Torna la paura sui mercati finanziari nell’ottava terminata venerdì. L’indice italiano FTSE-MIB, dopo aver perso quota 13000 punti giovedì ha accentuato il ribasso nella disastrosa giornata di venerdì: in tale giornata l’indice, a livello percentuale, ha perso l’1,04%, circa un terzo delle perdite accusate dal DAX tedesco, ma va considerato che il mercato italiano si trova sui minimi dal 2009, mentre quello tedesco si è “limitato” a perdere i guadagni di quest’anno e, a quota 6000 punti, è ancora ben lontano dai minimi del 2009, verso i 4000.
La Germania, dunque, è considerata ancora relativamente più forte, e continua a macinare record positivi (non ultima la disoccupazione, ancora clamorosamente in calo), rispetto ai Paesi periferici, che invece ne macinano negativi (la disoccupazione italiana è ai massimi dal 2000), ma la situazione, secondo gli investitori, potrebbe drammaticamente cambiare se gli scenari di evoluzione della crisi europea più probabili si confermeranno essere quelli più tetri.
Si può dire oggi che la Grecia non fa più paura, per altre due settimane almeno (fino alle elezioni del 17) e l’attenzione degli osservatori si è spostata sul prossimo candidato al “salvataggio” (che, considerando come è stato affrontato il caso greco, si traduce in “tracollo”), ovvero la Spagna. La quarta economia dell’Eurozona si trova in una crisi da far impallidire quella greca, che al confronto non riguarda che pochi spiccioli. Solo per fare un esempio, l’esposizione delle banche europee verso Atene è di 250 miliardi, mentre nel caso di Madrid tre sole banche tedesche sono esposte per oltre 100 miliardi. La situazione deteriora velocemente, e questo fa pensare che le cancellerie europee si stiano muovendo per “salvare” il Paese iberico.
Le virgolette sono d’obbligo: è plausibile che l’intervento, specie tedesco, sarà molto più incisivo, visto che, come specificato sopra, le banche teutoniche sono grosse creditrici verso la Spagna, e il suo collasso sarebbe dolorosissimo per Berlino (come per altri Paesi, non ultimo l’Italia). Inoltre, mentre la crisi greca era causata principalmente da comportamenti criminali attuati a praticamente tutti i livelli (dal contribuente evasore al politico corrotto), quella spagnola è una crisi di deleveraging, legata al collasso del mercato immobiliare, ancora in caduta libera, dunque non dovrebbero esservi salvataggi “punitivi”. Al contrario della Grecia e di altri Paesi europei (fra cui l’Italia), infatti, la Spagna è riuscita ad approfittare dell’euro per spingere la crescita economica sotto i governi Zapatero senza far esplodere il proprio debito pubblico (nonostante tutto, questo è oggi ancora al di sotto dell’80% sul PIL). Questa crescita, però, si è basata sul pericoloso matrimonio fra banche e costruttori, il cui settore è stato investito dalla crisi subprime degli anni scorsi.
Com’è ovvio, i soldi erogati sotto forma di prestiti e mutui per le abitazioni sono rapidamente svaniti, e le banche spagnole si trovano ora in crisi di liquidità (e, dunque, non possono né vogliono erogare altri prestiti e mutui, scatenando un credit crunch). A poco è servita l’iniezione di quattrini attuata dalla BCE nei mesi scorsi (è servita a prendere tempo, ma quel tempo è già finito) e, non potendo Madrid intervenire al salvataggio del proprio sistema creditizio in quanto già sostanzialmente insolvente, dovrà intervenire l’Europa: l’intervento richiesto solo per reggere il primo urto è intorno ai 100 miliardi di euro. E non finirebbe qui, considerando che le amministrazioni locali sono in condizioni finanziarie disastrose (e con poco margine di manovra a causa del fiscal compact), mentre la disoccupazione riguarda un quarto della forza lavoro (e la metà dei giovani): questa situazione certo non aiuta la gente a pagare i mutui, dunque le banche saranno costrette ben presto a scrivere a bilancio altre sofferenze. Il circolo vizioso, insomma, continuerebbe la sua opera distruttrice, e per salvare Madrid potrebbero servire anche 500 miliardi di euro. Chi possa e voglia metterceli resta tuttora un mistero: dopo il “proficuo fallimento” della cena fra capi europei della settimana scorsa, ogni nuova misura per far uscire l’Europa dalla crisi sarà rinviata al vertice europeo di fine mese, che probabilmente sarà risolutivo al pari dei precedenti. L’effetto domino continua, e dopo Madrid all’orizzonte c’è Roma, il vero elefante nella cristalleria.
Passando all’agenda della settimana prossima, avremo un inizio di settimana relativamente tranquillo: gli occhi degli investitori saranno puntati perlopiù sulla giornata di martedì, quando usciranno le vendite al dettaglio nella UE e gli ordini all’industria tedeschi, che dovrebbero passare entrambi in territorio negativo. Interessanti anche le decisioni sui tassi di interesse da parte della banche centrali di Australia e Canada, che precederanno le omologhe decisioni della BCE (mercoledì) e della Bank of England (giovedì). Nessuna banca centrale dovrebbe riservare sorprese, lasciando i tassi fermi ai livelli precedenti. Potrebbero però non mancare delle sorprese, visti i segnali di collasso del sistema bancario europeo.
Mercoledì anche la produzione industriale tedesca dovrebbe passare in territorio negativo, a segnalare che il rallentamento dell’attività economica non riguarda solo i pochi disgraziati fannulloni della periferia europea. Nel pomeriggio verrà invece pubblicato il Beige Book, un report prodotto dalla Fed sulla situazione economica USA e utilizzato dal Federal Open Market Committee per prendere la decisione circa i tassi di interesse fra due settimane.
Da segnalare per la giornata di giovedì solo i jobless claims, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione negli USA, che dovrebbero attestarsi ancora sulle 380mila unità. Venerdì leggeremo invece i report sulla produzione industriale italiana (che dovrebbe scendere a -0,5% mese su mese) e quello sulla bilancia commerciale statunitense (ovvero la differenza fra il valore dei beni esportati e quello dei beni importati, che dovrebbe rimanere in territorio negativo, in lieve miglioramento rispetto al mese precedente, ma comunque sui minimi da tre anni).
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