Casi e casi

Richard Nixon è passato alla storia (a parte varie vicende “tipiche” di tutte le presidenze) particolarmente per due motivi: la frase “God bless America” e il Watergate.

Nel corso di quest’ultima vicenda, Nixon, l’uomo più potente del pianeta in quel momento, regolarmente eletto direttamente dal popolo americano, in un disperato tentativo di difesa tentò di trincerarsi dietro il privilegio dell’esecutivo (privilegio che prevedeva che il presidente e il suo staff non fossero obbligati a rispondere alle richieste della magistratura), pur di non consegnare i nastri che lo avrebbero inchiodato.

Il 24 luglio 1974 la Corte Suprema ordinò a Nixon di consegnare quelle registrazioni. All’unanimità. Non esisteva, per i supremi giudici, che qualcuno ignorasse la legge per un proprio interesse, sfruttando un privilegio concesso solo quando era nell’interesse del potere esecutivo (quindi dell’ufficio e non della persona del presidente) non rispondere alla magistratura. Ma non era quello il caso: quei nastri erano la prova principale di un processo e nessuno, tanto meno il presidente, poteva resistere alla richiesta. Quel giorno per Nixon era arrivata la fine e di lì a pochi giorni avrebbe rassegnato le dimissioni, primo e unico presidente della storia americana.

La Corte decise all’unanimità, segnatevi questa locuzione.

Fra poche ore i giudici della Corte Costituzionale italiana potrebbero decidere di un caso simile, che riguarda il capo dell’esecutivo, capo neppure eletto direttamente, che ha inventato una legge per introdurre quel medesimo privilegio nel nostro ordinamento e non per fare l’interesse del Paese, bensì per salvare sé stesso dai numerosi processi che lo riguardano, con accuse ben più infamanti di quelle di cui era stato accusato Nixon.

Non c’è verso, nessuno può sottrarsi alla legge in un Paese civile, per nessun motivo al mondo. Qua stiamo con il fiato sospeso perché la corte potrebbe essere spaccata sulla decisione: eppure una bocciatura del lodo senza unanimità sarebbe comunque una sconfitta per lo Stato di diritto.

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4 Comments

  1. Ancora una volta, la questione è scarsamente rilevante, perché nel nostro ordinamento non esistono le dissenting opinions dei giudici appartenenti ad un collegio che non si conformino a quanto deciso in camera di consiglio (per quanto certa dottrina cerchi di suggerirne l'introduzione).

    Formalmente, una decisione è sempre assunta all'unanimità…e, se si viene a sapere che non è stato così, lo si sa solo attraverso indiscrezioni, che restano tali. Anche se la decisione è presa a maggioranza, quindi, si imputa a tutti i membri del collegio, il che potrà anche suonare un po' ipocrita, ma nulla toglie che qui da noi le cose stiano così…con buona pace dei telefilm sulla giustizia americana.

    Ancora una volta…speriamo sia la decisione giusta!

  2. Sul blog di Leoman ho precisato le osservazioni che avevo già mosso al tuo precedente post. Riporto anche qui da te il mio commento:

    Leoman, ho visto che hai in larga parte ripreso un post scritto da Tooby e in proposito avevo già segnalato a lui che le sue argomentazioni presentavano varie pecche.

    Cercherò sinteticamente di esporre anche a te questi rilievi, in modo che si possa dare un’informazione giuridicamente più precisa, dal momento che un giurista potrà anche non essere imprescindibile, ma, talvolta, aiuta:

    1) Bisogna leggere con attenzione la l. 124/2008: riguarda soltanto i processi penali e non quelli civili (anche a seguito delle indicazioni date dalla corte costituzionale quando dichiarò l’illegittimità del c.d. lodo Schifani). Perciò l’esempio in virtù del quale tu e Tooby ritenete che l’art. 24 Cost. sia violato è assolutamente non pertinente e infondato: un processo per risarcimento danni è certamente un processo civile e non penale. Peraltro, secondo l’art. 1, co. 6, l. 124/2008 non è nemmeno applicabile l’art. 75, co. 3, c.p.p., per cui se la parte civile (in un procedimento penale) avesse anche contestualmente avviato un processo civile per risarcimento danni, quest’ultimo processo sarebbe stato sospeso fino al raggiungimento di un giudicato definitivo in sede penale.

    2) La vostra comune argomentazione sulla supposta violazione degli artt. 60, 90 e 96 Cost. è inconsistente così come formulata. Difatti, molte prerogative dei parlamentari, del presidente del consiglio dei ministri e del presidente della repubblica sono definite (o meglio regolamentate) da fonti normative sub-costituzionali: regolamenti parlamentari, leggi, regolamenti governativi… Un esempio lampante è fornito dal CSM, il cui funzionamento, nonché le prerogative dei componenti, sono definiti con leggi ordinarie. Se le cose stessero come dite, tutte queste fonti sarebbero incostituzionali, tuttavia non tutti gli aspetti disciplinari sono stati fissati nella Costituzione…e ciò è avvenuto volutamente. Il punto è un altro: quasi sempre (ma si consideri l’eccezione rappresentata dalla l. 219/1989 sui reati ministeriali e del presidente della repubblica), i rapporti tra organi con rilevanza costituzionale e processo penale sono stati definiti attraverso precetti costituzionali e da ciò, casomai, è legittimo dedurre che anche per il lodo Alfano si sarebbe dovuto procedere ad una modifica della Costituzione ex art. 138 Cost..

    3) L’art. 111 Cost. non definisce quale sia la ragionevole durata del processo, ma rimette questo compito alla legge ordinaria, che nel nostro ordinamento è la l. 89/2001 (c.d. legge Pinto), che, a sua volta, rinvia ad una convenzione internazionale. In essa è sostanzialmente stabilito che chi ha subito un danno ingiusto per via dell’irragionevole durata del processo può chiedere un’”equa riparazione” allo stato. Nel caso di Berlusconi, l’”irragionevole” durata dei procedimenti è generalmente provocata dalle attività dei suoi difensori e si risolve quasi sempre a suo favore, quindi già sotto questo profilo non avrebbe alcuna base per accedere all’equa riparazione di cui sopra. Peraltro, non esiste una ragionevole durata in astratto, ma dev’essere determinate in funzione di tutta una serie di parametri (complessità del processo, numero delle parti, attività svolte dai difensori…) e, comunque, potrà essere invocata soltanto dalla parte che assume di essere stata lesa dall’ingiustificata lunghezza del procedimento. Per assurdo, la parte legittimata in astratto a richiedere la riparazione sarebbe Berlusconi, e non qualcun altro. Se lo facesse, si realizzerebbe l’ennesimo paradossale conflitto di interessi, che vedrebbe il sedicente danneggiato (in veste di ex-imputato) che invoca in giudizio da se stesso (in veste di presidente del consiglio) l’erogazione della citata riparazione. Ad ogni modo, è presumibile che se ciò accadesse, Berlusconi non vedrebbe il becco d’un quattrino, poiché è stata proprio l’attività dei suoi difensori (nonché le leggi da lui introdotte) a procrastinare l’esito del processo. Tutto questo, però, non c’entra con la costituzionalità del lodo Alfano, per lo meno, non per i motivi che indicate.

    4) Non c’è alcuna violazione formale dell’art. 112 Cost.. Questa disposizione è stata aggirata, poiché sul pubblico ministero grava pur sempre l’obbligo di esercitare l’azione penale…ma all’esito dell’esercizio contro il presidente del consiglio (e le altre figure istituzionali protette), il giudice competente deve dichiarare la sospensione del procedimento. Non si tratta, quindi, di nessuna inibitoria nei confronti dei pm, i quali, se lo vogliono, possono svolgere le loro indagini e poi anche chiedere il rinvio a giudizio (che è la forma più comune, anche se non l’unica, di esercizio dell’azione penale), fermo restando che il processo resterà cristallizzato, con gli evidenti effetti negativi legati al decorso del tempo. In effetti, proprio perché non dev’essere sembrato praticamente possibile modificare con il procedimento previsto dall’art. 138 Cost. il principio dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, si è preferito “contornarlo” con il lodo Alfano.

    ——

    Il punto più serio – e che già a suo tempo fu il perno del ragionamento della Corte Costituzionale nel dichiarare incostituzionale il c.d. lodo Schifani – è la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. in combinazione, per i profili di ingiustificato privilegio garantito ai soggetti coperti dal lodo Alfano sia rispetto a qualsiasi altro cittadino, sia rispetto agli altri componenti degli organi collegiali in cui essi sono inseriti (ove lo siano).

    Mi auguro che i giudici vogliano prestare seriamente attenzione a questo profilo.

    Un ultimo cenno – che però traduce solo un’opinione personale – Harry John Woodcock è a stento definibile un giurista, rappresentando piuttosto una specie di arrivista arruffone. Le dichiarazioni di Fini su Porta a Porta, a suo tempo, certamente erano dettate da motivi personali, ma erano certo edulcorate rispetto ai fatti; fatti rispetto ai quali la sezione disciplinare del CSM ha disposto il trasferimento del pm cui Fini attribuiva “una certa fantasia investigativa”. La recente rinuncia al privilegio da parte di Fini avrà probabilmente mosso Woodcock a rimettere la querela solo per non essere in seguito processato per calunnia, considerata la debolezza delle sue accuse.

    Sono naturalmente disponibile ad articolare meglio il ragionamento al riguardo, ma resto fin d’ora dell’idea che un pm dovrebbe lavorare in silenzio e non fare la primadonna delle cronache, non fosse per altro che per l’esigenza di proteggere il segreto sulle indagini in corso.

  3. A McLaud, e rilassati un po' 😀 . Il mio intento era fare un paragone morale, per dire che su questioni simili (una sorta di immunità per il capo dell'esecutivo) una corte non ci ha pensato mezza volta prima di dire a Nixon «Non farci ridere, bello, tira fuori i nastri», mentre un'altra rischia addirittura di approvarla.

  4. Eh, magari potessi rilassarmi! Sto continuando a incrociare le dita così stretto che mi ci vorrà un esperto di origami per scioglierle! 😉

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