Se non volete leggere tutta la favola, in fondo all’articolo c’è un riassunto.
Siccome solo i fessi non cambiano mai idea, ho deciso di ascoltare ciò che varie persone mi hanno detto in questi giorni e passare dall’altro lato della barricata. Uscire dall’euro farà bene all’Italia. Vediamo perché.
Esce un decreto: da oggi l’euro non ha più corso legale in Italia. Vengono stampate le nuove lire con tutti gli eroi nazionali (Totti, Pirlo, Grosso, Materazzi e compagnia bella). Il popolo festeggia con orge in piazza l’italico affrancamento dal giogo corrotto dei banchieri usurai e signoraggisti ebrei e tedeschi.
Prima mossa: cancellazione del debito pubblico. Essendo denominato in euro, va pagato in euro, ovvero in valuta pregiata, però la lira non lo è. Sarebbe un po’ come andare dal gioielliere, chiedere un Rolex d’oro tempestato di diamanti e incastonato di chiodi della croce di Gesù Cristo e pagare con i propri peli pubici. Per cui, via debito pubblico. Pazienza per i risparmiatori italiani che avevano investito in titoli di Stato, lo facciamo per il bene della Patria.
Conseguenza: dato che le banche hanno in cassa un bel po’ di titoli italiani, molte di esse vanno in fallimento. Altre ondate di giubilo nelle piazze, le bandiere comuniste sventolano vedendo finalmente sorgere il sol dell’avvenir e la sconfitta del capitalismo corrotto.
Dato che molte banche falliscono e quelle rimanenti non se la passano bene, avviene il collasso del sistema del credito che tiene in vita le imprese, specie quelle che riforniscono lo Stato (che già prima pagava le fatture dopo 10 anni, figuriamoci adesso). Molte imprese falliscono, operai e impiegati vengono licenziati. È un piccolo sacrificio per potere uscire dall’euro e risollevare l’Italia, andrà meglio, come dimostrerò fra poche righe.
Intanto la lira si svaluta, di conseguenza esportare i prodotti italiani diventa più facile. Peccato solo che l’uscita dall’euro e la cancellazione del debito pubblico ha fatto collassare anche il sistema del commercio internazionale, visto che metà del debito pubblico italiano (circa 900 miliardi di euro) è in mano a investitori stranieri, e ciò ha comportato un collasso del sistema bancario e megarecessione anche all’estero (cui si aggiunge anche una certa dose di diffidenza verso il Paese che ha portato il mondo occidentale alla bancarotta). Per questo l’export potrebbe non andare poi troppo bene per le imprese che non sono fallite per i motivi riportati al paragrafo precedente.
Poi importare diventa più costoso: l’Italia dipende, anche per il suo export, dall’import, a cominciare dal petrolio, e a causa della svalutazione della lira tutti i beni che da fuori vengono sul suolo patrio costano di più, creando ulteriori problemi alle imprese. L’inflazione, finora tenuta a bada dall’euro, sale notevolmente. Non vi dico i prezzi della benzina.
Il decreto che toglie di mezzo l’euro stabilisce, come detto, che la moneta europea non ha più corso legale in Italia. Ciò significa che stipendi e conti corrente vengono istantaneamente convertiti in lire. Peccato che un secondo dopo l’emissione del decreto la lira si svaluta, come detto, sicché, se avevamo 1000 euro e potevamo comprare 1000 pezzi di pane, un secondo dopo la fine dell’euro italiano potremmo comprarne, a occhio, fra 700 e 500. Anche questo è un sacrificio necessario perché le cose vadano meglio.
Ah, per i mutui vale lo stesso discorso del debito pubblico: essendo denominato in euro, va pagato in euro, dopo aver convertito le lire in tale valuta. In molti evidentemente non potranno pagarlo e, visto che non possono cancellare il debito, perdono la casa, le banche rimaste perdono altri soldi, altre banche falliscono e licenziano, con ricadute ulteriori sulle aziende.
Chi non ha uno stipendio fisso (lavoratori autonomi, ecc) semplicemente alzerà prezzi e tariffe (altra inflazione).
Arriviamo finalmente al lato positivo di tutta la faccenda: tornare ad essere l’Italia che cresceva come quando c’era la lira. Certo non ci riferiamo all’Italia dagli anni Settanta in poi, visto che quella era crescita a debito. Ci riferiamo all’Italia del dopoguerra, dobbiamo ritornare ad essere l’Italia di allora. Benissimo.
Per ritornare ad essere l’Italia del dopoguerra, abbiamo innanzitutto bisogno di un sistema economico collassato. Grazie all’uscita dall’euro, in un anno abbiamo bruciato un terzo del PIL, per cui il sistema economico collassato ce l’abbiamo. Ottimo!
Poi abbiamo bisogno di un piano Marshall per l’Italia. Facciamo finta che il Fondo Monetario Internazionale ce lo dia.
Quindi abbiamo bisogno di materie prime a basso costo. Una delegazione andrà dagli sceicchi arabi a chiedere se il petrolio, invece che a 100 ce lo possono dare 3, 5, massimo 10 dollari al barile.
Mentre aspettiamo il loro ritorno (ammesso che facciano ritorno), passiamo all’ultimo punto che ci manca per ritornare ad essere l’Italia del dopoguerra: costo del lavoro a un livello molto basso. Beh, questo è facile: facciamo un altro decreto e stabiliamo il taglio di tutti gli stipendi di circa il 30-50%. Questo sì che ci renderà davvero competitivi, e sono sicuro che i sindacati accetteranno questo sacrificio per il supremo interesse dell’Italia (ciò significa che i 1000 euro di prima, dopo essere diventati 2 milioni di lire, sono diventati 1 milione, ovvero se prima potevamo comprare 1000 pani, dopo tutta questa cosa potremo comprarne 300).
Nel frattempo ho ricambiato idea: non sono più sicuro che uscire dall’euro sia stata una buona idea.
Riassumendo: l’eliminazione dell’euro e il passaggio alla lira scaricherà sulla nuova moneta tutto ciò che non abbiamo subito negli ultimi dieci anni. In altre parole, immaginate l’euro come una muraglia cinese attorno all’Italia, coi mongoli (che non sono gli speculatori, ovviamente, bensì i Paesi del mondo messi meglio di noi) fuori a cingerci d’assedio (ovvero fare concorrenza ai nostri prodotti) e il nostro esercito (il sistema economico) che si deteriora sempre più. I mongoli, accampati là fuori, aumentano sempre più, ma l’euro continua a proteggerci. Togliendo di mezzo l’euro, viene meno la protezione contro l’inflazione, contro gli elevati tassi d’interesse e contro gli attacchi alla moneta, sicché i mongoli, ormai diventati un’orda infinita, dilagano e radono al suolo il Paese.
Chi vuole il ritorno all’euro ha accampato tre ragioni, facilmente smontabili.
- l’euro ha raddoppiato i prezzi. FALSO: si tratta di una leggenda a uso e consumo degli analfabeti economici. L’inflazione negli ultimi dieci anni è stata del 2% circa annuo, come promesso dall’euro. Il problema è stato un altro, e cioè che ci siamo impoveriti noi, e non per colpa dell’euro, bensì di una politica costantemente incapace e sprecona;
- si stava meglio con la lira. FALSO: dagli anni Settanta (approfondimento qui) l’Italia sopravvive grazie a una crescita a debito scaricata sulle generazioni successive. Craxi ha mangiato e ha lasciato il conto da pagare a noi. Per quanto riguarda gli anni precedenti (anni Cinquanta e Sessanta), va ricordato che l’Italia ha beneficiato di due fattori fondamentali che poco hanno a che fare con la lira. Il primo è il prezzo ridicolmente basso: fino alla guerra del Kippur (1973) il petrolio costava meno di 10 dollari al barile; in secondo luogo, grazie all’elevata offerta di manodopera e alle spaccature sindacali, fu facile per le imprese ottenere un prezzo del lavoro bassissimo (fino al 1963). Tra l’altro quella crescita fu enormemente squilibrata (ne ho parlato qui). Oggi non è più così, e dubito possa esserlo, e sicuramente non in modo indolore (all’epoca si accettava qualunque stipendio pur di mangiare, oggi si dovrebbe accettare un enorme taglio degli stipendi);
- ci sono Paesi che l’euro non ce l’hanno, come l’Inghilterra o la Polonia. E STICASSI? L’Inghilterra ha gli stipendi denominati in sterline, debito pubblico in sterline, conti corrente in sterline eccetera. L’Inghilterra (come pure la Polonia) ha una propria muraglia, ma soprattutto non ha i mongoli accampati fuori né un esercito in putrefazione. Il prezzo (relativo) del petrolio non schizzerà alle stelle da un giorno all’altro; gli stipendi non perderanno valore da un giorno all’altro; eccetera. Non per l’Italia: nel giro di pochi istanti, venuta meno la protezione dell’euro, tutti i guai che ci potevano capitare in 10 anni si riverseranno su di noi. È una ragione che non ha alcun senso logico.
Uscire dall’euro adesso, insomma, ci farebbe piombare in una recessione che riecheggerà nei secoli. Un default controllato farebbe meno danni e ci darebbe benefici maggiori nel medio periodo; una deflazione interna all’irlandese idem.
Sono pochi i motivi per cui uscire dall’euro avrebbe un qualche senso. Per esempio, uno è una guerra civile europea; un altro è un asteroide che spazza via l’Italia.
Insomma, se qualcuno vi dice che dovremmo uscire dall’euro state parlando con un pazzo o con un analfabeta. Girategli alla larga come se avesse la peste.
(Questo articolo ha un’appendice che parla del caso Argentina)