In un’altra discussione si parlava del fatto che la speculazione tartassa il popolo, Goldman Sachs ci ruba le tasse, la crisi italiana è dovuta agli speculatori. Questa la mia risposta:
Scusa il francesismo: io conosco “speculatori” veri che lo hanno preso nel cu… meravigliosamente mentre giocavano coi BTP, grazie a Mario Draghi in primo luogo. Ti faccio anche un nome e cognome: John Paulson. Scusa se insisto col francesismo: ha scommesso contro l’Europa, vendendo titoli di Stato europei, e si è ritrovato con una sequoia incastrata fra le chiappe nel momento in cui l’Europa ne ha fatta una giusta dopo due anni di fallimenti.
Il caso Paulson dimostra una cosa molto, molto semplice: se le istituzioni funzionano e fanno ciò che devono fare, gli “speculatori” ci perdono sempre.
Dopo l’ovvio “Bocconi mer*a”, è iniziata una discussione più pacata e rispettosa, ma comunque accesa e con radici nelle nuvole (“Draghi mer*a”). La si può tralasciare, sottolineando un’altra tendenza di fondo: chi non studia l’economia per professione, spesso conosce solo una parte della storia, quella che fa più comodo a chi gliel’ha insegnata. In questo caso si tratta di un motivo caro alla sinistra, ovvero l’ultrakeynesianismo, quello per il quale per uscire dalla crisi bisogna assumere operai che rompono e aggiustano le strade, finché l’economia non si riprende, come avvenuto con il New Deal negli anni Trenta. Questa però è solo una verità parziale: infatti, nonostante nel 1939 l’economia USA fosse tornata ben sopra il livelli del 1929, la disoccupazione rimase elevatissima, e fu riassorbita solo “grazie” alla Seconda Guerra Mondiale. Oggi stiamo assistendo a una dinamica simile: negli USA l’espansioni fiscale e monetaria sono sempre fortissimi, l’economia ha recuperato, ma la disoccupazione è ancora ai massimi. Sembra proprio che il keynesianismo non sia poi così efficiente nel recuperare posti di lavoro: tra l’altro, se la soluzione fosse creare posti di lavoro pubblici fasulli, la Sicilia (e non solo lei) sarebbe una potenza economica a sé stante.
E veniamo all’ultimo caso che rende difficile discutere di economia: mi viene in aiuto JB, che mi segnala questa striscia. La morale della favola è che l’economia viene percepita come un orologio, un meccanismo di cui è possibile semplificare e prevedere i movimenti futuri. Questa linea di pensiero ha attirato nel campo matematici e ingegneri, i quali hanno ritenuto di poter governare forze devastanti per mezzo di bellissime equazioni. Il risultato è stata la crisi del 2008: c’è una cosa che matematici e ingegneri non hanno inserito nell’equazione, il buonsenso.
Ho chiesto a una matematica “perché non vi levate dai co…?”. «Impossibile: quando troviamo un campo in cui si usano i numeri non lo abbandoniamo più». Siamo fregati, insomma.
Qual è il succo di queste 1800 parole? Discutere di economia è già difficile fra economisti perché nonostante ci sia consenso sul fatto che c’è consenso sulle basi dell’economia, scendendo più nello specifico le divergenze si accentuano. Immaginate cosa succede quando si discute con chi non ha neppure le basi e ti contesta quando vuoi spiegargli il minimo sindacale perché sei un affamatore del popolo neoliberista bocconiano radiocomandato dal gruppo Bilderberg. Questo non significa che non devi esprimere la tua opinione, né che devi prendere per oro colato quello che dico io o Krugman. Però se ti dimostro che una cosa non è vera, cerca di avere l’apertura mentale di dire “bene, ho imparato qualcosa di nuovo”. Questo è quello che ho fatto io quando due ingegneri, di recente, mi hanno riempito di schiaffi. Invece no: molta gente, piuttosto che discutere preferisce attaccarti personalmente, succhiare da campionari di luoghi comuni già rasi al suolo, ignorare l’evidenza, arrampicarsi sugli specchi.
Questo, già drammatico di per sé, diventa tragico in un momento in cui la crisi morde e non si dovrebbe lasciare spazio alla retorica e ai complotti, che non sono altro che armi di distrazione di massa, utilizzati specie da una certa classe politica al fine di evitare di ammettere il proprio epocale fallimento. È più facile dire che è colpa della speculazione che far ammettere a Tremonti di essere un incompetente; è più facile dire che la crisi è colpa dell’euro piuttosto che del malgoverno. È interessante il post hoc ergo propter hoc a riguardo (scusate la frase fatta): siamo in crisi dal 2001, l’euro c’è dal 2001, ergo è colpa dell’euro. Il fatto che nel 2001 è iniziato il decennio berlusconiano è irrilevante. Le dinamiche che spiegano la crisi meglio, molto meglio che un fantomatico problema monetario è irrilevante.
Sono sedici anni che studi economia e finanza? È irrilevante. Bocconi mer*a.
Con questo non voglio invocare il principio di autorità (sono ben conscio di essere minuscolo), né denunciare una mia (inesistente) esasperazione. Io mi sono fatto due risate, e spero sia così anche per chi si è letto questo papiro.
(Mentre scrivevo, la discussione con PBM [in mia assenza] è proseguita fino a 180 commenti e siamo tornati al punto in cui le banconote sono una sofferenza per la casalinga di Voghera)
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