Avevo sentito di un giovane morto folgorato ad Agrigento, ho pensato ad un “normale” morto sul lavoro e non ho approfondito.
Poi ho scoperto che si trattava di Giuseppe Gatì, balzato qualche tempo fa agli onori delle cronache (e alla mia attenzione) per una contestazione a Vittorio Sgarbi, durante la quale ricordava che quest’ultimo era un condannato in via definitiva (il che, in un Paese civile, significa sparire dai pensieri dell’opinione pubblica, mentre io me lo sono ritrovato nella piazza della città dove vivo, attorniato da fan e assessori vari in attesa di presentare il suo libro contro la Moratti – e si aspettava pure che io e gli altri che erano con me lo salutassimo). Il ragazzo era stato democraticamente buttato fuori a calci come se il criminale fosse lui. Il video lo trovate qui.
Gatì gestiva un blog,”La mia terra la difendo“, nel quale aveva cominciato a raccontare la sua attività di difesa del territorio dall’avanzata delle mafie, non solo nella sua Sicilia, ma anche in tutta Italia. In pieno stile liberale (che oggigiorno dovrebbe essere il minimo indispensabile per qualunque essere capace di pensiero, a prescindere da colore politico), la sua arma era il diritto ad esprimersi senza inibizioni, opponendosi alla manipolazione e alla censura dell’informazione. In un Paese civile, nessuno dovrebbe combattere per questo diritto.
Al di là della retorica, però, devo dire che sono davvero dispiaciuto che in questo Paese di schiavi sia morto un altro uomo libero, perlopiù giovane, “grazie” all’ennesimo incidente sul lavoro.
Una beffa. E per quanto mi riguarda, un invito a non arrendersi.
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