[Economics for dummies] Del BTP-Day, ovvero di come (non) si deve investire

Ieri c’è stato il BTP-Day, o meglio la prima delle due giornate in cui si possono comprare titoli di Stato italiani senza pagare commissioni alle banche, in particolare la giornata di ieri era dedicata all’acquisto di titoli sul mercato secondario.

Stando ai giornali, l’edizione è stata un successo: grandi volumi di scambi (2,7 miliardi di titoli sono passati di mano) con una media titoli molto bassa, segno che hanno partecipato molti investitori retail, cioè i piccoli risparmiatori. Un successo quindi? Ma neanche per idea.

Punto primo: il volume scambiato è pari allo 0,1qualcosa% del debito pubblico italiano. Un niente. C’è chi s’è azzardato a dire che gli italiani dimostrano la fiducia nel proprio Paese acquistando i propri titoli di Stato, ma non abbiamo dati circa il fatto che non si sia trattato semplicemente di una partita di giro interna, anzi da quel che posso vedere le banche italiane hanno probabilmente venduto i propri BOT e BTP “velenosi” ad altri clienti italiani. Fine della favola “Ci siamo ricomprati il debito”.

Punto secondo, il più importante: ieri un amico cui fornisco spesso la mia consulenza mi ha detto che aveva intenzione di investire pesantemente in titoli italiani, sbilanciando completamente il suo portafogli; stessa cosa giorni addietro aveva detto mio padre, il cui portafogli è composto solo da liquidità e qualche buono postale. In entrambi i casi gli ho intimato di non farlo così, senza ragionare: ogni investimento va fatto in un’ottica di finanza personale globale, basandosi non solo sulle proprie disponibilità e bisogni attuali e prevedibili, ma anche e soprattutto in base a quelli futuri e meno prevedibili e tenendo bene in considerazione il worst case scenario. Perché ciò è importante lo vediamo fra un attimo.

Io non credo che lo Stato italiano fallirà nei prossimi mesi o nei prossimi anni, per cui comprare titoli di Stato, con rendimenti così alti, è una bella scommessa. Ma non si possono mettere le uova nello stesso paniere, perché se qualcosa va storto è una tragedia.

Se si riescono a portare i titoli acquistati a scadenza, non c’è dubbio che l’investitore abbia fatto un affare. Ma se ciò non è possibile e siamo costretti a venderli prima? Facciamo qualche esempio.

Immaginiamo di avere investito gran parte delle nostre finanze in BOT a 1 anno, niente di particolarmente rischioso: diciamo che su un conto in banca di 20000 euro, ne mettiamo 15000 su questi BOT. Cosa può succedere fra il 29 novembre del 2011 e il 29 novembre del 2012 (vabbé, un po’ prima)? Tante cose:

  • a causa di un incidente stradale ho bisogno di una nuova auto per andare al lavoro, ma per le solite questioni burocratiche l’assicurazione tarda a pagare, e devo comprarmela da me;
  • le tubature di casa scoppiano e devo rifarle;
  • un mio amico o conoscente finisce nei guai per colpa della crisi e mi chiede un prestito;
  • io stesso vengo licenziato perché la mia azienda chiude dall’oggi al domani;
  • il figlio neanche diciottenne mette incinta la ragazza (o la figlia si fa mettere incinta) e mi tocca pagare matrimonio, banchetto nuziale, viaggio di nozze, la casa in cui questi devono andare ad abitare, la roba per il bambino, gli avvocati per il loro probabile divorzio;
  • [continua]

Insomma per qualche motivo mi servono cash, quattrini, contanti, sghei e sono costretto a disinvestire dai miei BOT prima della scadenza: facciamo che mi servono 10000 euro, 5000 ce li ho, devo disinvestire altri 5. Se la turbolenza non è finita (e non credo finirà presto), il prezzo dei BOT potrebbe essere sceso, per cui sarò costretto ad accusare una perdita, così l’investimento sicuro si rivela essere una trappola: pagate le fatture, mi ritrovo con un conto corrente a zero e un conto titoli a prezzi di mercato diciamo a 9500 euro. Non una bellissima situazione, diciamo.

Peggio ancora potrebbe andare a chi ha investito sul titolo a 2 anni, a 5 anni e a 10 anni, perché gli imprevisti di cui sopra potrebbero avvenire su due, cinque o dieci anni, e mi pare pacifico, maggiore è il tempo, maggiore è il rischio. Ancora, qualche esempio:

  • statistica immaginaria: le tubature si rompono una volta ogni dieci anni. Essendo nuove la probabilità che si rompano nel 2012 è inferiore al 10%; la probabilità che invece si rompano prima del 2022 è molto più vicina alla certezza;
  • oggi il figlio di cui sopra è un bellissimo bambino di 12 anni che guarda le bambine con pudica curiosità: fra cinque anni sarà un diciassettenne in piena tempesta ormonale sufficientemente rincoglionito da non riuscire a distinguere l’amore da un calesse;
  • eccetera.

Mi rendo conto che non è tanto bello ragionare così, ma è così che si fanno gli investimenti, e molte persone non ci pensano, essendo normali esseri umani (come tutti noi siamo) finiscono preda delle emozioni. Qualche aneddoto: il padre dell’amico di cui sopra quasi si rovinò durante il boom e il burst della new economy perché finì in preda all’avidità e invece di vendere i titoli che aveva e trarre profitto, continuò a comprarne; un altro amico, qualche anno fa, comprò Apple a 150 e nei mesi successivi non andò in perdita neanche mezzo minuto. Durante il flash crash il titolo scese a 200, rimbalzando subito dopo; il mio amico si mise paura e vendette tutto, senza alcuna ragione se non l’emozione: pochi mesi dopo il titolo era a 300, un mese fa era a 420. Mai e dico mai sarebbe andato in perdita.

Infine l’aneddoto meno divertente ma più interessante.

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