A giudicare dal fatto che non vi siano stati moti di piazza e ghigliottine, si direbbe che non tutti sanno che, fra i patrimoni dello Stato, vi sono, come si dice in gergo, le frequenze, ovvero la possibilità di trasmettere segnali radio, televisivi, telefonici e così via. Queste frequenze sono mie, sono tue, lettore italiano, dei tuoi genitori, nonni, zii, cugini, figli, nipoti, fratelli, amici, conoscenti, vicini di casa italiani. Sono nostre.
Noi, però, non ce ne facciamo granché, e allora decidiamo di affittarle a chi può utilizzarle per trasmettere un segnale televisivo, per esempio. Un’azienda affitta una certa frequenza per, diciamo, un miliardo per qualche decina d’anni, manda in onda le sue trasmissioni televisive, guadagna dalla pubblicità ed eventualmente dalla vendita di partite, film e altro in pay per view. Noi con quel miliardo rifacciamo le strade, paghiamo medici e insegnanti, oppure abbassiamo le tasse, il debito pubblico, oppure investiamo nella banda larga, nell’alta velocità o altro. [risate registrate]
Le frequenze hanno un valore enorme, perché si possono fare un sacco di soldi con le medesime. L’asta per le frequenze telefoniche per i servizi di quarta generazione è stata una gara sanguinolenta che si è rivelata una manna per le casse dello Stato, ben oltre le aspettative: quasi quattro miliardi di euro per quelle frequenze. Insomma sono talmente ambite che i concorrenti sono arrivati a scannarsi.
La stessa cosa avverrà a breve per le frequenze televisive liberate dal passaggio al digitale. [risate registrate] Si tratta di sei multiplex, cinque per la tv normale e uno per la tv sui cellulari, divisi in tre lotti: lotto A (con tre multiplex) per i nuovi entranti, B (due) per gli operatori già sul mercato (RAI, Mediaset e Telecom Italia) e C per il digitale mobile.
Come si potevano assegnare quelle frequenze?
- con un’asta pura e semplice e senza divisioni in lotti: chi offre di più vince;
- con un beauty contest senza divisioni in lotti: si scelgono i migliori aspiranti operatori e si fa un’asta dove chi offre di più vince;
- con un beauty contest con divisioni in lotti e aste separate per gli operatori “eleggibili” per vincere ogni lotto.
E invece no.
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