In questo periodo mi manca il tempo per fare un po’ di cose, tra cui scrivere, ma i pensieri comunque mi frullano nel cervello (qui nel retro ci sono già una trentina di bozze che spero di pubblicare prima o poi). Ne riassumo qui tre, così almeno faccio un po’ di pulizia.
La puntata di domenica scorsa di Report (su internet e social network) ha scatenato varie polemiche, dovute principalmente al fatto che la Rete, da sempre attenta a questo programma, aveva un’altissima aspettativa. Purtroppo tale aspettativa è stata delusa e sono partite le critiche. Per la puntata di stasera, meglio renderci conto di una cosa: Report deve semplificare perché non siamo un popolo di operai del calcestruzzo o del petrolio. E semplificando si perdono informazioni. Per occhio e orecchio esperti Report non è un bel programma: ce ne siamo accorti solo quando ha trattato un argomento di cui in Rete conosciamo tanto. Per quanto mi riguarda, ho da ridire ogni volta che Report tratta di economia, proprio perché è il campo in cui sono esperto. Da allora la regola è quella di non prendere per oro colato tutto ciò che dice Report (che resta, comunque, un ottimo programma per il pubblico medio, ovvero tutti coloro che non sono esperti dell’argomento di cui tratta una certa puntata, ma che vogliono farsi un’idea per sommi capi).
Dopo la morte di Vittorio Arrigoni, qualche fesso ha cominciato a far girare la teoria del complotto secondo cui Arrigoni (che non era un pacifista, va sottolineato: le sue idee circa il rapporto fra Israele e Palestina sono più vicine a quelle di Ahmadinejad che quelle di un pacifista medio) è stato ucciso dal Mossad, il servizio segreto israeliano. Ci sono un milione di ragioni per cui questa è una fesseria: la mia preferita è relativa al fatto che Arrigoni non era un pericolo per Israele. Per Israele Arrigoni era un semplice rompiballe, e i rompiballe sono più pericolosi da morti che da vivi: questa cosa la stanno imparando e la impareranno a loro spese i salafiti, Hamas e i palestinesi in generale.
Tutti a festeggiare la sentenza Thyssen, che ha stabilito un nuovo principio: se non fai rispettare le regole della sicurezza e qualcuno muore per questo, anche se sei un altissimo dirigente, devi rispondere di omicidio volontario. È un bel principio, senza dubbio, ma prima di festeggiare avrei aspettato la Cassazione, visto che per il momento è ancora fuori dalla nostra giurisprudenza: se siamo gli unici in Europa ad avere un simile principio un motivo c’è, e vale a dire che tale principio, semplicemente, non sta in piedi. La legislazione è di regola molto favorevole al datore di lavoro, e ci sono alte probabilità che il manico del coltello torni in mano alla Thyssen quando dirà: «E allora ce ne andiamo all’estero (seguite da tante altre aziende) e vi tenete i disoccupati». La gente ha memoria corta: la mia previsione è che il capo d’imputazione verrà cambiato in qualcosa di meno grave nei successivi gradi di giudizio e che intervenga la prescrizione (recentemente abbreviata) a salvare capra e cavoli.
(La foto non rappresenta la mia cucina: sarei morto molto disordine prima)