Mi ero riproposto di scrivere un post sul Tibet una volta finito il libro “Sette anni nel Tibet” di Heinrich Harrer. L’ho finito lunedì, poi il trasloco mi ha tenuto fuori dal mondo fino a ieri, quando in autostrada leggevo sugli schermi degli autogrill di rivolte a Lhasa. E sono rimasto fregato.
Volevo scrivere un post pacato e semplicemente descrittivo, ma in questa situazione l’unica cosa che mi è riuscito di fare è scrivere questo articolo su Wikinotizie, in cui ho descritto la situazione presente e passata del Tibet.
Il Tibet è stato per secoli una nazione neutrale, che si faceva abbondantemente i ca**i suoi, tanto che difficilmente lasciava entrare qualche straniero: solo durante la seconda guerra mondiale accettarono un plotoncino (una decina di persone) di soldati inglesi, che tra l’altro abitavano senza far nulla fuori dalla capitale. Erano lì in vacanza. La Cina, ad un certo punto, comincia a trasmettere per le radio che essa libererà il Tibet dalle forze di occupazione britannica. Ora, voi vi immaginate dieci persone contro sei milioni di tibetani, alla conquista di un territorio vasto quanto l’Europa occidentale? Ma per la propaganda questo e altro.
In realtà, la Cina invade il Tibet, come la Germania di Hitler invase la Polonia: ha bisogno di lebensraum, dello spazio vitale. Hitler invade la Polonia per essere più vicino alla Russia, Mao invade il Tibet per essere più vicino all’India. Hitler vuole le ricchezze della Polonia, Mao vuole i minerali (dall’oro all’uranio) che il sottosuolo del Tibet conserva, senza contare che il Dalai Lama, forte di secoli di donazioni, era uno degli uomini più ricchi del mondo, e che a Lhasa, a seimila metri di altezza, cresce il grano e molto altro. Hitler invade la Polonia per far sparire ebrei e comunisti, Mao invade il tibet per far sparire i tibetani. L’unica differenza è che Hitler è nero, Mao è rosso. Sono due totalitarismi, nel senso che sono totalmente [censura].
E come nell’invasione della Polonia, l’altro mondo, quello che si autodefinisce civile, gli Stati Uniti e l’Europa occidentale sono rimasti in silenzio mentre il Tibet, membro fondatore dell’ONU, veniva invaso. Unica voce fuori dal coro, il Salvador. La Cina annetteva territorio per un terzo della sua attuale estensione e nessuno se ne era accorto.
Oggi i cinesi non sanno nulla del Tibet: la propaganda ha cambiato la storia. Il Tibet è sempre stato cinese, mai stato indipendente.
Anche se con la fine del maoismo è leggermente permesso avere un credo religioso, i buddhisti sono comunque oggetto di repressioni, offese e vere e proprie bestemmie: c’era una volta un palazzo, il Potala, di cui vedete un’immagine in alto, che era la residenza invernale del sovrano del Tibet, un palazzo sacro, pieno di tesori e inaccessibile a chiunque. Oggi comitive di turisti e cinesi han impiantati in Tibet per forza o volontà camminano per le sue stanze, mentre ai suoi piedi i cinesi, al culmine dell’offesa, hanno impiantato centri commerciali, banche e sexy shop, per divertire i soldati che stazionano a Lhasa.
Il Dalai Lama è la figura fondamentale del Tibet, ma c’è un’altra reincarnazione, il Panchen Lama, che ha importanza simile, anche se inferiore. Il Dalai Lama riconosce il Panchen Lama e viceversa: ebbene, alla morte del decimo Panchen Lama, schiere di monaci andarono alla ricerca della nuova reincarnazione. Quando essi lo trovarono, la Cina lo rapì: era il 1995, e il Panchen Lama aveva sei anni. Da allora, sino ad oggi, dopo tredici anni, egli è agli arresti. Contemporaneamente, la Cina ha nominato un nuovo Panchen Lama, un giovane figlio di un dirigente del Partito Comunista Cinese. Si arriva quindi al 2007, quando la vergogna raggiunge profili addirittura comici: come ho scritto in questo articolo, sempre per Wikinotizie, il governo cinese ha stabilito che chiunque voglia reincarnarsi dovrà chiedere l’autorizzazione del governo stesso.
Al momento della fuga del Dalai Lama, l’intero popolo di Lhasa si mise davanti all’esercito cinese per difenderne la fuga in India: era il 1959 e l’esercito cinese, guidato da Hu Jintao, che oggi è il capo della Repubblica Popolare Cinese, sterminò oltre sessantacinquemila tibetani inermi. Dal 1950 al 1970 la Cina ha sterminato, secondo le stime, un milione di tibetani. E mentre i tibetani vengono sterminati, i cinesi raggiungono in massa il tetto del mondo per colonizzarlo, come fecero gli europei in America. Fino a far scomparire i nativi americani.
Il buddhismo non è una religione come le altre. Non è come il cristianesimo, religione fonte di guerre e basata sulla paura che incute l’inferno, e non sull’amore come voleva Gesù; non è una religione bramosa di potere, com’è il cristianesimo da oltre mille anni, dall’epoca dei vescovi-conti, sino ai cardinali che amministrano tesori attraverso la banca off-shore del Vaticano e girano in Mercedes. Non è neppure come i (presunti) islamici che fanno la guerra in nome di Allah, e neppure come come l’ebraismo, il cui testo sacro definisce Jahvè il Signore (collerico) degli eserciti (Zc, 1,3) e Israele lo prende in parola (e pure Hamas ci mette del suo, tanto per dire, che a prescindere dalla religione son tutti minchioni). E infine il buddhismo non è neppure come l’ateismo, che in nome di un fantomatico “grande balzo“, ha spesso sterminato chiunque volesse credere in qualcosa di diverso dallo Stato, da Mao o da Stalin.
Il buddhismo non è nulla di tutto questo: i buddhisti cercano l’armonia interiore, presupposto per l’armonia con gli altri. Il Tibet era un Paese neutrale, dotato di un semplice esercito cerimoniale, e fondamentalmente ma decisamente pacifico. Tutte le altre (presunte) religioni hanno guardato dall’altra parte (Benedetto XVI, di recente, ha ricominciato le trattative per permettere il libero culto in Cina…libero culto della religione cattolica, all’interno di libere concessioni del libero stato cinese…).
E intanto in tutta la Cina i blogger e in generale i dissenzienti scompaiono miracolosamente come rapiti dagli alieni: Google, Microsoft e Yahoo! si mettono al servizio del governo per scoprire chi parla male del regime, alla faccia dei diritti umani. I motori di ricerca, addirittura, si autocensurano: se cerchi determinate parole (come Tibet o Dalai Lama) in Cina, Google ti restituirà risultati neutri o comunque controllati dal regime.
E i leader occidentali fanno orecchie da mercante: il Dalai Lama ha vinto un premio Nobel, è il sovrano in esilio di un Paese grande quanto l’intera Europa, e nessuno vuole incontrarlo per non andare incontro all’ira della Cina (ma soprattutto per non allontanarsi dai suoi soldi). In Italia Prodi non ha voluto incontrarlo: pusillanime. Berlusconi non aveva battute da dire. Il papa Benedetto XVI (confermandosi ancora una volta meno di una nullità di fronte a Giovanni Paolo II) lo incontra in forma strettamente privata, senza che quasi nessuno lo sapesse: non sia mai detto che la Cina interrompa la penetrazione difficoltosa della Chiesa Cattolica, cavolo, sono un miliardo e mezzo di persone da evangelizzare, possiamo avere la maggioranza assoluta e governare senza appoggi esterni. Pazzesco.
Non avrei mai pensato di dirlo in vita mia, ma ho ammirato il presidente Bush, che ha incontrato il Dalai Lama in forma pubblica e in pompa magna. Alle proteste della Cina, Bush ha mostrato il medio.
Peccato che l’errore l’abbia fatto dopo: gli USA hanno cancellato la Cina dalla lista dei Paesi che violano i diritti umani. Alla faccia di tutti gli abominii che commette e che ho narrato sopra. Ma la ragione è economica: gli USA accettano i prodotti esportati dai cinesi, mentre i cinesi finanziano gli USA comprando zitti zitti grandi quantità del debito pubblico statunitense. E adesso, gli USA, nazione in crisi politicamente (elezioni difficili alle porte), economicamente (crisi dei subprime e recessione) e militarmente (i soldati uccisi in Iraq sono quasi quattromila) ne hanno sempre più bisogno. E in cambio, nell’anno delle Olimpiadi, la Cina può apparire come un Paese civile, con grande guadagno di immagine. Il tutto sul sangue dei tibetani e dei dissenzienti cinesi in generale.
Spero che in molti seguano l’esempio di Steven Spielberg: boicottare le Olimpiadi, un simbolo di pace e fratellanza fra gli uomini di ogni dove non può giungere in un Paese che uccide migliaia di persone solo perché la pensano diversamente. Dal canto mio, cercherò di sviluppare il molto che ho scritto in questo post per non dimenticare tutte queste ipocrisie.
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Ottimo articolo. Concordo 1000%. Fa piacere rileggerlo dopo un anno. Fa meditare molto a fondo sulla ‘rivoluzione’ democratica delle Olimpiadi no?
Ottimo articolo. Concordo 1000%. Fa piacere rileggerlo dopo un anno. Fa meditare molto a fondo sulla ‘rivoluzione’ democratica delle Olimpiadi no?
@SM: Denaro.
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