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All’inseguimento del consenso (a costo di sfasciare il Paese)

Normalmente, in un Paese civile, prima delle elezioni ci si muove cauti per non perdere consensi, anzi, si tenta di usare la spesa pubblica a fini elettorali (lo faceva Bottino Craxi, ad esempio, con le conseguenze che subiamo ancor oggi e che subiremo per decenni), dopo le elezioni si attua il programma, anche se questo significa fare qualche sacrificio nel breve periodo e perdere consensi. In un Paese civile la classe dirigente cerca di conciliare le elezioni dell’anno prossimo con i bisogni dei propri figli fra vent’anni e dei propri nipoti fra cinquanta. Se proprio sono poco lungimiranti, tenteranno, almeno, di fare riforme che facciano progressi evidenziabili nello spazio di una legislatura.

Sta accadendo negli USA di Barack Obama: il presidente fresco di elezione sta mettendo in campo una riforma verde che però non va giù ai parlamentari che cercheranno di essere rieletti l’anno prossimo. La soluzione sarà cercare un buon compromesso, che salvi l’impianto della riforma senza far perdere il seggio ai parlamentari (e soprattutto salvaguardando gli interessi che essi rappresentano). Male che vada, la si spezzetta.

Anche l’Italia ha bisogno di riforme, non solo congiunturali ma soprattutto strutturali, visto che non vede una crescita decente da quindici anni. La crisi economica e finanziaria non c’entra niente: è come se un tizio con un tumore in metastasi buscasse l’influenza.

Questo governo, però, non vuole mettere le mani sulle pensioni, sul mercato del lavoro e su altre questioni economiche fondamentali. L’agenda delle riforme è dettata dalla Lega Nord (federalismo fiscale a tutti i costi, anche se questo significa peggiorare i servizi offerti, ad esempio, dalla Lombardia) e dalla P2/mafia (controriforma della giustizia e delle intercettazioni).

Questo governo non ha alcuna intenzione di mettere mano alle riforme economiche (quelle sulle quali la sorveglianza dell’Unione Europea è più stretta) poiché farle, pur essendo necessarie, significherebbe erodere fortemente il consenso, attaccare i privilegi di cui godono ingiustamente determinate categorie, che quindi, con lo stomaco vuoto, diventerebbe più attento alle leggi porcate piduiste che dovranno venire (perché verranno, non c’è da preoccuparsi) e che non riempiono la pancia.

Al contrario, si stanno fermando le liberalizzazioni, la class action si avvia verso l’ennesimo rinvio nel prossimo milleproroghe, per non parlare dei favori personali che le aziende pubbliche fanno al presidente del consiglio Silvio Berlusconi, o meglio, alle sue aziende.

Vi avevo segnalato che Alitalia aveva dato la concessione pubblicitaria per la propria rivista ad una impresa appartenente alla famiglia Berlusconi.

Adesso si scopre che il governo ha fatto grossi favori a Trenitalia (specie in materia di trasporto regionale); contemporaneamente Panorama (gruppo Mondadori, proprietà di Fininvest, ovvero di Berlusconi Silvio) viene distribuito quasi obbligatoriamente ai passeggeri della prima classe. Ma sicuramente si tratta di una coincidenza.

Le priorità di questo governo sono evitare decisioni delicate che possono erodere il consenso e fare favori al presidente del consiglio. Poco importa se in questo modo l’Italia andrà a puttane: pare lo faccia anche il premier, dopotutto…

Vorrei sapere dove sono tutti quei poveracci che il TG4 e Studio Aperto intervistavano mentre rovistavano negli scarti al mercato lamentandosi contro il governo Prodi (pure loro giocavano il Prolly) prima delle elezioni dell’anno scorso. Forse il mago Silvio ha trovato loro un lavoro? L’ISTAT dice di no, ma si sa, la statistica è figlia del comunismo, per questo Giulio, Silvio e Claudio vogliono tapparle la bocca, parlando di ottimismo mentre si cola a picco.

Sarà mica che sono morti di fame nell’ultimo anno?

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