[Economics for dummies] La Tobin Tax e l’economia irreale

Articolo lungo perché ho alleggerito il più possibile la roba tecnica con dettagliate spiegazioni in modo che sia di facile comprensione. Si descrive fin troppo brevemente il funzionamento dei mercati e l’importanza della liquidità nei medesimi e di come la Tobin Tax, specie se applicata solo dall’Italia per almeno un anno, rischia di avere ripercussioni pesanti sull’economia reale. E non ho neppure trattato tutti i casi in cui la Tobin Tax farà danni a imprese, famiglie e Stato. Ma spero di avere quanto meno reso l’idea.

Se proprio non si è capito nulla, alla fine dell’articolo ho inserito un riassunto.

E nel caso abbia fallito nell’intento di spiegare questa abissale scemenza della Tobin Tax, aspetto le vostre domande nei commenti 🙂

Dairy Crest Semi Skimmed Milk Bottle
Prendetelo, vi servirà. [Photo by Unisouth (Own work) [GFDL or CC-BY-3.0], via Wikimedia Commons
Non capita raramente che quando Micromega pubblica un articolo riguardo l’economia, vi si possano ritrovare all’interno sfondoni che farebbero ridere se non fosse che servono solo a confondere le acque e allontanare il lettore dalla realtà dei fatti. Stavolta si tratta di un articolo riguardo la Tobin Tax, pubblicato originariamente su Affari & Finanza di Repubblica (l’articolo è di Marco Panara, il quale, ovviamente, insegna Scienze Politiche, mica Economia).

Gli altri post riguardanti la Tobin Tax, dove spiego anche cos’è, li trovate qui.

L’articolo inizia con una frase da fumeria d’oppio:

Se compro un litro di latte pago una tassa, l’Iva, se compro un’azione Generali o un’obbligazione Enel invece no.

Già da questa frase si può tranquillamente evincere che la carta su cui è stato stampato l’articolo è buona solo per incartarci il pesce. Ammesso che il pesce voglia farsi incartare in una simile monnezza. Fatto sta che se compro un litro di latte io consumo e me lo bevo; se compro un’azione, io investo, non so se riavrò qualcosa indietro quando lo rivenderò, non posso consumarlo in qualche modo, neppure fumarmelo, visto che è un titolo dematerializzato. È l’ABC dell’economia mettere i consumi da una parte e gli investimenti da un altra, infatti nel corso delle prime lezioni di macroeconomia insegnano che il PIL di un Paese è dato dalla somma di C, I, G e NX, ovvero Consumi, Investimenti, Spesa Pubblica (Government spending) ed eXport Netto (ovvero esportazioni meno importazioni) (( È l’expenditure approach, uno dei tre metodi con cui si calcola il PIL. )) . Il motivo per cui queste componenti sono trattate separatamente è perché le medesime sono cose diverse, funzionano in modo diverso, servono a scopi diversi, riguardano soggetti diversi. Metterle nello stesso calderone significa mettere assieme ananas, balconi, camion e Domodossola. Senza contare che azioni e obbligazioni sono tassate in altro modo. Diverso, appunto, ma non sono mica esenti.

Ma passiamo ad analizzare alcuni estratti dell’articolo.

[Dagli scambi frequenti, a breve e brevissimo periodo] L’economia non ne guadagna invece nulla e anzi la volatilità dei prezzi alimentata dalla frequenza degli scambi si trasforma in un danno.

Ci sono tonnellate di studi che dimostrano che l’economia beneficia dalla liquidità dei mercati, e per quanto possa sembrare strano, di solito più un mercato è liquido, meno è volatile. Il libro su cui ho studiato la microstruttura dei mercati dei capitali (Trading and Exchanges: Market Microstructure for Practitioners, di Larry Harris, un must per chi studia la materia, oltre che un mattone di cui vi invito a leggere dimensioni e peso) frantuma gli apparati genitali di chi studia i mercati su questo punto. Non sto qui a fare lo spiegone (magari in altro articolo, a richiesta), ma scrive Harris a pagina 394 del suo contraccettivo cartaceo: «Regulators like liquidity because liquid markets are often less volatile than illiquid one». Insomma, chi governa dovrebbe fare di tutto per attrarre gente sui mercati, perché più gente c’è, meglio funzionano. Se una tassa allontana gente dal mercato, il mercato diventa meno liquido, sicché la volatilità, di solito, aumenta, poiché i prezzi inizieranno a muoversi a strappi (lo spiego meglio più sotto). Sicché accade questo: l’economia va male? Bene, i mercati tracollano come tracollano da sempre (nel 1929 mica c’erano daytrader e trading ad alta frequenza) solo che invece di farlo più lentamente iniziano a “saltare” dei livelli di prezzo (creano “gap”, in gergo). Basti dare un’occhiata al grafico dell’indice italiano per vederlo pieno di buchi, a differenza di piazze ben più popolate, come quella americana, tedesca o il cross euro-dollaro.

Dunque, meno attori ci sono sul mercato, più i mercati impazziscono. Questo in linea generale. In linea pratica, la Tobin Tax allontanerà in primo luogo i trader più sfigati, i piccoli risparmiatori, renderà più oneroso chi usa il mercato per coprirsi dai rischi, non per speculare, mentre non toccherà i “grandi speculatori”, che dovranno semplicemente spostare residenza e quattrini a Londra. Gli hedge fund americani che volessero vendere allo scoperto tutti i titoli di Stato dell’universo potranno continuare a farlo indisturbati.

Inoltre renderà i prezzi meno informativi. L’economia trarrà grave danno da questa tassa così sciocca. Ma ci ritornerò tra poco. Andiamo avanti.

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6 Comments

  1. TOOBY FOR PREZ !!

    Questo articolo dovrebbe essere stampato in milioni di copie e affisso dalle Alpi a Lampedusa, con fermata obbligatoria a Roma, sede del “boccoglione”, ovvero il coglione della Bocconi.
    Sono totalmente d’accordo con te quando ti dichiari perplesso sulla possibilità che anche gli altri Paesi europei, Germania in primis, vogliano distruggere per legge la propria piazza finanziaria. Ma ce li vediamo i Tedeschi (ma anche i Francesi, gli Spagnoli ecc.) che per legge distruggono l’EUREX, uno dei tre maggiori mercati dei derivati al mondo ?
    Alla peggio faranno come Hollande, una piccola tassa NON SULLE TRANSAZIONI, spacciata però come tale tanto per accontentare i talebani.
    In Italia, al contrario, non è chiaro se per incompetenza o per calcolo, ci avviamo all’annientamento della Borsa.
    La gente comune, opportunamente disinformata, crede la crisi sia originata dalle borse regolamentate ed in particolare dalla insignificante Borsa di Milano !!!

    Visto che siamo nella patria dell’incertezza del diritto, vorrei porti un quesito sulla assurda via italiana alla tassazione delle transazioni finanziarie.
    L’articolato della legge italiana è abbastanza confuso ed eccessivamente conciso e riprende malamente i contenuti della direttiva europea. In particolare, la proposta europea riguarda gli “enti finanziari” e non certo i privati cittadini. In quella proposta, gli enti finanziari soggetti all’imposta vengono individuati in base al cosiddetto “principio di residenza”.
    La legge italiana non distingue tra privati cittadini ed enti finanziari ed applica indiscriminatamente il “principio di residenza” a tutti, senza dare chiare esplicazioni né fare dovute distinzioni, creando così il solito mostro giuridico. Infatti, una delle possibili e più gettonate e demenziali interpretazioni della legge è la seguente:
    1 – se un pensionato fiscalmente residente in Italia compra oggi cento azioni ENI e le rivende fra un anno pagherà la tassa, sia all’acquisto che alla vendita. Se un hedge fund, fiscalmente non residente in Italia, compra e vende centomila azioni ENI cento volte al giorno non pagherà nulla.
    2 – se un piccolo trader, con residenza fiscale in Italia, compra un derivato trattato su una borsa non italiana (su cui non c’è alcuna tassa sulle transazioni) dovrà comunque pagare la tassa. Ovvero, la legge italiana riesce ad imporre tasse su transazioni all’estero e non già su beni posseduti all’estero. E’ come se il fisco italiano mettesse una tassa sulla compravendita di un immobile a Parigi oltre che sul possesso di quell’immobile.

    Ti sembra l’interpretazione corretta ?

    Grazie e complimenti

    1. Grazie per il tuo bel commento.

      L’interpretazione è ovviamente corretta, ma credo di aver letto pure di peggio in quella legge, ovvero che basta che uno solo dei contraenti non paghi la tassa per annullare la transazione (articolo 12, comma 22 – ironico, vero?). Io in primo luogo non ce li vedo certi intermediari diventare sostituti di imposta: costa troppo. Sicché certi se non tutti i marketmaker diranno ai propri clienti: «Fatti vostri», o al massimo chiudono baracca e burattini e se ne vanno. In quel caso, un’operazione mi finisce in perdita, io avrei addirittura convenienza a non pagare la tassa, visto che mi verrebbe annullata, e così la perdita.

      Ma poniamo pure il caso che io venda un’azione a un tizio all’estero: anche lui dovrebbe pagare la tassa, perché io sono italiano. E se non la paga che succede? Si annulla l’operazione anche a lui?

      A me la Tobin Tax così come congegnata più che un mostro giuridico, pare semplicemente ridicola.

      1. “.. ovvero che basta che uno solo dei contraenti non paghi la tassa per annullare la transazione (articolo 12, comma 22 – ironico, vero?)
        In quel caso, un’operazione mi finisce in perdita, io avrei addirittura convenienza a non pagare la tassa, visto che mi verrebbe annullata, e così la perdita.”

        Ma ce lo immaginiamo la Cassa di Compensazione e Garanzia che annulla un’operazione sui futures per “mancato versamento dell’imposta” ???
        La neurodeliri a Palazzo Chigi, D’URGENZA !!!

  2. Ma questa tassa non creerà semplicemente un mercato parallelo con transazioni fittizie, senza passaggi di titolarità fra gli attori?

    1. I mercati paralleli ci sono già, si chiamano MTF. Chi-X, per dirne uno, già assorbe un quarto dei volumi europei.

      Il rischio è che la liquidità si sposti sempre più nelle dark pools, dove è più difficile capire come si formano i prezzi, a discapito dei mercati “ufficiali” più trasparenti ma lasciati semideserti, che si limiteranno a prendere i prezzi dagli altri MTF, dove operano perlopiù i grandi attori.

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