Pietre miliari (preventive) del giornalismo italiano

Tombstone of Joseph McCarthy from rightIn questi minuti (se i post programmati funzionano ancora) stanno uscendo i primi risultati per le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti. Domani (oggi) i giornali, specialmente da destra (ma non scherzeranno neanche a sinistra), a meno di sorprese, parleranno di grande vittoria dei repubblicani e di disastro per il presidente Barack Obama. Tanto per rimanere in tema di scemenze, il nostro Frattini Dry ha detto di non sperare in un ribaltone… come possa esservi un ribaltone attraverso le elezioni (( Un ribaltone, per definizione, avviene dopo le elezioni: se avviene con le elezioni si chiama alternanza, cosa sempre auspicabile. )) resta un mistero. Insomma, si prospetta una bella sagra delle cretinate.

Chiaramente parlano a vanvera: le elezioni presidenziali e quelle di metà mandato sono profondamente diverse perché hanno enorme rilievo questioni locali in cui il presidente non c’entra nulla. Si pensa all’italiana nonostante queste elezioni siano tutto fuorché all’italiana.

Basti pensare che queste elezioni saranno paragonabili a quelle del 1994, quando con una grande vittoria il GOP si riprese la Camera dopo quarant’anni. Ebbene, Clinton era stato eletto due anni prima (come Obama), sarà rieletto due anni dopo e sarà uno dei presidenti più amati della storia (soprattutto perché ha riempito di vagonate di quattrini gli americani).

Questo non significa che sarà lo stesso per Obama: semplicemente, se leggerete fine, disastro, delusione Obama, sappiate che state leggendo un articolo che vale quanto la carta igienica monovelo scritta da un giornalaio che non ha ben compreso come funzionano le cose oltreoceano. È comprensibile: dopotutto siamo abituati da sempre a elezioni che sono viste come un test per i partiti al potere, per vedere chi ce l’ha più lungo, e fino a pochi anni fa le elezioni regionali erano sostanzialmente poco significative se non, appunto, per misurare la forza dei partiti.

Ma negli USA non funziona così: ciò che conta negli Stati Uniti non sono i partiti (che sono solo macchine elettorali), bensì le persone, tutto il contrario dell’Italia, dove contano al massimo i leader del partito. (( E questo è un chiaro sintomo di deriva autoritaria, nulla a che fare con la democrazia americana, la meno imperfetta del mondo. ))

Obama sarà giudicato fra due anni, come tutti gli altri predecessori. Oggi si stanno giudicando deputati, senatori e governatori in scadenza e come essi hanno gestito le questioni su cui hanno potere, in particolare il territorio. La politica nazionale, anche per i bacini elettorali che si sono fatti coinvolgere da queste consultazione, c’entra poco (al massimo per tastare gli umori della società e calibrare meglio l’azione di governo: ah, respirate l’odore della democrazia, prima che svanisca con i Tea Party).

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