Il presidente russo Dmitrij Anatol’evič Medvedev, che potremmo definire una sorta di marionetta nelle mani di Vladimir Putin, ha scritto ieri a diversi capi di stato e di governo (fra i quali anche l’amico Berlusconi) per parlare delle sue ragioni circa il riconoscimento dell’indipendenza di Ossezia e Abkhazia. Riassumo la lettera in breve: ovviamente la colpa, secondo Medvedev, è della Georgia, che ha attaccato l’Ossezia e che voleva attaccare pure l’Abkhazia, mentre la Russia ha sempre fatto da paciere e da garante della stabilità. Quindi noi abbiamo fatto bene, e se volete essere con noi, bene, altrimenti non ce ne può fregare di meno. Altrettanto ovviamente la Georgia nega.
Questa è la politica di facciata. Dietro, ovviamente, c’è la realpolitik, la politica reale, quella che ha sostanza, quella importante. La Georgia ha cominciato ad orbitare pericolosamente nell’orbita occidentale: il governo di Tbilisi conta un primo ministro anglo-georgiano, ministri americano-georgiani, un ministro della difesa (sì, della difesa) israelo-georgiano e molti hanno studiato in Occidente. Non solo: Israele fornirebbe armi ai georgiani e i russi, per rappresaglia, fornirebbero armi a Hezbollah e Hamas. Ovviamente la Georgia nega, e dice che il governo georgiano è un’alternativa al putinismo, e pertanto pericolosa.
Ancora: attraverso la Georgia passa il Btc, uno degli oleodotti che trasportano petrolio e che rappresenta una delle poche alternative non russe per far arrivare il petrolio dell’Asia centrale in Europa (visto che parte da Baku, in Azerbaijan, e arriva, passando appunto per Tbilisi, in un porto turco sul Mediterraneo chiamato Ceyhan). L’altra alternativa è l’oleodotto dell’amicizia, che parte dalla Siberia, e arriva in Europa orientale, fino in Germania. Si tratta dell’oleodotto che ha causato, qualche inverno fa, la scarsità di combustibile e che ha rischiato di farci stare tutti al freddo. Oggi la situazione è diversa, e entro fine anno potrebbe cambiare ancora. Oltre al Btc, l’Italia (e l’Europa) stanno per attivare nuovi oleodotti che partono dall’Africa e arrivano, appunto in Italia, cui si aggiungono pure i rigasificatori. Insomma, l’Italia e l’Europa stanno diversificando le fonti di approvvigionamento, e questo fa perdere alla Russia una notevole arma di ricatto. Avere anche il Btc ristabilirebbe l’equilibrio (ovvero la dipendenza dalla Russia). La Russia, inoltre, non può perdere tempo: i suoi impianti antidiluviani non riusciranno a soddisfare tutta la domanda e quindi deve spremere i propri clienti per potere investire in nuovi giacimenti e quindi non può permettersi troppa concorrenza.
Questo ci fa capire un’altra cosa: come mai la Russia ha praticamente distrutto il porto di Poti (e tuttora lo tengono sotto controllo)? Semplice: era uno dei terminal da cui partono le navi di petrolio e che la Georgia mirava a raddoppiare. E qui entra in gioco il Kazakhstan: questa terra, molto ricca di giacimenti, prevede di aprire un nuovo supergiacimento e una società kazaka ha già acquistato un altro porto georgiano, quello di Batumi, che pure è stato bloccato dai russi.
E non è finita qui: c’è un altro importante porto sul Mar Nero, che si chiama Odessa, ed è in Ucraina. Da Odessa parte un oleodotto che arriva a Brody, praticamente al confine con la Polonia, altro Paese che, dopo essere entrato nell’Unione Europea, si è definitivamente affrancato dalla Russia dopo l’accordo per l’installazione dei missili dello scudo spaziale. Azerbaijan, Georgia, Ucraina, Lituania e Polonia, sempre più vicini alla UE, vogliono prolungare l’oleodotto Odessa-Brody fino a Płock, importante centro petrolchimico polacco, per far arrivare il petrolio fino a Danzica, porto polacco sul Mar Baltico.
A quel punto l’accerchiamento sarebbe completo: l’oleodotto dell’amicizia in mano alla Russia, da cui oggi dipende tutta l’Europa, finirebbe per essere surclassato da una rete che, partendo da Baku, potrebbe far arrivare petrolio dell’Asia centrale indifferentemente al Mar Mediterraneo o al Mar Baltico, collegandosi quindi idealmente con i giacimenti nel Mare del Nord senza passare neppure per un attimo in territorio russo. Una vera rivoluzione. Ma dov’è che la chiave di questa rivoluzionaria strada del petrolio? Proprio in Georgia, dove il petrolio deve decidere se andare verso i porti sul mar Nero (per poi partire per Odessa e quindi arrivare sul Mar Baltico) oppure verso la Turchia ovvero verso il Mediterraneo (dove fa concorrenza agli arabi). Ecco perché la Georgia è un Paese chiave in questo risiko nascosto fra potenze.
L’unica cosa che mancava alla Russia era il pretesto per fare tutto questo. Glielo ha fornito l’Occidente stesso riconoscendo l’indipendenza del Kosovo appena sei mesi fa. La Russia, infatti, sin dai tempi dello zar, carezza il sogno di uno sbocco sul Mediterraneo. Sotto l’URSS ci era andata vicinissima, se non fosse stato per la Jugoslavia di Tito, che già ai tempi di Stalin aveva rotto queste speranza. Oggi l’indipendenza vera di un gran numero di Paesi dell’ex Unione Sovietica sta frantumando questo sogno e per la Russia il Mediterraneo si allontana sempre più. L’indipendenza del Kosovo ha fatto capire alla Russia che deve cambiare strategia. Se il Kosovo può essere indipendente, perché non possono esserlo anche Ossezia e Abkhazia? E il gioco è fatto. Se la Russia non va al Mediterraneo, sarà il Mediterraneo ad andare alla Russia. Le armi diplomatiche (e non) ci sono: la Russia non è mai uscita dalla Guerra Fredda, a differenza dei Paesi occidentali, che dopo il crollo dell’URSS hanno guardato verso altri fronti. Quindi è più allenata ad una situazione sempre più simile ai decenni scorsi, e la Georgia, questo piccolo tassello fondamentale del più grande disegno, non è che una pura formalità per Putin e i suoi.
Per quanto riguarda l’Italia, ho un po’ di timore: già Frattini aveva disertato un vertice sull’argomento perché era in vacanza alle Maldive (probabilmente gli esteri a un ministro degli esteri non interessano). Poi ieri un deputato PdL (non sono riuscito a vedere il nome al TG1) accusava la sinistra e la pseudo-sinistra (il PD) di appoggiare i propri ex-compagni russi (sì, ha usato proprio la parola “compagni”, tanto cara fra tovarish comunisti filorussi), dimenticando che il burattinaio russo è ospite fisso in Sardegna del suo capo, Silvio Berlusconi. Da allenato giocatore di risiko! so bene quanto conti la lucidità in situazioni intricate come questa: e da queste prime battute comiche del nostro governo non posso che avere paura, se tutto dovesse andarci bene, di fare una grossa figura di…