Non importa l’età, ma che sia possibile giudicarli

Mummia del faraone Seti IOgni tanto (siamo in estate, è tempo di repliche) ritorna la questione dei parlamentari che sono tali da decenni e la richiesta di limitarne il mandato a un tot di legislature. Ieri è toccato a Gilioli.

Magari vado contro corrente, ma lo trovo sbagliato: un parlamentare deve rimanere tale finché incontra i bisogni degli elettori del suo collegio. Che sia dopo un anno o dopo cento, costui deve essere costretto a ritirarsi solo da chi lo elegge, e non dalla legge.

I problemi, in altre parole, sono due: il primo è che in Italia i parlamentari vengono nominati dall’alto, non eletti dal basso; il secondo è che un determinato elettore non ha la possibilità di sapere chi diavolo sia il suo rappresentante (e faccio l’esempio del Molise, che ha come rappresentanti sia Berlusconi che Di Pietro). Sapere chi è il proprio rappresentante è fondamentale per sapere a chi attribuire meriti e colpe, chi deve essere rimandato a casa e chi ha fatto bene, e se è il caso linciarlo in piazza.

Un sistema del genere in Italia non lo abbiamo mai avuto, visto che, in tutto o in parte, ogni collegio elegge o eleggeva un gruppo di rappresentanti, compreso l’escamotage del 25% proporzionale della nostra precedente legge elettorale, che spesso ri-tirava in ballo peones che non dovevano neppure amministrare i condomini. Sicché quando il deputato Tal dei Tali tornava in una lista, sapeva che, in fin dei conti, la sua rielezione dipendeva da dove il partito lo collocava (in passato nel senso di luogo, oggi nel senso di numero nella lista bloccata). Era raro (ed oggi non c’è proprio possibilità) che un rieletto lo sia stato per meriti sul campo.

Insomma, il mio punto è questo: non importa l’età o il numero di legislature svolte, bensì deve essere data la possibilità agli elettori di giudicare il proprio rappresentante. I limiti vanno, a mio avviso, inseriti solo per i ruoli apicali, ovvero per chi regge il timone, ovvero ancora per il Presidente del Consiglio (e della Repubblica, ma il limite in quel caso è quasi implicito).

Voi potrete dire che poi possono creare dei feudi, far esplodere la spesa pubblica attraverso le leggi mancia. Ebbene? Lo fanno pure adesso, visto che noi non li puniamo per questo. E lo farebbero anche con il limite di legislature (tanto poi candiderebbero il figlio, il nipote, la moglie, il cugino, ecc., lo vediamo con i sindaci). Colpa nostra che pensiamo come vassalli, anzi, come servi della gleba.

Alla fine giunge il redde rationem: o degli elettori con il voto o con l’implosione dello Stato. Limitare le legislature non risolve alcun problema, ed anzi crea un deficit di democrazia. Diciamolo chiaramente: questa proposta non serve ad altro che mandare a casa gente di cui chi è informato è stanco di vederla sempre in tv da vent’anni, senza che siano riusciti a fare nulla. Ma non risolve niente, perché chi non è informato (o chi è comprato) non farà altro che votare i pupilli di quello di prima, senza che nulla possa cambiare: Berlusconi, “pupillo” di Craxi, Fini, pupillo di Almirante, Casini, pupillo di Forlani, D’Alema, pupillo di Berlinguer, ecc.. Uno dei pochi esempi di rinnovamento di successo è stata la Lega Nord, ma ormai è un partito come gli altri, e infatti si sta preparando la successione da padre a trota. Non ci sarebbe nulla di male in questa successione di pupillo in pupillo, se non fosse che avviene nel chiuso dei partiti, e non attraverso il voto degli elettori (solo oggi si cominciano a fare le primarie). L’unico vero turnover, dunque, ci sarebbe fra i peones, non di chi davvero regge la baracca.

È questo il deficit democratico da combattere, il limite alle legislature non cambierebbe proprio niente: il cambiamento deve venire dal basso, non dall’alto, come comunque sarebbe se ci fosse tale limite. Dobbiamo eleggere e giudicare politici, non peones. Fin quando ciò non accade, qualunque legge si emani per cambiare il sistema, ben poco cambierà finché non cambieremo noi.

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