La crisi è finita (per chi ci crede)

Negli ultimi giorni le borse americane hanno toccato livelli che non vedevano dal 2007-2008 (il Nasdaq, l’indice tecnologico, dal 2001). Il 2008, ricorderete, è l’anno in cui molte industrie (come quella dell’auto) finirono sull’orlo del collasso, moltissime persone persero il lavoro, il sistema finanziario, terrorizzato dal crac Lehman, aveva smesso di pompare credito nell’economia. Erano gli anni più cupi della crisi, quando sembrava il mondo dovesse finire di lì a poco.

Qualcuno si è azzardato a dire che questo fatto, queste borse ben sopra i livelli precedenti la crisi, deve essere visto come un segnale che la crisi è finita. In realtà le cose stanno un po’ diversamente.

Bisogna ricordare che le borse possono aiutare a prevedere il futuro, finché non possono più. Oggi non possono più, perché sono molto drogate dai soldi buttati dagli elicotteri di molte banche centrali. Basti infatti guardare indicatori che poco spesso vengono messi in evidenza nel loro quadro generale. Se si guarda la disoccupazione americana, scopriamo che, nonostante siano stati riguadagnati molti posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è ancora ben al di sopra dei livelli pre-crisi (così a occhio ci sono tre milioni e rotti di persone ancora a spasso, e si consideri che 2,6 milioni di posti furono persi nel solo 2008). E fin quando questi disoccupati non riavranno un lavoro, con quale faccia si potrà parlare di ripresa?

Altri indicatori, più esotici, confermano che non si può parlare con sicurezza di “ripresa”. Per esempio l’indice Russell 2000 non mostra altrettanta forza rispetto ai suoi fratelli maggiori, lo S&P 500, il Nasdaq, il Dow Jones. Come mai questo indice delle imprese a piccola capitalizzazione è in affanno? È una domanda in cerca di risposta, considerando che in passato questo indice ha in qualche modo “previsto” l’andamento degli altri.

Si può poi parlare del pericolo cinese, visto che, a quanto pare, il giocattolo si sta rompendo, che servono riforme che liberino le forze del mercato che fanno abbastanza pressione sulla Muraglia da far rischiare gravi problemi al dragone (che cresce tanto, ma non abbastanza per continuare a farlo senza problemi).

E ancora: come mai l’indice principale tedesco, il DAX, nonostante sia sopra i livelli pre-Lehman Brothers, continua a stare sotto i massimi del 2011, mentre quelle americane li hanno risuperati? E poi, perché l’indice italiano FTSE-MIB, è sotto del 60% rispetto ai livelli precedenti al default Lehman? (A voler sottilizzare, nel 2007 sfiorò i 45mila punti, oggi è poco sotto i 17mila). Sono divergenze che vanno studiate, capite, perché così a occhio non promettono nulla di buono per l’Europa.

E possiamo parlare di tensioni mediorientali, di prezzo del petrolio che rischia di stroncare la “ripresa”, di politica americana bloccata fino alle elezioni di novembre, di un bund tedesco che resta a livelli bassissimi… uff.

Si può parlare di ripresa in queste condizioni? La risposta è no. I mercati salgono per una, ed una sola ragione. Sono drogati, e l’effetto ripresa è dovuto a due fattori non alternativi: uno, come detto, è la grana fresca arrivata dalle banche centrali.

La seconda è la speranza, speranza che il tempo comprato con la grana di cui sopra porti effettivamente a riforme, a tagli dei debiti, eccetera. Si compra ora, a prezzi bassi, sperando che domani vada effettivamente meglio.

Ma è appunto una speranza. La magia può rompersi da un momento all’altro; l’ottimismo non deve essere fine a sé stesso, non può significare essere spericolati. Basta un dato macroeconomico non troppo bello, o compromessi al ribasso in politica, o un Portogallo che s’inclina e cade, e si va di nuovo giù. I grafici che abbelliscono giornali e tv dicono (a chi riesce a leggerli e non si limita all’articolo o alla voce dell’anchor) che c’è ancora molta paura in giro.

Il problema dell’ottimismo è che rilassa, specie chi non è in grado di leggere ogni giorni i tantissimi segnali che il mondo ci manda. Il mondo ci segnala che le cose non vanno ancora bene, per questo non è il momento per rilassarsi, né di smettere di tenere d’occhio quelli che devono approvare le riforme, i tagli dei debiti e tutto il resto. Non va dimenticato che la crisi economica del 2007-2008 e poi 2010-2012, ha le sue radici nella politica, non nei complotti plutonemartegiove di cui in troppi vaneggiano. Le banche hanno avuto sì responsabilità, ma tutto è cominciato quando la politica ha cominciato a dire “fate un po’ come vi pare”, il che ha significato (si veda questo, giusto per dare una nota di colore) buttare a mare la lezione della Grande Depressione (solo per parlare della sponda ovest dell’Atlantico, ché in Europa siamo mica messi meglio).

Insomma, se volete, la crisi è finita. Ma sinceramente spero non lo vogliate.

Photo credits | Futurama by David X. Cohen and Matt Groening

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2 Comments

  1. 1) Le differenze tra gli indici dipendono  dal peso di titoli bancari e finanziari. In soldoni: nel Nasdaq i finanziari sono quasi assenti, ecco perchè l’indice va così forte. Date un’occhiata al paniere del FTSE Mib e capite perchè l’indice è sotto del 60% (e non del 40%) rispetto al 2007.
    2) Le borse non prevedono il futuro, investono sugli utili attesi. Poi c’è l’aspetto psicologico ( il cosidetto sentiment) che può portare a momenti di sopra-sotto valutazione
    3) Per chi ancora crede che i lavoratori tedeschi stanno meglio perchè sono più bravi di noi e guadagnano il doppio eccovi serviti. La Germania non è la Volkswagen. Ora capite come fanno ad avere un ‘inflazione sempre un tantino più bassa della nostra? Ora capite perchè di fronte alle cure Monti non hanno alcuna difficoltà ad alzare ulteriormente il livello dell’asticella? Ora capite cosa
    sono le “riforme strutturali alla tedesca”?

    Aaaahhh, l’ €, che grande invenzione!

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/15/germania-boom-lavoratori-sottopagati-ancori-forti-differenze-ovest/197514/

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