L’Italia non viene declassata, ma non c’è niente da ridere

Qui c’è gente che è euforica perché l’Italia, a questo giro, non è stata né sarà (a quanto sembra) declassata, come se tutto andasse a meraviglia. Sono state declassate Grecia, Portogallo, Spagna, ma l’Italia no, perché noi ne usciremo meglio degli altri eccetera eccetera.

L’Italia non è stata declassata per un motivo molto semplice: non c’è granché da declassare.  La situazione dei conti pubblici italiani resta la solida tragedia di cui ho ampiamente parlato in passato. Il declassamento rischia di arrivare se non metteremo in atto le misure adeguate per fronteggiare l’inevitabile esplosione del debito.

Andiamo un attimo sul sito di Standard & Poor’s e vediamo un po’ come stanno messi i PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna):

  • Portogallo, rating A-;
  • Irlanda, rating AA;
  • Grecia, rating BB+;
  • Spagna, rating AA;

Vi sorprenderà sapere che l’Italia ha un rating A+, superiore solo a Grecia e Portogallo. Per la cronaca, Germania, Francia, Regno Unito e praticamente tutti i Paesi non mediterranei hanno un rating AAA.

Ciononostante l’assicurazione sul default (i CDS) costa di più per i PIGS rispetto all’Italia, ovvero assicurarsi contro il fallimento dell’Italia costa meno (quindi c’è un rischio inferiore, un po’ inferiore, specifico). Questo perché, come già sappiamo, l’Italia è più solida di questi Paesi, ha un elevato risparmio privato, un sistema bancario chiuso, dunque poco esposto alle turbolenze internazionali (ci sono anche lati negativi per questo, tranquilli) e ha una lunga storia di altissimo debito pubblico, dunque è un po’ più affidabile nel gestirlo (come dire, abbiamo il callo). Dunque quei Paesi (oggi) sono più esposti agli attacchi, ma si tratta solo di aspettare che l’effetto domino travolga pure l’Italia.

E poi, quando trucca i conti, l’Italia sa farlo bene, senza strafare come la Grecia.

Ma questo non significa che vada tutto bene, anzi:  fra i Paesi del G7, assicurarsi contro il rischio italiano costa poco meno di 4 volte che quello USA, 3 volte quello tedesco e 2 (o poco meno) volte quello di Regno Unito, Francia e Giappone. E, tanto per la cronaca, il Giappone ha un rating AA, ma ha un debito pubblico che è quasi doppio del nostro in termini di percentuale del PIL (192 a 115).

Il problema del debito pubblico va affrontato, così come quello della scarsa competitività italiana e di conseguenza la crescita nulla o quasi che ci aspetta nei prossimi anni, se tutto va bene. Ma questo governo non sembra voler mettere l’economia e la finanza pubblica fra le priorità: prima la giustizia, prima le intercettazioni, prima il lodo Alfano costituzionale (e non voglio ripetere la solita litania dell’ICI, dello scudo fiscale e tutte le altre porcherie di questi ultimi due anni).

Vi basti questo grafico, tratto da Il Fatto Quotidiano, che mostra l’andamento della spesa pubblica italiana negli ultimi anni. Notate cosa è accaduto nel 2009: a fronte di entrate pressoché costanti (non hanno tagliato le tasse, in altre parole) la spesa pubblica è aumentata di 3 punti percentuali. Ma la cosa divertente è che la spesa primaria (ovvero al netto degli investimenti e degli interessi sul debito) è esplosa di ben 3,5 punti. Ugo Arrigo fa notare che si tratta non solo di un record storico (negativo), ma che le bravate di Tremonti (che, ricordiamolo, è stato ministro dell’economia dal 2001 al 2004, dal 2005 al 2006 e dal 2008 a oggi) ci han fatto pure dilapidare i risparmi derivanti dall’entrata nell’euro, il che significa che quando i tassi di interesse risaliranno noi, con il nostro gigantesco debito pubblico, finiremo nei guai. E allora vedremo che bei declassamenti.

(Prima che qualcuno tiri fuori Prodi, sappiate che tutti i suoi governi, compreso l’ultimo, hanno tenuto sotto controllo la spesa pubblica. E non tirate fuori neppure la storia delle tasse: il grafico qui sotto parla da solo).

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