i loro volti stranoti non si vincerebbe. Per non parlare delle parole: su Il Fatto di qualche giorno fa si analizzavano le parole di Bersani con l’aiuto di un linguista, e ciò che questo signore diceva era bello, ma privo di alcun significato, senza alcuna prospettiva (ne avevo già parlato tempo addietro). Questo non significa che i leader di oggi debbano essere lasciati ai margini: se hanno idee vere, le mettano al servizio del candidato e del Paese, soprattutto. O stiamo solo pensando alle poltrone?
La base per la vittoria elettorale, dunque, è l’esistenza di un insieme di proposte nette e chiare. In secondo luogo, è necessario di essere in grado di comunicarle all’elettore, e visto che non è possibile farlo in tv (dove pure s’informa ancora la maggioranza degli italiani) è necessario farlo con altri mezzi. E, sorpresa, il mezzo più adatto non è internet, che tuttavia va bene per supportare. Il mezzo più adatto sono le persone: sono le persone che nelle proprie realtà possono non solo comunicare il programma, ma anche raccogliere i bisogni e le richieste della gente, che a loro volta contribuirà a rendere il programma ancora più concreto. Anche su internet, certo, ma in un Paese analfabeta digitale, non basta, occorre presenza fisica.
Volendo riassumere in tre P:
- Persone (per raccogliere bisogni e feedback);
- Programma (per avere e dare un’immagine del futuro che si desidera);
- Parole (di un leader giovane, dotato di carisma, che arrivi alla testa passando dallo stomaco).
Sono arrivato quasi a 2000 parole, e mi sembra di avere detto solo ovvietà. Ma se tutte le cose che abbiamo detto sono ovvie, qualcuno mi spiega perché le opposizioni continuano a perdere?
Giusto due righe per ricordare che il PD non ha avuto forte esposizione mediatica, non ha avuto concretezza e non ha avuto persone in grado di attirare l’attenzione dell’elettore, e dunque non ha potuto parlare né allo stomaco né alla testa della gente. Ancora oggi continua a dire: aspettiamo la maggioranza in Parlamento. Per citare Bersani: «Ma siamo matti?». Il PD si metta a proporre, metta con le spalle al muro la maggioranza di cartapesta, imponga la sua agenda o parte di essa, non aspetti che questi fascistelli occupino il campo, se no la partita delle riforme è già persa (e non solo per il PD, bensì per il Paese intero). Il timore, però, è che il PD aspetti la maggioranza perché la sua agenda semplicemente non ce l’ha.
Un po’ meglio l’IdV, ma Di Pietro non basta e i programmi sono ancora piuttosto fumosi (in economia, tanto per dire, io non ho ancora capito se preferiscono il mercato o se sono socialisti). Non parliamo dei comunisti, i cui programmi sono semplicemente fuori da questo secolo (e forse pure dal precedente). Quanto all’UdC, lo stesso: un partito che si allea un po’ di qua e un po’ di là non ha niente di concreto e soprattutto netto da offrire (sentire poi un divorziato quale è Casini parlare di valori cattolici mi fa semplicemente scompisciare, perfino il ridicolo è morto dalla risate). L’UdC cerca il potere in quanto tale, non per l’uso che se ne può fare. E fine.
No, decisamente non è così che si vince.
Cosa ne pensate? Dite la vostra nei commenti. 🙂
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