(Continua da qui – relativo all’altro referendum sull’acqua)
Questo post si riferisce al referendum scheda GIALLA.
Con questa FAQ non voglio fare uno spot per il SÌ né uno per il NO. Molto semplicemente, se vi siete informati solo presso il Comitato per il SÌ o solo presso i favorevoli al NO, buona parte di ciò che credete è falso. Non so se sia intenzionale, ma questa falsità è sicuramente dovuta all’eccessiva semplificazione della materia.
Quanto segue deriva dallo studio delle seguenti leggi:
- Articolo 154 della 152/2006 (di cui si chiede la parziale abrogazione);
- Articolo 3 del decreto ministeriale 1 agosto 1996 (che NON si vuole abrogare);
Siete incoraggiati a fare obiezioni e farmi notare gli errori, con la condizione che mi diate un riferimento normativo (ovvero ditemi quale legge ho sbagliato a interpretare), anche indirettamente (ovvero linkandomi obiezioni fatte da chi come me, s’è letto la legge e non parla a sproposito – per cui evitatemi pure i post di Grillo e del signoraggista-sciachimista Di Pietro). Se le obiezioni sono valide, ne darò abbondante risalto in questo e nei prossimi post.
Altra premessa: verranno strettamente moderati i post che parteggiano per il SÌ o per il NO senza aggiungere nulla alla discussione. Scusate se parlo francese, ma per i fini di questo post mi fotte una sega di cosa votate, del pubblico e del privato, dell’etica, del comunismo e del capitalismo. In questo post si parla di fatti (le poche opinioni del titolare saranno facilmente riconoscibili). In un prossimo post scriverò le mie intenzioni di voto e lì sarete liberi di scrivere quello che volete. Qua no, c’è già abbastanza rumore sui referendum sull’acqua, qui dentro merxa non ne voglio.
Passiamo all’altro referendum. Questo è facile: se vince il SÌ i privati non guadagnano più con l’acqua?
E invece no.
Ma come no? Il famoso 7% non viene abolito?
No. Il famoso 7% è previsto dal decreto ministeriale 1 agosto 1996 (firmato dal ministro ai Lavori Pubblici Antonio Di Pietro, pensa te il contrappasso), il referendum abroga una norma di dieci anni dopo, il cosiddetto Codice dell’ambiente del 2006 (non tutto chiaramente, solo una frase).
Questo significa che i privati potranno continuare a guadagnare con l’acqua?
Se i politici glielo permettono ingiustamente e/o illegalmente, non c’è referendum che tenga.
Ma allora cos’è questo 7%?
È la remunerazione garantita per gli investimenti, anche pubblici.
In che senso anche pubblici?
Se bisogna rifare l’acquedotto, servono soldi, che il Comune può prendere in due modi: o a prestito o con le imposte. Il primo caso implica il pagamento di interessi a qualcuno, sia esso la Cassa Depositi e Prestiti o alle banche o chissà chi: dato che l’investimento è fatto per noi, siamo noi a doverlo pagare, com’è giusto che sia. Per pagare gli interessi sul capitale preso a prestito, il gestore (ovvero il Comune) può modulare la tariffa fino a prevedere il 7% di remunerazione del capitale. Eliminando il 7%, il Comune (che sarà comunque con buona probabilità nella società di gestione dell’acqua) non potrà più prendere a prestito il denaro per fare gli investimenti, e non gli resterà altro da fare che ricorrere alla fiscalità (le tasse), con il rischio che i soldi prelevati direttamente dalle tasche dei cittadini vengano distratti per altri progetti (o per altri sprechi), senza contare che c’è gente che le tasse non le paga affatto e avrà l’acqua senza contribuire agli investimenti.
E per quanto riguarda i privati? Se il profitto è garantito dov’è il rischio d’impresa? Perché dargli il 7%?
(Risposta riscritta) Quel 7% non è profitto garantito: quel 7% deve pagare gli interessi passivi dei capitali presi a prestito e ripagare l’utilizzo di capitale proprio. In altre parole, a questo 7% va sottratto il WACC, che in media nel settore dell’acqua è superiore al 6%, il che significa che il “profitto” è di meno dell’1%. Se si toglie questo 7% il privato potrebbe decidere di non investire, preferendo progetti che, almeno non gli assicurino perdite (infatti, se viene tolto il 7%, per il privato che investe nell’acqua resterebbero comunque da pagare interessi passivi e servizio del capitale proprio). Posto che i Comuni sono cronicamente privi di quattrini, se il privato decide di investire nell’acqua potremo avere un migliore servizio idrico.
Vabbé, questo non può farlo il pubblico?
Certo, ma ci sono due problemi: uno, il pubblico non l’ha fatto per decenni; due, il pubblico non ha soldi e dovrebbe aumentare le tasse. In ogni caso a pagare gli investimenti saremo noi, con una differenza: il privato quegli investimenti li deve fare se vuole avere il 7%, il pubblico, invece, no, anzi, potrebbe decidere di non farli per non aumentare le tasse.
Ma quindi se vince il sì che succede?
Succede che la remunerazione dei privati non sarà esplicitata in bolletta, per cui vi sarà meno trasparenza sul guadagno del privato (ovvero, avremo maggiori difficoltà a capire quanto guadagna il privato, posto che, come detto sopra, il privato guadagnerà comunque a prescindere dall’esito del referendum). Inoltre, venuta meno la garanzia della remunerazione, il privato potrebbe decidere di non investire in modo adeguato, lasciando l’incombenza al pubblico e godendo di eventuali guadagni, minori, non garantiti, ma comunque presenti (anche non monetari, come detto nella nota).
Quindi se il referendum non passa il privato investirà per non disperdere l’acqua, per farla diventare più buona?
Anche a riguardo non c’è certezza: se gli amministratori locali non vigilano o se addirittura ne sono complici, i privati faranno i propri comodi alla faccia nostra. Il privato non è obbligato a investire (purtroppo la legge è scritta male sia che vinca il SÌ sia che vinca il NO), l’unico che può obbligare a farlo è il politico locale (o quello nazionale, se scrivesse la legge in modo decente). Non posso dirlo con certezza assoluta, ma sono abbastanza sicuro che se i politici locali lo vogliono, possono mettere nel bando di gara l’obbligo di realizzare una quantità minima di investimenti al di sotto del quale il privato viene cacciato a calci. Come dicevo nel post precedente, più che dal socio privato, la gestione dell’acqua dipende dal socio pubblico, ovvero dal nostro sindaco, dai nostri assessori, dai nostri consiglieri comunali. Se questi non fanno i proprio dovere, pubblica o privata, l’acqua sarà sempre in pericolo.
Insomma, si direbbe che questi referendum non servano davvero a nulla.
Quelli sull’acqua no, anzi li reputo dannosi non in sé (come detto, se vince il NO o se vince il SÌ non cambia niente), ma per via della disinformazione. Non finirò mai di ripeterlo: i referendum sull’acqua non servono a nulla, non fermeranno i privati né i loro guadagni. L’unica cosa che possiamo fare perché l’acqua venga pagata il giusto e che tutti possano berla pulita è vigilare sui nostri politici.
Purtroppo, però, la campagna per il SÌ promette cose che il referendum non può dare, per cui, paradossalmente, con la vittoria del SÌ è più alta la probabilità che a guadagnarci saranno i privati e i politici disonesti.
Anche se è per una buona causa, la disinformazione non è ammessa: quando si disinforma, chi ci perde è la democrazia e il buon governo. L’unico modo per avere un Paese migliore è informare, ma in questo momento anche le opposizioni (e anche chi è oltre, come Grillo) disinformano (e non solo sul referendum per l’acqua), con un effetto che ha del paradossale:
Se il comitato per il SÌ avesse informato correttamente i cittadini, il 12 e 13 giugno sarebbero andati a votare SÌ per lanciare un mero segnale, consci del fatto che, comunque vada a finire il referendum, il 14 giugno sarà l’inizio e non la fine della battaglia per l’acqua per tutti al giusto prezzo.
Se il 13 giugno vince il NO, i cittadini avranno paura dell’acqua privata e magari si metteranno a vigilare o almeno a leggere le bollette con più attenzione, e magari ne chiederanno conto al sindaco.
Se il 13 giugno vince il SÌ, i cittadini penseranno che i privati verranno cacciati, mentre invece continueranno a fare i propri comodi. Insomma, si penserà di aver vinto una guerra, e invece si è fatto solo un piacere al nemico!
Photo credits | parodia di valepert (CC-BY) dal logo originale di Marco Caglioni
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Obiezione che entra nel merito della questione economica:
http://sostenibile.blogosfere.it/2011/06/referendum-acqua-pubblica-i-quesiti.html
Probabilmente questo mio commento andrebbe nel futuro post sulle tue intenzioni di voto…
>i servizi idrici dovranno essere gestiti da aziende private individuate mediante gara pubblica, oppure da società a capitale misto pubblico-privato nelle quali i privati detengano almeno il 40% delle quote.
Come ho spiegato, è falso. Nulla vieta ai comuni di farsi una bella SpA e di tenersela tutta per sé, senza i privati.
>chiusura delle autorità ATO (Ambito Territoriale Ottimale) che ancora garantiscono una gestione pubblica delle risorse idriche, entro e non oltre la fine del 2011, o la loro trasformazione in società a capitale misto.
Ciò non toglie che, decaduti quei contratti, possano fare una gara, far partecipare una SpA a capitale totalmente pubblico e farla vincere.
>il secondo referendum si contrappone alla logica del profitto come pilastro dei criteri per la determinazione delle tariffe.
La vittoria del SÌ al secondo referendum, scheda gialla, significa che per rifare gli acquedotti si devono aumentare le tasse (nel post apposito lo spiego meglio).
Il signore si è letto i quesiti, ma non le leggi oggetto dei quesiti. È un passo avanti. (Per la cronaca, Il Post ha appena pubblicato un pezzo che dice le stesse cose che dico io)
Scusa lo spam (in caso, rimuovi pure il messaggio)… Volevo complimentarmi per gli ultimi 2 articoli; dopo averli condivisi tramite social network (e lo stesso hanno fatto miei contatti), ho dato un’occhiatina in giro… E volevo comunicarti che il 241mo “follower” tramite feedburner son io 🙂
Figurati, il mio monito era solo per i partigiani del sì e del no che non portano nuovi argomenti alla discussione.
I complimenti sono sempre graditi: ti ringrazio per la fiducia, mi impegnerò per non deluderti 🙂
Scusami, come commenti questo articolo che oltre ai casi negativi della privatizzazione, dice anche che il decreto Ronchi ha fatto aumentare i costi peggiorando i servizi? Non dovrebbe essere più restrittivo della legge europea? Oppure questa non era ancora in vigore quando è stata approvata la legge Ronchi?
http://www.repubblica.it/politica/2011/06/03/news/acqua_altroconsumo-17185748/
Molti dei casi citati sono ben precedenti la legge Ronchi, ci sono gestioni private già dal 1996 (almeno – il caso citato di Arezzo). Va inoltre notato che l’articolo sottolinea pure il fallimento delle gestioni “comunali” nel corso degli ultimi decenni.
Voglio specificare che la gestione privata non piace neppure a me, né credo servirà a frenare i costi (ma ti dico la verità, io credo che l’acqua si paghi troppo poco e per questo se ne sprechi troppa, per cui voglio che l’acqua si paghi di più per chi ne consuma di più), ma come spiego nell’articolo questo referendum non la fermerà né la farà dilagare. Per quanto mi riguarda in base ai miei studi, il migliore regime di gestione è la società totalmente pubblica, che sarà possibile a prescindere dal referendum, purché i comuni lo vogliano.
Tra l’altro ho avuto un fitto scambio di mail con uno dei redattori di Altreconomia sull’argomento e ho ricevuto solo insulti e nessuna risposta nel merito della legge. Per tale motivo accetto l’articolo che mi citi cum grano salis.
Grazie per il tuo commento.
Quella di spacciare come una possibilità quello che invece la legge abroganda sancisce come un obbligo, cioè la gestione al 40% da parte privata, rappresenta la cartina di tornasole della voracità affaristico-clientelare dell’attuale governo e degli affaristi che lo sostengono. Non c’è scemo in finanza che non sappia che in una società un socio che abbia il solo 20% ma che sia l’unico ad investire denari freschi in investimenti finisce con comandare a suon di…profitti.
Oscar Giannino continua a far finta di non saper leggere?
C’è qualche lievissima differenza quando l’altro socio è il pubblico, ad esempio la procedura ad evidenza pubblica: il privato potrà pure avere dei profitti, ma solo se fa quello che il contratto prevede. Non basta sapere di finanza, bisogna essere scemi anche in diritto pubblico.