Berlinguer ha rinunciato alla rivoluzione? Si direbbe che il 1977 sia la fine di un’era, una svolta epocale, a vedere piccoli segnali, come la fine di Carosello e l’inizio dell’era degli spot come li conosciamo oggi (primo gennaio) o come l’arrivo della televisione a colori (a febbraio con un grosso ritardo, come sappiamo, rendendo le imprese italiane non competitive con quelle straniere: si tratta del secondo treno perduto, dopo quello della chimica, e non sarà l’ultimo per il Belpaese). Nel 1977 avvengono cose strane: nevica a Miami, per esempio, prima e unica volta nella sua storia. Oppure il segretario del PCI Enrico Berlinguer, nel solco del compromesso storico, continua ad offrire sostegno al governo monocolore DC di Giulio Andreotti: le parole d’ordine sono austerity e lotta al consumismo. E le cose proprio non vanno giù alla base, che vede la svolta di Berlinguer come un tradimento, come un atto di divisione fra i comunisti del mondo e una concessione al capitalismo, in altre parole di avere rinunciato alla rivoluzione. A febbraio il segretario della CGIL, Luciano Lama, viene violentemente contestato mentre parla alla Sapienza: le contestazioni provengono da autonomisti e indiani metropolitani, ed è il primo segnale della nascita di quello che è passato alla storia come Movimento del ’77. In altre parole significa che una parte della base è contraria alla linea del compromesso storico, e, all’interno di questa porzione di persone, vi sono anche coloro che chiedono la lotta armata. Andreotti se la gode, il suo duplice obiettivo è raggiunto: ha l’appoggio per le politiche restrittive in campo economico e anche un capro espiatorio che se ne assuma le colpe, il PCI, appunto, che da quel momento comincerà a declinare fino a scomparire (( Fate vobis se riferirsi a Rifondazione e compagnia bella o a quell’ectoplasma che è il PD. )) . Tuttavia deve affrontare anche la grana dello scandalo Lockheed, che travolge gli ex ministri Gui e Tanassi, che vengono mandati dal Parlamento in seduta comune alla Corte Costituzionale per essere processati. Lo scandalo toccherà anche il presidente Leone, ma c’è tempo per parlarne.
Ricordati di abolire le feste. Date queste premesse (siamo appena a febbraio), è lecito aspettarsi un anno di sangue. Anche perché a marzo vengono abrogate per decreto legge le seguenti festività: Epifania, San Giuseppe (19 marzo), Ascensione, Corpus Domini, Santi Pietro e Paolo (29 giugno), Festa della Repubblica del 2 giugno e il 4 novembre. Qualcuno s’incazzerà.
I fatti di Bologna. Il lettore dei giorni nostri (18 dicembre 2010) potrà notare forti analogie fra la cronaca degli ultimi giorni e quella che mi appresto a scrive. A febbraio le scuole di mezza Italia sono occupate o in stato di agitazione. Iniziano gli scontri (vera e propria guerriglia, scriverà un giudice) tra studenti (di sinistra e di CL) e tra studenti e forze dell’ordine, e il primo morto è a Bologna: si chiama Francesco Lorusso (Lotta Continua) e viene colpito a morte da un colpo di pistola l’11 marzo del 1977 (il giudice di cui sopra dichiarerà il proscioglimento del carabiniere che sparò). La morte di Lorusso provocò altre manifestazioni spontanee, anch’esse represse: il ministro degli Interni Francesco Cossiga invia mezzi blindati per fermare i disordini che bruceranno Bologna per due giorni.
I fatti di Roma. La “risposta” all’omicidio Lorusso avviene a Roma il 12 marzo: qui si sono riuniti i manifestanti per protestare contro la repressione. Stavolta gli spari colpiscono un brigadiere, Giuseppe Ciotta. Anche Roma viene messa a ferro e fuoco (come il 14 dicembre 2010), tanto che Cossiga vieta ogni manifestazione pubblica (come vorrebbe fare qualcuno mentre scrivo, DASPO o non DASPO). Ma non è ancora finita: ad aprile in un agguato degli autonomi viene ucciso l’agente Vincenzo Passamonti; a maggio, mentre il Partito Radicale manifesta per ricordare il primo anniversario del referendum sul divorzio, Cossiga, dato che è ancora vigente il divieto, manda polizia e carabinieri in assetto di guerra, oltre che ad agenti in borghese. Negli scontri muore una ragazza di 19 anni, Giorgiana Masi, colpita da un proiettile: non si sa chi sia stato (Cossiga diceva di saperlo, ma si è portato il nome nella tomba, pare), ma la presenza di agenti in borghese fa pensare che la colpa possa essere di uno di loro, visto che, essendo armati, avrebbero potuto sparare ad altezza d’uomo.
I terroristi puntano sempre più in alto. In tutto questo casino continuano gli attacchi terroristici delle BR che, pur continuando a colpire le forze dell’ordine, gli avvocati e la magistratura, comincia a cercare nuovi bersagli, inventando le “gambizzazioni”: tocca ai giornalisti, e il primo è Vittorio Bruno, vicedirettore del Secolo XIX. Quindi è il turno di “un altro giornalista”, come titolò il Corriere della Sera: il 2 giugno gli sparano alle gambe, ma costui s’aggrappa ad una ringhiera per non cadere a terra, dove potrebbe essere raggiunto da altri colpi, più fatali. Si trattava di Indro Montanelli, forse il più famoso giornalista d’Italia, all’epoca. Segue il giorno successivo Emilio Rossi, direttore del TG1, a settembre toccherà al direttore de L’Unità Nino Ferrero (giovedì sera dicevo su Twitter che negli anni Settanta i terroristi chiamavano “fascisti” pure i comunisti – cvd), a novembre verrà ucciso (non gambizzato) Carlo Casalegno, di cui abbiamo già parlato. A fine anno il terrorismo gambizzerà decine di persone e ne ammazzerà 11.
Lo strano rapimento di De Martino. Ad aprile i terroristi del NAP oppure no (mai chiarita questa cosa) rapiscono il figlio di De Martino (PSI). Quel rapimento è ancora avvolto nel mistero, e ancora oggi si sanno poche cose a riguardo. Una è che De Martino decide di uscire di scena: era candidato per le presidenziali del 1978. In teoria, in questo modo, lascerebbe strada al suo rivale, Aldo Moro. Lascerebbe, per l’appunto. Fatto sta che è la prima volta che i terroristi oppure no puntano in alto, verso una personalità politica di primo piano (immagino qualcuno abbia capito dove voglio andare a parare: il 1978 è dietro l’angolo).
(Ad aprile va in onda sulla Rete 2 (oggi Rai 2) Mistero Buffo di Dario Fo. Il Vaticano s’incazza e chiede che l’opera venga messa all’indice.)
Guerre private. Continuano anche gli scontri fra estremisti di destra ed estremisti di sinistra, che si ammazzano anche fra di loro: a settembre, ad esempio, viene ferita a Roma una ragazza di 19 anni, di sinistra; il giorno dopo (30 settembre) durante un volantinaggio di protesta, Walter Rossi viene ucciso dai neofascisti; il primo ottobre, infine, durante una manifestazione a Torino per Rossi, gli estremisti di sinistra passano alla bombe molotov, ardendo vivo uno studente lavoratore, Roberto Crescenzio, 22 anni.
Alla fine si può dire che, nonostante gli scontri abbiano fatto numerose vittime, soprattutto giovani, a destra, a sinistra e fra le forze dell’ordine, ai grandi capi nelle alte sfere poco sia importato. Tutti morti per niente. Infatti…
Berlinguer raccoglie l’aria. Nonostante il clima rovente praticamente su tutto, la politica continua sulla linea del compromesso: a luglio i partiti dell’arco costituzionale varano un accordo sul programma di governo. A novembre, addirittura, La Malfa propone l’ingresso dei comunisti nel governo, dopo che Berlinguer parla di eurocomunismo a Mosca, mentre si celebra l’ottantesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre. Ma l’anno finisce e Berlinguer ha ancora in mano il solito pugno di mosche.
(Niente chicca della settimana, perché nel dicembre 1977 pare non sia successo niente di niente. Piuttosto ricorderei il miglior ministro dell’Economia che la Repubblica italiana abbia avuto nell’ultimo decennio (( Non che ci voglia granché, visti gli altri. )) : Tommaso Padoa-Schioppa, deceduto ieri sera, 18 dicembre 2010).