Giulio Tremonti, bilancio del primo anno da ministro dell’Economia

Riporto un mio articolo pubblicato oggi su Diritto di Critica (aggiungetelo ai vostri segnalibri e ai vostri feed :-), nel quale racconto, con un po’ più di professionalità rispetto all’altra volta, il bilancio del primo anno di Giulio Tremonti quale ministro dell’economia:

Giulio Tremonti, dopo diciotto mesi di governo di centrosinistra, è tornato a occupare la poltrona del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ovvero il dicastero chiave, specialmente in un momento di crisi come quella che stiamo vivendo. Dopo un anno pare il momento di tracciare un primo bilancio del suo lavoro, con un occhio di riguardo ai provvedimenti (promossi o approvati da Tremonti) che più sono stati pubblicizzati sui media italiani. Va detto, in primo luogo, che Giulio Tremonti ha più volte ricordato di essere riuscito a prevedere la crisi finanziaria ed economica mondiale. Ed è vero. Tuttavia molti provvedimenti non hanno tradotto tali previsioni in misure adeguate a contrastare la crisi.

1) Abolizione dell’ICI;
Il primo intervento degno di nota è stato l’abolizione dell’ICI sulla prima casa. Per le fasce media e bassa della popolazione l’ICI era già stata abolita dal precedente governo di Romano Prodi. L’abolizione dell’ICI effettuata dal governo di Berlusconi, invece, ha riguardato i contribuenti più ricchi. Un provvedimento evitabile, considerando il sostanziale abbandono di una politica fiscale redistributiva e soprattutto il buco di tre miliardi lasciato nelle casse dei comuni italiani, aggravato dal fatto che Tremonti aveva previsto la crisi economica, che comporta naturalmente un aumento del fabbisogno statale (e infatti Tremonti ha previsto, entro la legislatura, un aumento della pressione fiscale, al contrario di quanto affermato in campagna elettorale).

2) Detassazione straordinari e regole d’impresa;
Il provvedimento di abolizione dell’ICI fu approvato insieme alla detassazione degli straordinari. Un altro provvedimento contraddittorio e inutile visto che, sempre a causa della crisi, le imprese hanno cominciato a tagliare il lavoro, non ad aumentarlo. Tremonti, poi, aveva giustamente ricordato che la finanza non poteva rimanere senza regole. Ma non è passato dalle parole ai fatti: il reato di falso in bilancio, depenalizzato nel corso del governo Berlusconi II, non è stato reintrodotto. Si tratta della misura più elementare per punire chi fornisce informazioni sbagliate al mercato, un incentivo, dunque, a non rispettare le regole. È inoltre un provvedimento che rende il mercato italiano meno robusto e appetibile: le aziende oneste e quelle straniere, infatti, sono restie ad investire in un Paese dove le aziende disoneste possono godere di un vantaggio ingiusto (quello di potere falsificare le informazioni). In particolare le aziende straniere non possono giocare sporco come le aziende disoneste italiane, visto che altrimenti falsificherebbero anche i bilanci all’estero, dove questo reato è punito assai severamente. A proposito di regole per l’impresa, il governo ha approvato di recente delle normative volte al consolidamento dei gruppi di controllo delle aziende quotate, per evitare acquisizioni ostili in un momento in cui le azioni viaggiano ai minimi. Da notare che però il nostro mercato finanziario presenta già una debolissima contendibilità aziendale e pertanto questo provvedimento è un «un passo indietro gravissimo per il market for corporate control», come ha detto pure l’Autorità garante della concorrenza. Sempre in tema di finanza, Tremonti aveva fortemente attaccato gli strumenti derivati, il cui abuso ha certamente contribuito alla crisi. Anche qui la lungimiranza di Tremonti non si è tradotta in provvedimenti idonei. Il divieto dell’uso dei derivati negli enti locali (uso che ha creato un buco nei bilanci di molte amministrazioni) è stato deciso pochi mesi dopo l’abbandono di Tremonti nel 2006, dal governo Prodi, con la finanziaria 2007 e soprattutto quella del 2008, dopo aver notato che gli enti locali cascavano troppo spesso nelle clausole falsamente favorevoli proposte dalle banche [R. Artoni, Elementi di scienza delle finanze, Il Mulino, 2008].

3) Catania, Roma e i buchi nei bilanci comunali;
Sempre a proposito di enti locali, il ministero dell’Economia ha dato il via libera alla copertura del debito del comune di Catania, buco lasciato dall’amministrazione di Umberto Scapagnini, medico di Berlusconi. Simile provvedimento è stato approvato per il comune di Roma, oggi retto da Gianni Alemanno, in passato da Walter Veltroni. Normalmente le amministrazioni non virtuose (in particolare quelle del sud) vengono commissariate, ma in questi due casi il governo centrale è intervenuto a ricopertura per salvare le amministrazioni (di centrodestra), lanciando un segnale negativo, ovvero che i comuni possono dimenticare il patto di stabilità, visto che il governo interverrà a coprire i debiti contratti. È stato insomma introdotto un incentivo all’instabilità finanziaria, che in un Paese come l’Italia, pieno di debiti, non sembra essere adeguato.

4) Social card e Robin Hood Tax;
Uno dei provvedimenti più pubblicizzati è stata la carta acquisti (social card). Si trattava di una carta prepagata dallo Stato a favore delle famiglie più indigenti. Il denaro per le ricariche sarebbero provenuti dalla cosiddetta Robin Hood Tax, che avrebbe stornato i profitti di banche e petrolieri che, all’epoca, guadagnavano molto. Anche in questo caso, però, Tremonti non ha seguito le sue previsioni. A causa della crisi, infatti, il prezzo del petrolio è sceso fino a un terzo dai massimi, mentre le banche, lo sappiamo tutti, sono state le prime ad essere colpite dallo tsunami finanziario. Come risultato, solo una piccola parte delle social card previste sono state effettivamente attivate (circa il 40%).

5) Vendita di Alitalia;
Provvedimento assai pubblicizzato e più controverso è stato pure la vendita di Alitalia. La compagnia, giunta a perdere tre milioni al giorno, doveva essere venduta ad AirFrance-KLM nel 2008. Il cambio di governo, però, ha cambiato le carte in tavola: Alitalia deve rimanere italiana. Una cordata di imprenditori italiana rileva la parte buona di Alitalia, mentre quella cattiva (ovvero quella con i debiti) rimane allo Stato. Il saldo dell’operazione è negativo: il Tesoro si fa carico di un debito di tre miliardi di euro, senza considerare la rete di sicurezza per i dipendenti licenziati (secondo la stima di Tito Boeri, un altro miliardo sempre a carico dei contribuenti). Poche settimane dopo, AirFrance-KLM, che l’anno prima avrebbe rilevato Alitalia senza gravare sul bilancio pubblico italiano, rientra dalla finestra: grazie a un aumento di capitale, acquisisce il 25% della nuova Alitalia. Un giro più lungo (e più pesante per gli italiani) per arrivare allo stesso risultato. E al punto di partenza, visto che la nuova Alitalia è in difficoltà come quella vecchia.

Il primo anno di Tremonti, dunque, si conclude con una situazione abbastanza contraddittoria. Tutti questi provvedimenti, infatti, non hanno ridato regole certe alla finanza e hanno tolto risorse alle casse dello Stato, risorse che sarebbero tornate utili nella crisi pur prevista da Tremonti. Tuttavia, proprio nell’affrontare la crisi, l’inquilino di via XX settembre ha deciso per una linea attendista: la manovra anticrisi, infatti, è evidentemente irrisoria rispetto a quelle dei nostri partner internazionali, data l’intenzione dichiarata di difendere il bilancio pubblico (che, come diceva Ambra Colacicco su queste pagine, è giunto a livelli stratosferici, invertendo la tendenza ribassista, anche grazie alle politiche fin qui ricordate). Appare dunque evidente la doppiezza dell’azione tenuta finora da Tremonti.

La prossima sfida è il federalismo fiscale: di recente il Parlamento ha conferito una delega al governo per la stesura di una legge in materia. Una riforma fortemente voluta dalla Lega Nord, ma la delega prevede principi molto ampi e generali ed effetti, pertanto, imprevedibili. Giulio Tremonti, questa volta, ha preferito non fare previsioni.

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