Ancora nuovi record per alcune borse mondiali (non quella italiana, ovviamente) che, spinte dalla liquidità immessa dalle banche centrali, toccano i massimi assoluti o, nel caso di quelle americane, li superano addirittura. La speranza delle banche centrali è quella di riuscire a tirare fuori dalla crisi le grandi economie del pianeta (Europa, Stati Uniti e Giappone), ma c’è un grande timore che tali manovre possano gonfiare nuove bolle finanziarie.
L’esempio esotico che ha dominato il gossip finanziario dell’ultima settimana è quello del Ruanda, che ha emesso un bond denominato in dollari, registrando una fortissima domanda e rendimenti ridicoli per una economia che, sia pure protagonista negli ultimi anni di un fortissimo sviluppo, è nota al grande pubblico principalmente per le guerre, i genocidi e la forte instabilità politica, e la cui economia, prevalentemente agricola, è ancora fondata in gran parte sugli aiuti internazionali. Per avere un’idea, basti pensare che il rendimento registrato dal decennale ruandese è addirittura più basso di quello del BTP italiano di analoga durata nel novembre 2011, durante la crisi degli spread. Il Ruanda è come l’Italia? Ovviamente no.
Ancora nuovi record per alcune borse mondiali (non quella italiana, ovviamente) che, spinte dalla liquidità immessa dalle banche centrali, toccano i massimi assoluti o, nel caso di quelle americane, li superano in scioltezza. La speranza delle banche centrali è quella di riuscire a tirare fuori dalla crisi le grandi economie del pianeta (Europa, Stati Uniti e Giappone), ma c’è un grande timore che tali manovre possano gonfiare nuove bolle finanziarie.
L’esempio esotico che ha dominato il gossip finanziario dell’ultima settimana è quello del Ruanda, che ha emesso un bond denominato in dollari, registrando una fortissima domanda e rendimenti ridicoli per una economia che, sia pure protagonista negli ultimi anni di un fortissimo sviluppo, è nota al grande pubblico principalmente per le guerre, i genocidi e la forte instabilità politica, e la cui economia, prevalentemente agricola, è ancora fondata in gran parte sugli aiuti internazionali. Per avere un’idea, basti pensare che il rendimento registrato dal decennale ruandese è addirittura più basso di quello del BTP italiano di analoga durata nel novembre 2011, durante la crisi degli spread. Il Ruanda è come l’Italia? Ovviamente no.
Dinamiche simili si stanno registrando anche sul mercato obbligazionario corporate, dove i titoli di paesi emergenti hanno per la prima volta superato (in quantità nelle nuove emissioni) quelli occidentali. Il discorso “bond market madness” però si può allargare anche ad aziende occidentali affermatissime, come Apple, che ha piazzato tassi ridicoli un bond a trent’anni, che nel campo tecnologico equivale ad un’era geologica: i rendimenti di un’azienda che potrebbe non esistere fra dieci anni sono poco più alti del trentennale statunitense, che, volendo, può stampare dollari per “finanziarsi”, a differenza di Apple.
La sensazione è che i soldi facili messi a disposizione dalle banche centrali, dopo aver spinto i rendimenti dei titoli tradizionali anche sotto lo zero, stia costringendo gli investitori a cercare rendimenti positivi ovunque sia possibile, anche se si tratta di spazzatura. Il problema, come sempre in questi casi, è che se qualcosa può andare storto lo farà, e che quindi per gli investitori con le spalle meno larghe è consigliabile usare molta prudenza, senza lasciarsi prendere dall’euforia.
Passando all’agenda macroeconomica: lunedì sarà dominata dal rilascio dell’indice direttori degli acquisti di Spagna, Italia, Francia, Germania ed Europa: in tutti i casi gli analisti si attendono un dato al di sotto di 50 punti, a segnalare che il settore avanti ancora alcuni mesi di recessione.
Mercoledì attese la bilancia commerciale cinese, che dovrebbe tornare in attivo rispetto al sorprendente dato negativo della rivelazione precedente, e la produzione industriale tedesca, che dovrebbe tornare lievemente negativa su base mensile. Giovedì conosceremo l’inflazione cinese, attesa lievemente in accelerazione su base annua, e anche la produzione industriale inglese, che dovrebbe salire dello 0,2% su base mensile, ma scendere dell’1,6% su base annua. Nel pomeriggio conosceremo le nuove richieste di sussidi di disoccupazione USA, che dovrebbero attestarsi intorno alle 335 mila unità.
In chiusura di settimana conosceremo la produzione industriale italiana, che dovrebbe continuare la sua caduta su base mensile, sia pure ad un tasso inferiore, ovvero dello 0,2 contro il -0,8% precedente. Andranno inoltre in asta Bot italiani a 3 e 12 mesi.
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