No, non si parla di Grillo stavolta, ma degli ultimi indigeni dell’isola di PasquAAA: Finlandia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi. Sono gli ultimi inquilini del club tripla A di stirpe europea, e anche loro non è che stiano meravigliosamente (a parte il Lussemburgo, credo). Intanto sono sempre più circondati da Paesi giudicati peggiori.
Ieri sera, infatti, Moody’s ha tolto la tripla A anche al Regno Unito, senza sorpresa alcuna per noi osservatori e con il solito clamore per i media. Inutile lanciare strali contro le agenzie di rating che affamano i popoli ed è tutto un complotto. Chi si interessa di queste cose sapeva da tempo che una simile misura sarebbe arrivata presto o tardi.
Ma due sono i motivi che rendono interessante questo taglio del rating.
Il primo è che il downgrade non giunge come un fulmine a ciel sereno, visto che gli analisti sanno da tempo che la crescita del Regno Unito è asfittica nonostante gli stimoli fiscali e monetari. La Gran Bretagna non è su un altro pianeta rispetto all’Europa, figuriamoci rispetto al mondo occidentale, e soffre di una situazione che va via via deprimendosi, anche se non è ancora drammatica (anzi, tutt’altro).
Il secondo, più divertente, è che il downgrade ha colpito questa volta un Paese con una moneta propria, alla faccia di chi dice che il problema è la moneta, usciamo dall’euro, torniamo al ducato borbonico. Il problema è uno solo, e si chiama crescita, e la moneta è, al massimo, solo una delle leve da utilizzare per riportarla nel vecchio continente, e certo non è svalutando che si risolvono i problemi (anzi: la svalutazione abbassa la febbre, ma non cura la malattia).Bisogna governare bene.
Questo episodio ci ricorda ancora una volta (semmai ce ne fosse bisogno) che l’Europa ha bisogno riforme su tre fronti: è necessario riformare i mercati interni e investire perché l’area dell’euro diventi sempre più ottimale, visto che è l’unica area valutaria che abbiamo e uscirne significa fare un catastrofico default; è necessario rafforzare l’Europa, affidandole, tra le altre cose, se non il debito pubblico, almeno la supervisione dei conti pubblici. In questo modo diventa possibile correggere gli squilibri dell’Eurozona attraverso trasferimenti interni (niente pasti gratis e abbondanti, ovviamente, rassicuro il mio affezionato lettore tedesco) e al contempo controllare che i Paesi periferici riducano il proprio debito, con manovre dolorose, certo, ma senza fare macelleria sociale come la fallita austerità tedesca sta facendo. E infine dare alla Banca Centrale Europea i poteri di una vera banca centrale, indipendente e sempre attenta all’inflazione, ma in grado di intervenire senza limiti di fuoco a difesa della valuta, non solo contro chi scommette sulla rottura dell’euro, ma anche nella guerra valutaria che, seppure non dichiarata, è evidentemente in atto. Tutto ciò che abbiamo, al momento, è Paesi periferici in preda all’ignoranza, alla fame e quindi al populismo, e Paesi centrali che preferiscono ignorare la realtà, fatta di un’austerità che, come abbondantemente previsto, sta creando solo nuovi buchi di bilancio. È una malattia che, in un’area economica così integrata, si espande in fretta, e i dati macro stanno lì a dimostrarlo, ogni singolo giorno.
Se l’andazzo resta questo, il club tripla A europeo diventerà un deserto. Aspettiamo le elezioni.
Quelle tedesche, ovviamente.
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