Nell’ultima settimana i mercati europei hanno segnato un forte rialzo che ha riportato i prezzi nella vasta area di congestione che li racchiude da mesi. Il motivo, oltre a un lieve miglioramento dei fondamentali economici (ma non in Italia), risiede anche in ragioni tecniche e alla settimana tranquilla dovuta a una Wall Street a mezzo servizio per la festività del Ringraziamento. I mercati, inoltre, non hanno mostrato scossoni riguardo i falliti negoziati sul bilancio europeo, segno che si aspettavano un nulla di fatto.
Maggiore preoccupazione destano invece i negoziati sulla Grecia. Il Fondo Monetario Internazionale appare profondamente intenzionato ad andare a vedere il bluff della Germania: il FMI non ritiene il debito pubblico greco sostenibile (non lo è, e da molti mesi), e per questo potrebbe decidere di non erogare più aiuti. La Germania, invece, vorrebbe continuare l’agonia di un’austerità controproducente fino a settembre prossimo, in seguito alle elezioni federali, quando l’establishment non dovrà giustificare agli elettori la (ormai inevitabile) perdita sugli aiuti alla Grecia.
Le soluzioni proposte sono le solite: taglio degli interessi, allungamento delle scadenze, riduzione del debito pubblico ex lege (haircut), in tutti i casi si tratterebbe di default, con perdite da iscriversi nei bilanci dei governi e delle istituzioni europee (banche e altri privati hanno già avuto la loro quota di default qualche mese fa).
Appare assurdo che un problema minuscolo, come la Grecia era nel 2010, sia diventato potenzialmente letale, ma la cura proposta aveva questo inevitabile esito. Si doveva punire la Grecia, non distruggerla insensatamente a fini elettorali (oltre che economici, si veda come i tagli non abbiano colpito gli armamenti della Grecia, a beneficio di aziende europee e tedesche). Adesso i Paesi europei si trovano nella “spiacevole” situazione in cui se fanno la cosa giusta, perderanno un po’ di soldi; se fanno qualsiasi altra cosa, perderanno ogni singolo centesimo di soldi pubblici versati al governo greco. Questa è la nostra punizione per l’inerzia dei nostri governanti: possiamo solo sperare che questa non distruggerà anche noi.
E passiamo all’agenda macroeconomica della prossima settimana, attesa relativamente tranquilla. Lunedì si segnala solo l’uscita dell‘indice della fiducia dei consumatori italiani, che non dovrebbe segnare variazioni rispetto alla debolissima rilevazione precedente. Martedì, invece, occhi sul PIL della Gran Bretagna, che dovrebbe risultare fermo anno su anno e in aumento dell’1% su base trimestrale. Nel pomeriggio il dato più importante sarà quello degli ordini di beni durevoli USA, che daranno un’idea del livello di attività dell’industria a stelle e strisce. Il dato, tuttavia, non è atteso in positivo.
Mercoledì il dato sull’indice dei prezzi al consumo tedesco dovrebbe raffreddare i timori della Germania circa fiammate inflazionistiche: la corsa dei prezzi dovrebbe infatti rallentare, e il dato annualizzato scendere al di sotto del 2%. Negli USA si attende il dato sulla vendita di nuove abitazioni, che dovrebbe segnalare un mercato immobiliare ancora in stagnazione. In mattinata prevista pure un’asta di BOT italiani a 6 mesi.
Giovedì sarà invece mattinata di aste a medio-lungo termine, poiché andranno in vendita BTP a 5 e 10 anni. La Germania rilascerà il tasso di disoccupazione, atteso al 6,9%, stabile. Venerdì, invece, sarà la volta dei tassi di disoccupazione italiano ed europeo: il primo è atteso ancora in rialzo, a sfiorare l’11%, mentre il secondo dovrebbe toccare quota 11,7%.
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