Come ben sappiamo, il 25 aprile scorso Beppe Grillo ha lanciato una raccolta firme volta alla proposizione di tre referendum abrogativi, riguardanti tre leggi sull’informazione. Da più parti sono stato accusato di essere un grillino (seguace di Grillo), e i più delle volte queste accuse mi sono state rivolte da cosiddetti Berluscones (ovvero persone che sostanzialmente ritengono Berlusconi un semidio infallibile).
Siccome non sono una foca e credo di possedere almeno una piccola dose di onestà intellettuale, ribadisco che io ho una facoltà di pensiero autonoma e che non seguo come una pecora quel che dice Grillo, Berlusconi, Veltroni e altra gente simile. Io sono l’incubo degli esperti di marketing. Io penso, rifletto, mi informo, mi creo una mia idea. E infatti ritengo che Grillo abbia ragione su certe cose e torto marcio su altre, come è ovvio. Grillo è un comico, e come tutti i comici deve sintetizzare dei concetti, estremizzarli per penetrare a fondo nel cuore del suo spettatore. Grillo è un grande comunicatore, ma in questo modo, se da un lato riesce ad attirare l’attenzione, dall’altro semplicizza enormemente problemi troppo complessi. Una pecca, certo, ma a Grillo va dato di sicuro il merito di portare all’attenzione problemi che altrimenti rimarrebbero sotterrati dai media mainstream.
In particolare, qui desidero spiegare cosa esattamente penso dei referendum di Grillo. Dovendo riassumere la mia posizione in poche parole, direi che sono favorevole per necessità, ma non per convinzione.
Mi spiego meglio: non esistono altri strumenti efficaci quanto un referendum per cambiare una disposizione normativa. Le proposte di legge popolare vengono spesso archiviate: figuriamoci che vengono buttate vie le proposte dei parlamentari, se non hanno il favore del Governo, figurarsi le proposte provenienti da comuni mortali. L’unica alternativa, fuori dal sistema politico, è il referendum. Per questo motivo sono favorevole ai referendum proposti da Grillo, anche se non li condivido pienamente: mi piacerebbe che un’imponente raccolta di firme costringa il Legislatore ad andare avanti con delle necessarie riforme, che altrimenti non ci sarebbero mai. Ho notato con piacere che questa posizione era condivisa da diverse persone ad Annozero, fra le quali, incredibilmente, anche Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI). Ecco quindi le mie posizioni a riguardo:
Referendum per l’abolizione dei finanziamenti pubblici ai giornali: CONTRARIO all’abolizione tout court, FAVOREVOLE a una riforma del sistema.
Oggigiorno i finanziamenti pubblici vengono erogati a pioggia sui quotidiani: in particolare, si premiano due componenti, ovvero la quantità di giornali stampati e il fatto di essere un organo di un partito o movimento politico, che può esistere effettivamente o meno. Riguardo il primo punto, mi sembra un incentivo allo spreco: per avere più soldi basta stampare più copie. Queste copie vengono vendute? Di solito no. Riguardo il secondo, mi sembra un insulto il fatto che basti la firma di due parlamentari per avere accesso ai finanziamenti. L’abolizione dei finanziamenti, tuttavia, comporta conseguenze nefaste: ci sono giornali piccoli che si reggono soprattutto sui finanziamenti pubblici. Questa è una delle conseguenze della riforma Gasparri: con tale legge, contrariamente al resto del mondo civile, si permette alla televisione di avere accesso ad immani quantità di pubblicità, a scapito degli altri sistemi. In un Paese normale, la pubblicità televisiva ha un tetto, che in Italia è infinitamente alto, facendo sì che determinate risorse pubblicitarie trovino sfogo sugli altri mezzi di comunicazione di massa, fra i quali i giornali. Per questo motivo, molti giornali non hanno sufficienti ricavi pubblicitari, e finirebbero fuori mercato senza i finanziamenti pubblici: e l’uscita di questi soggetti comporterebbe una drastica riduzione del pluralismo dell’informazione. L’abolizione totale dei finanziamenti pubblici ai giornali, quindi, avrebbe l’effetto contrario di quello voluto da Grillo. A mio avviso, bisogna stabilire che i giornali maggiori non debbano essere finanziati, in particolare quelli che sono quotati in borsa (i giornali del Gruppo Editoriale L’Espresso, quelli RCS e Il Sole 24 Ore, solo per fare un esempio: sono giornali che si reggono benissimo in piedi da soli: oltretutto i soldi che lo Stato eroga finiscono praticamente in mano ai privati sotto forma di dividendi); bisogna inoltre fare in modo che vengano favorite le cooperative e tutte le forme di giornalismo che non operano per profitto, ovviamente sempre entro un tetto massimo; bisogna abolire la correlazione fra finanziamenti pubblici e collegamento politico: essere collegato a un movimento politico (di solito finto) non può essere motivo di finanziamento; infine, bisogna evitare che la quantità di copie stampate determinino la quantità dei finanziamenti, e puntare su altre forme di agevolazioni, quali, ad esempio un intervento sull’IVA.
Referendum per l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti: CONTRARIO all’abolizione tout court, FAVOREVOLE a una riforma.
L’Ordine dei Giornalisti è regolato da una legge del 1963 ed è stato istituito da Benito Mussolini molto tempo prima, allo scopo di controllare i giornalisti. L’Ordine dei Giornalisti è un organo utile quando si tratti di censurare appartenenti all’ordine che si discostino da una norma di deontologia professionale, ma rischia di diventare uno strumento deviato: come si dice, il coltello non può fare del male, può farlo chi lo usa. Innanzitutto, l’iscrizione all’albo deve essere facoltativa, ci si deve iscrivere dopo avere superato un esame serio e l’iscrizione potrebbe servire per avere delle agevolazioni (come gli sconti sui treni, per favorire gli spostamenti). La professione di giornalista non può però essere tanto chiusa da impedire a chiunque di dire la propria: si pensi che i blog aggiornati con periodicità regolare potrebbero essere assimilati ai giornali, e costretti alla chiusura. Tutto questo deve esse tolto di mezzo: eventuali offese a qualcuno o a qualcosa possono essere tranquillamente condannate a posteriori, tramite querela. Ma non si può mettere un bavaglio preventivo a chi dice la verità. In Italia, invece, accade esattamente questo, ovvero che i giornalisti vengono messi in condizione di «o scrivi quello che dico io o non mangi». Sono pochi i giornalisti indipendenti che possono permettersi di dire cose antisistema: il mio preferito è Marco Travaglio, perché è l’esempio di un paradosso. Travaglio, infatti, è un giornalista liberale (quindi di destra, come Montanelli) che però è costretto a scrivere sui giornali di sinistra (addirittura su L’Unità). Inoltre Travaglio correda sempre di fonti quanto dice, è informato (non a caso, Montanelli ha affermato che Travaglio non uccide con il coltello, ma con l’archivio) e non si lascia intimidire: ad esempio, ieri sera Vittorio Sgarbi affermava che Il Giornale (su cui scrive) non riceveva finanziamenti pubblici. Travaglio, senza scomporsi, ribadiva che TUTTI i giornali, compreso Il Giornale, riceveva finanziamenti pubblici. Sgarbi si è incazzato come al solito, e lo ha chiamato «Faccia di tonto». Travaglio non ha perso la calma, e poco dopo Michele Santoro ha precisato che Il Giornale percepisce un milione e seicentomila euro (e Sgarbi ha affermato poco fa di volere querelare Travaglio → come volevasi dimostrare, i giornalisti che dicono la verità vengono portati in tribunale per intimidirli e zittirli, mentre uno come Sgarbi, quando dice falsità, non viene mai toccato). Ma l’Ordine dei Giornalisti deve essere in grado di esprimere una censura nei confronti di persone, iscritte o meno, che fanno informazione in modo regolare, e questo deve avvenire sulla base di un codice etico scritto, a tutela della collettività e del pluralismo.
Referendum per l’abolizione della cd Legge Gasparri: esiste una parola più forte di FAVOREVOLISSIMO?
La legge Gasparri è una legge che va contro tutte le normative, e diciamolo chiaramente per non insultare l’intelligenza, è stata scritta ad uso e consumo di Berlusconi, in barba a tutte le disposizioni costituzionale ed europee. Non esiste una parola per definire il livello che questa legge raggiunge nella scala dell’indecenza. Grazie alla Gasparri (il cui autore viene ritenuto, secondo me a buon diritto, un Berluscones esterno) l’Italia è in mora, questo vuol dire che gli italiani dovranno pagare una “tassa Berlusconi” pari a 3-400mila euro al giorno a partire dall’entrata in vigore della Gasparri, per un totale che il primo Gennaio 2009 arriverà a 3-400 milioni di euro, a meno che la Gasparri non venga abolita. Perché l’ho definita “tassa Berlusconi”? Perché è una tassa che dobbiamo pagare a causa delle aziende di Berlusconi, oltre che a causa di una legge del suo Governo. La Gasparri permette a Rete 4 (di proprietà, ricordiamolo, di Berlusconi) di trasmettere, in barba alle decisioni della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia della Comunità Europea e calpestando, schiacciando, spappolando, smolecolarizzando il diritto di trasmettere che Europa 7 ha regolarmente vinto (e cui noi, con le nostre tasse, dovremo pagare, probabilmente, un’altra, astronomica multa). Inoltre, la Gasparri permette alle televisioni di trasmettere una enorme quantità di pubblicità (e Mediaset ne ha approfittato in tutti modi), andando contro le disposizioni comunitarie, ovvero la direttiva Televisione senza frontiere. Ancora, la Gasparri permette che le televisioni si approprino di una quantità di risorse che in altri Paesi civili finiscono su altri media, a cominciare da radio e giornali, che oggi sono soffocati dalla mancanza di pubblicità. E infine, la Gasparri permetterà, dal 2011, ai concessionari di frequenze radiotelevisive di possedere giornali: finalmente Paolo Berlusconi potrà lasciare il suo ruolo di editore de Il Giornale, e fare in modo che Mediaset, Mondadori e Il Giornale diventino una potenza integrata devastante per l’informazione e soprattutto per il pluralismo.
Per questo motivo, al momento io penso che andrò a firmare (parlo al futuro, perché faccio parte di quell’ala di costituzionalisti che ritiene invalide le firme raccolte il 25 aprile). Queste sono le mie posizioni, che credo siano abbastanza ragionevoli. Per lo meno, io le ho attentamente ponderate. Se la pensate altrimenti, vi invito a commentare per poterne discutere.