Grazie a quel rompiscatole di Stefano, ho passato parte della domenica a discutere di vari argomenti economici su Facebook. Ne sono risultate alcune tendenze che mi hanno reso più chiaro i motivi per i quali una discussione in materia economica è sempre difficile da tenere su un binario concreto. Avevo già affrontato in precedenza situazioni simili, ma non in modo così intenso da porre in evidenza un paio di gravi problemi che rendono estremamente difficile parlare di economia.
Fra le cose che ho avuto modo di notare, in primo luogo, è che la povertà intellettuale pare essere endemica in questo Paese. Anche in ambiti accademici diversi sembra esserci una chiusura mentale sia in senso orizzontale (ovvero all’interno della stessa materia) sia in senso verticale (ovvero fra materie differenti: Andrea, per esempio, mi riporta che gli studenti di Scienze Politiche vengono malamente considerati dai colleghi di ateneo impegnati in altri campi).
A causa della vulgata politico-giornalistica, gli economisti vengono sovente additati come ciarlatani, perché “voi non avete previsto la crisi”. Questo, innanzitutto, non è vero: ci sono molti economisti che questa crisi l’hanno vista da lontano. Uno di essi, Nouriel Roubini, si è così guadagnato i soprannomi di Dr. Doom e Permabear, perché è sempre piuttosto pessimista. Per la cronaca è un bocconiano, particolare che ci servirà fra poche righe. In secondo luogo, gli economisti, sapendo che l’economia è una scienza sociale, preferiscono ragionare in termini di probabilità, rischio, incertezza. La sintesi giornalistica, poi, riporta le opinioni spacciandole per certezze “Forse il Brasile subirà un rallentamento nel 2013” sui giornali diventa “Il Brasile verso il fallimento nel 2013”. Infine intervengono esimi contabili spacciati per ministri dell’Economia, che completano il cerchio dicendo che “gli economisti sono ciavlatani”.
Personalmente ho potuto notare una simpatica situazione: ogni volta che ho espresso la mia opinione, in almeno uno dei commenti di risposta c’era una frase che intendeva dire “Bocconi mer*a”. Volendo ridurre la tassonomia degli insulti (ed escludendo le minacce di morte che pure ho ricevuto in quanto laureato in Bocconi – altri economisti hanno avuto minore fortuna, e sono stati conditi a calci e pomodori), posso notare due specie di attacchi personali: la prima ritiene che gli studenti della Bocconi vengano sottoposti a un lavaggio del cervello; la seconda è che essendo bocconiano tu sei per forza un neoliberista-merkeliano affamatore del popolo e servo delle banche.
Si tratta di due miti facilmente smentibili dall’evidenza: a me, per esempio, i neoliberisti stanno di traverso, e non ho mai avuto timore di esprimere la mia antipatia per certi loschi figuri del passato e del presente, come pure non ho lesinato critiche al “mio” presidente, Mario Monti. In secondo luogo, i bocconiani non sono fatti con lo stampino. Come penso un po’ ovunque, da via Sarfatti 25 vengono fuori esperti veri, teste di patata marcia e varia umanità: basti pensare alla polemica fra Monti e Fassina, quest’ultimo esponente della sinistra PD e bocconiano.
“Bocconi mer*a” fa comunque presa per via di quei luoghi comuni: le mie opinioni vengono solitamente bypassate, poiché il mio titolo di studio le renderebbe automaticamente erronee. Non importa se dico che di giorno il sole illumina mezzo pianeta più che di notte: “Bocconi mer*a” e tanti saluti.
C’è poi l’eterno barocchismo tipico delle discussioni accademiche: l’italiano DEVE essere ampolloso, perché serve a darti un’aura intellettuale, e, se sei particolarmente bravo coi congiuntivi, ti fa raggiungere il livello di Super Saiyan di secondo livello. C’era questo signoraggista (lo chiameremo Peter Barnaut-McLaren, giurista), il quale, rispondendo alle mie risate circa il complotto sul signoraggio, mi risponde con una frase fatta in latino: “Risus abundat in ore stultorum”. L’uso di brocardi latini è particolarmente diffuso quando si vuole intimidire l’avversario senza rischiare di esporsi dicendo cavolate (quali? Ci arriviamo nella prossima pagina): come dire “io so il latino, il mio livello di cultura è sopra i 9000, e comunque Bocconi mer*a”. Peccato che io il latino lo conosco abbastanza da potergli rispondere in tale lingua, e senza usare frasi fatte. Non so se ha capito cosa ho scritto, ma il fatto che il suo tentativo di intimidirmi gli si sia ritorto contro sicuramente lo ha fatto incazzare. Ma non demordere dal difendere una tesi ridicola.
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