La Terza Repubblica nel 2013, la Sesta e la Settima nel 2020

La cosa che più mi fa incazzare di questa campagna elettorale è il continuo richiamo alla nascita di una Terza Repubblica. È un richiamo senza fondamento logico, storico, politico. È l’equivalente storiografico dell’uomo morde cane, ma senza uomo e senza cane (giornalai retroscenisti bizantini esclusi).

Ma si può chiamare la prossima Terza Repubblica se ancora non siamo usciti dalla Prima? Esiste un qualche tipo di rottura che giustifichi un così altisonante e importante passaggio?

No. L’unica rottura è quella delle scatole.

La “moda” di chiamare le Repubbliche con un nome (Prima, Seconda, Terza…) e un cognome (Repubblica) nasce all’estero (ché noi italiani neanche di fare una Repubblica siamo capaci, ma è un altro discorso), più precisamente in Francia, dove in due secoli e due decenni ne hanno avute cinque (30 anni di vita media – qui in Italia due, quasi tre in 66 anni).

Ripercorriamo la storia minima della Francia dal 1792: Prima Repubblica → rottura (Napoleone, Restaurazione, Monarchia di luglio) → Seconda Repubblica → rottura (Napoleone III) → Terza Repubblica → rottura (Invasione nazista) → Quarta Repubblica → rottura (passaggio dal parlamentarismo al semipresidenzialismo) → Quinta Repubblica.

A ben vedere i passaggi da una Repubblica all’altra si ricollegano a un qualche tipo di cambio forma di governo, riforme e rotture piuttosto radicali, mica di facciata (dalla Monarchia alla Repubblica all’Impero alla Repubblica all’Impero alla Repubblica alla Dittatura alla Repubblica a un altro tipo di Repubblica: la differenza fra un salto e l’altro si nota, e non poco).

In Italia è successo qualcosa del genere? C’è una rottura che ha portato alla Seconda Repubblica? C’è una rottura che ci starebbe traghettando nella terza?

La risposta è no. La forma di governo è la stessa (Repubblica parlamentare). La riforma che più si avvicina a una riforma costituzionale che possa giustificare il passaggio è quella del sistema elettorale del 1991-1994. Ma possiamo effettivamente dire che l’Italia ha abbandonato il proporzionalismo? La risposta è ancora no: un quarto del Mattarellum era ancora proporzionale, e il Porcellum è una legge elettorale di tipo proporzionale. Come a dire: il proporzionalismo aspettava solo di ritornare, ma non è mai morto.

Sono cambiati forse i partiti? Neanche tanto: se consideriamo le maggiori correnti DC senza tenerle forzatamente insieme dal comunismo, possiamo agilmente costruire una genealogia dei partiti, fortemente radicata nella cosiddetta Prima Repubblica. C’è continuità, qualche forma di “sobbalzo”, di aggiustamento, cambi di nomi e di casacche, ma non una rottura.

Sono cambiate le persone? Neppure: gli attuali principali leader politici erano giovani scalpitanti di andare al potere negli anni Ottanta, e che sarebbero andati al potere anche senza Tangentopoli e referendum elettorali. All’inizio degli anni Novanta Casini portava le borse a Forlani; Bersani era nell’anticamera del governo nazionale; Berlusconi aveva Craxi come braccio politico; la Lega Nord era un partito affermato. E non citiamo gente come D’Alema e Veltroni. Dunque neppure le persone sono cambiate.

È cambiato almeno il modo di comunicare? Ma neanche per sogno: il personalismo in politica lo aveva portato già Craxi, e neppure era stato il primo e unico.

A ben guardare è tutto come prima del 1994, e la locuzione Seconda Repubblica è una boiata giornalistica che dovrebbe farci fighi, mentre invece siam patetici. In Francia, fra una Repubblica e l’altra, ci passano sangue a litri. Qui da noi basta un po’ di cerone.

Adesso tirano in ballo una fantomatica Terza Repubblica, con gli stessi protagonisti, gli stessi partiti, gli stessi modi di comunicare e ovviamente la stessa forma di governo. Dicono che questa è una legislatura costituente, ma questo lo dicono da quasi trent’anni.

La verità è che la Prima Repubblica continua a ricoprirsi la faccia di cerone nel disperato tentativo di non crepare. Chiama sé stessa Seconda, Terza, Quarta Repubblica, ma questo Paese continua ad essere un blocco di marmo in perenne bilico fra il declino e il fallimento.

Facciamo così: se la prossima legislatura farà una riforma dello Stato, fosse pure un semplice depotenziamento del Senato, diremo che a febbraio è nata la Seconda Repubblica. Ma fino ad allora il periodo fra il 1992 e il 2013 va etichettato come Prima Repubblica e Mezza, una fase di transizione fra un Paese fallito e un Paese che deve scegliere se continuare a vivere una farsa.

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