La colpa non è del mercato, ma della sua assenza

Weizenfeld Anfang Juli 2009

Domenica a Presa Diretta si parlava della “fame” dei produttori agricoli a causa dei prezzi delle derrata in forte decrescita.

Il problema è evidente, non solo a chi di economia ci capisce, ma a qualsiasi normale essere umano in grado di capire l’italiano: gli stessi addetti del secondario ammettevano di muoversi al fine di tenere basso il prezzo dei prodotti agricoli che essi trasformeranno. Si chiama cartello (tecnicamente potremmo definirlo “oligopsonio”), e usavano proprio questa parola per descrivere i propri movimenti. Questo, da quanto ho capito, esiste da molti anni, ma quest’anno è stato aggravato dal fatto che paesi come l’Ucraina hanno avuto un raccolto di grano eccezionale, riuscendo ovviamente a deprimere ancora di più il prezzo, e dando più armi ai membri del cartello (poiché il grano ucraino fa calare la domanda di grano italiano, ma non solo, viene pure usato come arma di ricatto nei confronti degli agricoltori italiani: o vendi al mio prezzo o compro quello ucraino).

Iacona, commentando i vari servizi, ha spesso dato la colpa al mercato, ma “cartello” non è mercato. In un libero mercato non ci sono cartelli, e se ci sono lo Stato li distrugge. Non sono mai stato un fan di Adam Smith: la mano invisibile non esiste, e lo Stato deve inserirsi all’interno del mercato per regolarne il funzionamento ed evitare le degenerazioni del mercato stesso (e poco altro. Poco). L’agricoltura, allo stato, non solo è vittima del laissez faire più sfrenato, ma pure di norme che favoriscono la distruzione delle derrate alimentari (bruciandole, lasciandole mangiare alle capre) e addirittura l’inaridimento dei campi (con ovvio innalzamento del rischio idrogeologico come ciliegina sulla torta). Oppure, è il caso dei pomodori, la regola può essere ridurre il costo del lavoro utilizzando degli schiavi negri (la locuzione è voluta per sottolineare quella che è una condizione inaccettabile). Ancora, la legge permetterebbe di rendere “italiano”, dopo la lavorazione, un prodotto in realtà coltivato all’estero.

Altra grave stortura è la Politica Agricola Comune, il più grave peso sul bilancio dell’Unione Europea, fino a poco fa praticamente al servizio della Francia; questa situazione si è poi aggravata per l’Italia quando c’è stata l’introduzione delle quote (latte, ma non solo): queste furono decise negli anni Ottanta, quando al governo c’era un ladro minchione, il solito Bottino Craxi, e si fecero giganteschi errori di calcolo, causando ai produttori enormi danni economici, poiché la quota che il Governo comunicò era enormemente più bassa della quota che l’Italia effettivamente produceva (e sulla quota eccedente si pagano tributi – tasse – altissimi). Sicché arriviamo al paradosso che oggi abbiamo una domanda di cibo che aumenta e un’offerta che non solo è compressa dalla PAC, ma è pure addomesticata dai cartelli dei produttori e poi della grande distribuzione, dunque la PAC, nata per dare un prezzo minimo agli agricoltori, almeno in Italia li sta riducendo alla fame.

Si può andare avanti per ore con tutte le distorsioni che si sono viste a Presa Diretta, per non dire di quelle che non si sono viste.

L’unica cosa che non si è vista in quella puntata è stato un mercato che funzioni in modo corretto. Perché ciò avvenga, servono interventi legislativi che eliminino le distorsioni (la PAC, le quote, i cartelli, per non parlare delle cose più assurde) e rendano il mercato libero (e libero è diverso da selvaggio). Allo stato, invece, avviene tutto il contrario, con lo Stato che favorisce le distorsioni.

(Poi però leggi di un codice antimafia che è praticamente un codice promafia, e allora pensi male, pensi che la mafia col colletto bianco quei terreni bruciati li vuole, e a prezzi stracciati. Ma questo è un discorso diverso)

Photo credits | 3268zauber (Own work) [CC-BY-SA-3.0], via Wikimedia Commons

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