Con lo Schatz (ovvero il titolo del debito pubblico tedesco di durata due anni) ridotto a zero (renderà lo 0,07%, la Germania ha deciso di non fare neppure la fatica di staccare una cedola) aggiungiamo un’altra puntata alla telenovela “perché la Germania sta divorando l’Europa“. Ricapitolando:
- la Germania gode di un tasso di cambio artificialmente basso: ci fosse il marco, quest’ultimo schizzerebbe verso l’alto, rallentando le esportazioni e quindi l’economia. Il contrario avviene per i Paesi periferici (per ora i PIIGS, ma pure Francia, Paesi Bassi e Austria cominciano a passarsela maluccio);
- la Germania si trova in sostanza in piena occupazione: l’economia nonostante tutto marcia, e questo crea nuovi posti di lavoro; i salari crescono poco, è vero, ma non è che ci si possa lamentare, quando i Paesi periferici hanno fra un terzo e la metà di giovani a spasso;
- la Germania ha un’inflazione bassa: i tedeschi tengono in ostaggio la Banca Centrale Europea, tenendo strafisso il costo del denaro all’1%. Trichet provò ad aumentarlo perché la Germania temeva l’iperinflazione (che per Berlino significa uno stratosferico 3% – che poi è l’inflazione obiettivo della Fed), ma per fortuna Draghi si rese conto non solo del fatto che l’1,5% era troppo alto per l’Eurozona, ma che lo era pure l’1%. Dato che i tedeschi continuavano (e continuano) a dire no a un taglio dei tassi, Draghi, per salvare le banche (e quindi l’intero sistema economico) dall’implosione, s’inventò il LTRO, trovata che serve solo a prendere tempo, ma che risolve ben poco.
Tutto bene per la Germania, dunque? Ma neanche per sogno. Ciò che ci dice lo Schatz a zero è che gli investitori hanno una paura enorme della fine dell’Euro, e per questo cercano rifugio in Germania dove, se tutto dovesse andare male, i loro soldi godrebbero della rivalutazione causata dal ritorno del marco (abbiamo detto poche righe fa che il tasso di cambio, dal punto di vista della Germania, è artificialmente basso). Un marco forte, però, renderebbe più care le merci tedesche per gli stranieri, facendo calare le esportazioni e quindi rallentando il prodotto. La Germania, inoltre, passerebbe in deflazione, che tutto è fuorché una cosa positiva; i salari finalmente si rivaluterebbero in termini di potere d’acquisto, ma le imprese finirebbero in difficoltà, e addio alla piena occupazione.
E non pensate che a Berlino non sappiano queste cose: sono concetti basilari, stanno in un qualunque libro introduttivo all’economia, anche per facoltà non economiche (negli ultimi giorni ho davanti un libro-barzelletta usato in un corso di mediazione linguistica, libro che spiega in un capitolo ciò che i miei libri spiegavano in cinque o sei… e le cose di cui sopra ci sono comunque tutte).
Ma allora perché i politici tedeschi non ci arrivano, visto che ci può arrivare pure uno che studia economia per sport ? La spiegazione è presto data: l’euro ha fatto la fortuna dei tedeschi, la sua fine sarebbe una tragedia per i tedeschi. Fare la cosa più semplice, quella da Economics for Dummies, significa che il tedesco dovrebbe patire difficoltà a un anno dalle elezioni federali. La Germania, infatti, dovrebbe pagare per correggere le distorsioni che essa stessa ha creato. È la stessa cosa avvenuta in Grecia, dove i greci oggi pagano per i danni da sé stessi causati. Il risultato, in termini elettorali, è stata la polverizzazione dei due partiti maggiori e il caos politico.
In Germania accadrebbe la stessa cosa nel 2013, ma limitatamente ai democristiani e ai liberali che oggi governano, e senza caos politico, almeno per ora. Ed è ovvio che la Merkel non voglia rinunciare alla poltrona facendo la cosa giusta per l’Europa, ma non per la Germania (almeno nel breve periodo, mentre nel lungo farebbe la cosa giusta per entrambe, ma si vota fra un anno, quindi capite il dramma).
D’altro canto Berlino ha il coltello dalla parte del manico: i PIIGS hanno la loro bella dose di colpa. Sono stati spreconi, corrotti, ignoranti, eccetera. Ma una soluzione occorre pure trovarla. Voi direte: ma se questa è una crisi da manuale di economia, lì dentro ci sarà pure la soluzione. Certo che c’è, ed è pure semplice, però la Merkel e i suoi consiglieri economici vogliono serbatoi di birra pieni e gnocche ubriache fradice, senza sacrificare nulla entro i propri confini, sicché tenta di mantenere le status quo avanzando soluzioni complesse quanto pazzoidi come il Geuro, un euro tutto per la Grecia, un’altra trovata che vorrebbe salvare tutti senza sacrificare nessuno, il che è assurdo, visto che non esistono pasti gratuiti. Il Geuro sarebbe la dracma con un nome più brutto: è tutta scena, la Grecia resterà tecnicamente nell’euro, ma sostanzialmente ne sarà fuori, come il default di qualche settimana fa che secondo i parrucconi tecnicamente non era un default, ma che per il resto del mondo (e la logica) lo era, eccome. Sicché questa genialata non salverebbe l’euro, checché ne dicano loro.
La soluzione, in breve, è pensare all’Europa, perché siamo tutti sulla stessa barca. Serve una politica monetaria che sia valida (in media) per tutti i Paesi della zona, e non solo per la Germania (la Fed, quando decide i tassi, bada all’economia nel complesso o pensa solo al Texas o alla California?); serve una politica economica che favorisca la crescita, ma per averla servono soldi, e questi ultimi ce li ha solo la Germania (negli USA ci prova il governo federale a riequilibrare le cose, per quanto possibile, e gli Stati che non ce la fanno vengono lasciati fallire per ripartire da zero, mantenendo il dollaro). Ci fosse un government europeo (Juncker ha deciso di togliersi di mezzo proprio per protestare contro questo assurdo), forse la crisi l’avremmo già risolta da tempo. E invece…
E invece fino all’altro ieri abbiamo avuto Merkozy che andavano a braccetto con misure che servivano solo a comprare tempo e a non risolvere nulla, mentre i pagliacci (Berlusconi, premier greci ed altri) non avevano il prestigio necessario per tentare di cambiare le cose. Oggi qualche barlume di speranza c’è: la Spagna del nuovo premier Rajoy ha già cominciato a sottrarsi (parzialmente) al fiascal compact; in Francia il nuovo presidente Hollande si sta piazzando sulla stessa linea; in Grecia alle prossime elezioni il partito di maggioranza relativa dovrebbe essere quello della sinistra radicale ma filoeuropeista e anti-fiascal compact; in Italia al più tardi nel 2013 dovrebbe accadere qualcosa di simile, ma già oggi Monti cerca cautamente (troppo cautamente) di muoversi nella direzione già tracciata.
Il problema è che probabilmente, in mancanza di government, servirà ancora un anno prima che la governance europea cambi direzione. E questo ci porta alla domanda fatidica: l’Europa riuscirà a resistere un altro anno?
Spero di sì, perché il contrario sarebbe una tragedia di proporzioni enormi per l’intera economia mondiale. Ma temo di no. E gli investitori di mezzo mondo che continuano a portare soldi in Germania sembrano della stessa idea. E le aspettative, molto spesso, sono profezie che si autoavverano, a meno che un’autorità forte non intervenga in senso contrario. Ma questa autorità, in Europa, oggi non c’è.
Oggi abbiamo Herman “Damp Rag” van Rompuy che dice:
L’Unione Europea non diventerà mai gli Stati Uniti d’Europa
Genius.
Teniamoci forte.
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Va anche detto che prima di fare gli Stati Uniti d’Europa per necessità monetaria e non perché la gente li voglia è bene pensarci non una ma dieci volte.
Del resto l’hai detto tu: la Germania fa una politica nell’interesse dei Tedeschi e non degli Europei: noi in Italia sussidiamo il nostro mezzogiorno senza lamentarci più di tanto, perché, al netto del leghismo che c’è in ciascuno di noi, c’è un comune sentire nazionale. Che se non ci fosse, già ci sarebbe stata la secessione.
Dubito però che la Mitteleuropa abbia voglia di fare lo stesso col Club Med. E dubito che i paesi del Club Med vogliano rinunciare alla loro indipendenza in cambio di soldi.
Che io sappia, la maggioranza degli italiani è ancora favorevole all’Europa (almeno a dicembre era così, non ho saputo di novità a riguardo, se le hai, ben venga); ma, per dire, lo è pure la maggioranza dei greci, se SYRIZA (filoeuropeista, va ribadito) rischia di diventare primo partito, e che, insieme a Pasok, ND, DIMAR, i partiti europeisti sono ancora la maggioranza.
L’idea di Europa unita è ancora forte fra i cittadini europei (paradossalmente quelli che si lamentano di più pare siano tedeschi e finlandesi, che più ne hanno beneficiato), il problema è che quell’idea è, appunto, solo un’idea. L’Europa reale è un’accozzaglia di governi che pensa solo al proprio Paese, al proprio orticello, mentre l’economia europea, per come è integrata, necessita di un governo forte.
In assenza di questo, è pure normale che ognuno pensi per sé, ma ciò non toglie che l’Europa è oggi troppo integrata perché ogni Paese pensi solo a sé stesso. Questa è la chiave di lettura per uscire dalla crisi.
Per sposarsi occorre essere in due a volerlo. Non dubito che gli Italiani lo vogliano, ma osservo che in oltre cinquant’anni l’unione politica non è stata né fatta e né proposta da nessuno stato, nonostante che al referendum consultivo l’88% degli Italiani abbia chiesto di dare poteri costituenti al parlamento europeo.
Poi anche l’europeismo degli Italiani va letto cum grano salis: esso, più che un sentirsi europei, è anche un desiderio di unirsi alle nazioni ricche ed efficienti dell’Europa per averne vantaggi.
L’Euro è stato fatto un po’ per calcolo politico un po’ per idealismo. Se alla gente fosse stato detto che avrebbe portato un decennio di stagnazione, bolle immobiliari e stati che rischiano di fallire, anche gli Italiani, euroentusiasti a prescindere, ci avrebbero pensato due volte prima di aderire.