Il 1978 è l’anno delle Brigate Rosse. Un attimo di riepilogo: stiamo assistendo in questi anni al compromesso storico, ovvero un’opera di avvicinamento fra le forze politiche che scrissero la Costituzione, comunisti compresi, per dare il via ad una grande stagione di riforme. Questa, almeno, è la motivazione di facciata: per altri il compromesso storico sarà soltanto un mezzo per togliere dalla circolazione (anche fisicamente) i propri nemici politici. Per i terroristi, invece, è un modo per approfittare della delusione delle teste più calde per tentare di assestare grandi colpi allo Stato, confidando in coloro i quali ancora credono nella rivoluzione comunista in Italia. Per altri ancora, infine, il compromesso storico può rivelarsi la chiave per riportare l’ordine (sottinteso: fascista) che da anni si cerca di ristabilire.
Crisi al buio. Il 16 gennaio Andreotti si dimette dalla carica di presidente del Consiglio dei Ministri: ricorderete che il governo si reggeva sulla non sfiducia degli altri partiti. Ebbene, questa non sfiducia viene meno poiché le proteste di piazza sottolineano l’inefficacia dell’azione governativa. Il capo dello Stato, Giovanni Leone, riaffida l’incarico di formare il governo allo stesso Andreotti, ma le trattative fra i partiti saranno molto lunghe, poiché quasi tutti i partiti e parte della DC vogliono un coinvolgimento del PCI nella maggioranza parlamentare, ma Andreotti, nella conferenza stampa di fine anno ha ribadito che un’eventuale alleanza con il PCI dovrà essere prima valutata dall’elettorato. Così che il 18 gennaio si apre il momento più difficile della storia repubblicana. La svolta arriva quando Berlinguer ammorbidisce le proprie posizioni e parla di una partecipazione alla maggioranza da una posizione “contrattata, riconosciuta, esplicita”. È il 27 gennaio: le trattative dureranno fino all’8 marzo, quando DC, PCI, PSI e PSDI troveranno un accordo sul programma di governo (il PLI va all’opposizione). Il PCI entra nella maggioranza, Aldo Moro lavora dietro le quinte per domare le resistenze nella DC, sventolando il timore che, se si andasse ad elezioni, i comunisti vincerebbero.
Terroristi scatenati. Il 4 gennaio viene ucciso dagli “Operai armati per il comunismo” un capo sorvegliante della FIAT di Cassino, Carmine De Rosa. Il 7 gennaio c’è la strage di Acca Larenzia, in cui due giovani missini vengono uccisi da una mitraglietta tipica delle BR, un terzo viene ucciso dai carabinieri in un successivo scontro a fuoco: la strage non ha ancora un colpevole. Il 10 le BR inviano proiettili alla FIAT. Il 14 febbraio è la volta di Riccardo Palma, magistrato, il 10 marzo le BR commettono l’omicidio di Rosario Berardi, maresciallo.
Il sequestro. In questo clima avviene l’ultima vittoria di Aldo Moro: l’11 marzo Andreotti forma il suo quarto governo, monocolore DC con l’appoggio di PCI, PSI, PSDI e PRI. Manca solo il voto, cui Moro non parteciperà, poiché il 16 marzo, giorno in cui doveva iniziare il dibattito sulla fiducia, egli viene rapito in un agguato in via Mario Fani a Roma, gli uomini della sua scorta vengono trucidati (Moro viene anche colpito ad una coscia, e verrà malamente curato nei 55 giorni di prigionia). La risposta della società civile arriva immediatamente, con manifestazioni spontanee contro il terrorismo. Il giorno successivo il rapimento e la strage vengono rivendicati dalle BR, che non pongono condizioni per il rilascio, ma che, secondo il copione, arriveranno in seguito, in particolare la richiesta di liberare dei detenuti (si stava svolgendo il processo contro Renato Curcio e altri). Quasi tutti i giornali escono con un monito nei confronti della politica: con i terroristi non si tratta. Camera e Senato, intanto, riunitesi in emergenza, votano la fiducia al governo Andreotti: fra di essi c’è anche il PCI.
La risposta. La macchina delle ricerche si muove, ma senza esito. Arriva anche l’esercito, si ventila l’ipotesi di un decreto legge che aumenti i poteri della polizia, ma i partiti intuiscono la pericolosità di un tale provvedimento e lo rifiutano. Il 19 marzo arriva la prima foto di Moro in mano alle BR. Il 21 marzo governo vara le leggi speciali antiterrorismo, con l’appoggio di tutti i partiti di maggioranza (alcune misure prese allora non ci hanno ancora abbandonati). Il 24 Cossiga diviene responsabile politico per meglio coordinare la risposta della Stato. Avete già capito che la risposta dello Stato non sarà chiara, se non nelle parole. Intanto si tiene il congresso del PSI, partito che vuole e cerca la trattativa con i terroristi: vince Craxi, la cui linea metterà presto in crisi l’accordo di solidarietà nazionale, e aprirà una nuova fase della politica italiana.
Il processo. Le BR, intanto, affermano di volere processare Aldo Moro, con accuse deliranti. Moro verrà sottoposto a chissà quali assurdi interrogatori in quella che non è altro che una farsa: il presidente della DC è già condannato a morte, l’obiettivo delle BR è solo potere guardare in faccia lo Stato. Infatti il 16 aprile, con l’ennesimo comunicato, comunicano la condanna a morte in nome della giustizia proletaria.
La trattativa o no. Il 20 aprile le BR annunciano le condizioni per trattare il rilascio di Moro. Chiedono se la politica è disposta a venire ad un tavolo, ed esigono una risposta entro due giorni: troppo pochi per una politica che da più di un mese si sta chiedendo se è giusto piegare lo Stato per salvare quello che è un suo servitore. La DC, però, si muove con una rapidità sorprendente: il giorno successivo arriva la risposta, ed è un unanime NO alla trattativa. Moro scrive dunque ai suoi colleghi di partito, chiedendo loro se vogliono davvero ritrovarsi le mani sporche del suo sangue per una “ragion di Stato”, ma la DC rifiuta ogni margine di trattativa, anche quando le BR, in cambio di Moro, chiedono il rilascio di un brigatista a caso, chiunque sia, anche il più piccolo, pur di trattare alla pari con lo Stato. La linea della fermezza prevale, perché il Paese, ancora sporco del sangue versato anche dalle BR, forse non avrebbe capito.
L’omicidio. A nulla valgono gli appelli rivolti ai terroristi anche da papa Paolo VI, come a niente valgono le pressioni fatte dai terroristi sulla famiglia, affinché essa premesse perché lo Stato s’inginocchiasse. Il 9 maggio 1978 Moro viene caricato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa e qui crivellato di colpi da almeno un brigatista, Mario Moretti. L’auto verrà abbandonata in via Caetani, a metà strada fra la sede della DC e quella del PCI, dove verrà ritrovata a seguito di una segnalazione telefonica (riportata nell’audio allegato) delle stesse Brigate Rosse.
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