Ieri sera a Ballarò, nelle consuete interviste ai capi di coalizione/candidati premier, Giovanni Floris ha intervistato Silvio Berlusconi. Forse per la prima volta l’uomo televisivo è apparso in evidente difficoltà, e viene da chiedersi se sia merito di Floris o del modo in cui l’intervista è stata condotta. Si può comunque imparare qualcosa di interessante in entrambi i casi.
Da un lato Floris ha fatto il suo lavoro, ovvero fare quella domanda che io da settimane pongo su queste insignificanti pagine: «Lei vuole questo e quello, ma dove li prende i soldi?». Più in generale ha sempre imposto a Berlusconi un wikipediano {{citazione necessaria}} a ogni sua informazione, come quando Berlusconi ha affermato di essere il migliore imprenditore della storia italiana “secondo tutti”, e Floris, ridendo, chiedeva di citare almeno uno di questi tutti. Nessuna risposta, ovviamente: magari B. si riferiva a quando mamma Rosa gli diceva che era un bravo palazzinaro. Ogni scarrafonë è bellö a mamma sojä, ma raramente ha rilevanza statistica.
A differenza di Santoro, Floris ha dimostrato di avere sufficiente spina dorsale per reggere il confronto con un uomo di cartapesta e colla vinilica, riuscendo inoltre a vincere la serata Auditel. Santoro fece 3 milioni di spettatori in più, ma va detto che 1) il confronto Berlusconi-Santoro era ritenuto epico per via dell’editto bulgaro e quanto ne seguì, e ha attirato molti spettatori che volevano il sangue, non il contenuto; 2) Berlusconi era il protagonista assoluto della puntata di Servizio Pubblico, mentre ieri sera solo della seconda parte, meno seguita anche per ragioni di orario; 3) Santoro ha giornalisticamente fatto una figura di nullità.
Un altro giornalismo televisivo è possibile, parte uno.
Dall’altro lato il format dell’intervista appare maggiormente congeniale all’informazione. Nel talk show lo scopo non è dare informazioni, bensì fare ammuina e risultare più forte e simpatico degli altri. Dietro di te c’è un tizio che controlla su internet le informazioni, ci sono i collaboratori al telefono da dietro le quinte, per cui se hai la cultura di uno pneumatico e il carisma di una tegola nessuno se ne accorgerà.
Quando sei tu e il giornalista, non c’è scampo: o sei bravo e competente, o il giornalista, se è un buon giornalista, ti passa nell’uovo, nella farina e nel pan grattugiato e ti fa fritto in padella. Floris non ha fatto niente di che, il minimo sindacale, ma ha fatto sembrare quella superstar di Travaglio una molecola di prodotti intestinali. Berlusconi, alla fine, era messo a nudo per quello che era: un incapace di cartone bravo solo a vendere aspirapolveri al contadino di Poggio Versezio, nulla di più lontano dall’essere uno statista, a parte Scilipoti (ma di poco).
È una “novità” ben collaudata pure da Gad Lerner con Zeta: il risultato è una chiacchierata molto ricca di contenuti e che lo spettatore non ultrà può seguire senza fare il tifo, senza schiumare di rabbia perché quell’altro lì deve morì, faccagà, komunì, fashdimm.
Idem per i confronti delle primarie del centrosinistra. Se non fai parlare tra loro politici e opinionisti, c’è il rischio che lo spettatore ci capisca qualcosa.
Qualcuno dirà: «eh, ma bisogna pure fare audience, e per farlo serve il sangue». Sì, ma 1) in teoria la RAI è pagata col canone per informare la gente e chissenefrega i) degli ultrà: tanto voteranno coi piedi comunque; ii) dello spettacolo: la campagna elettorale dovrebbe rivolgersi al voto d’opinione, a chi quest’anno vota a destra e l’anno dopo a sinistra, perché non vota coi piedi o con lo stomaco, ma con la testa (Bersani a Piazza Pulita ha dimostrato di non averlo ancora capito, e infatti sta riuscendo nell’impresa di perdere voti suoi senza guadagnare i voti altrui); e 2) l’intervista di ieri ha dimostrato che si può fare audience e informazione insieme. Basta un padrone di casa mediamente preparato come Floris, con un po’ più di carisma, per dare anche spettacolo.
Un altro giornalismo televisivo è possibile, parte due.
La conseguenza, purtroppo, è che i politici, messi a nudo, poi eviterebbero come la peste queste interviste, beppegrillopuntoitte docet: il comico verrebbe smembrato nel giro di secondi grazie un fact-checking neanche troppo impegnativo (è per quello che evita la tv, in un confronto sarebbe sempre perdente, al contrario che nelle piazze). Tuttavia ai politici serve la tv, e almeno in campagna elettorale si potrebbero fare meno talk show e più confronti (negli USA si fa così, per l’appunto).
Il dibattito politico ne gioverebbe enormemente, e forse l’elettorato comincerebbe a stare un po’ di più con i piedi per terra e a credere meno alle favole.
E magari, non dico sempre, ma almeno ogni tanto, manderebbe al potere qualcuno di vagamente decente.
Qualcuno che in questa campagna elettorale manca ovunque in modo assoluto.
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