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Gesù Cristo è passato di moda, a Pasqua ricorderemo il ladrone crocifisso finito all’inferno

«La libertà equivale alla mia vita». Lo trovate scritto sulla tomba di un latitante ad Hammamet.

Insomma avrete sentito che si vuole santificare Bottino Craxi. Il processo di beatificazione si era già concluso l’anno scorso, di questi tempi, quando Canale 5, con uno speciale, lo proclamò beato (qui il mio articolo a riguardo). L’anno prossimo è il decennale della morte, si stanno preparando le celebrazioni, è prevista una cerimonia in Senato, alla presenza (forse) del capo dello Stato Giorgio Napolitano. A Milano Letizia Moratti, che si è ricordata di esserne il sindaco, ha proposto, forse ancora sotto l’effetto degli alcoolici natalizi, di intitolare a questo signore una via o un parco.

Ma che ha fatto di buono per lo Stato questo signore che tutti vogliono santificare? Qui trovate una bella biografia, io elenco alcuni dei suoi meriti:

Queste sono solo alcuni dei meriti di Craxi, fra i quali, per la parte che mi compete (me ne sono già indignato abbondantemente, appunto), il migliore è il fatto di avere utilizzato i soldi delle generazioni future (cioè noi che viviamo nel presente) per scopi clientelari, condannando l’Italia di oggi alla crisi. Per quanto mi riguarda, al minimo, è stato un politico inetto.

Ma uno, in particolare, è il più interessante: Craxi ha ammesso, in tribunale e in Parlamento, a telecamere accese, di essere un ladrone, di avere rubato i soldi degli italiani. I vostri soldi, i miei soldi, il mio futuro, il vostro futuro e quello dei vostri figli. Per i suoi propri interessi, per quello dei suoi amici ladroni e delle sue amichette (tipo Ania Pieroni).

Anche volendo dimenticare tutto questo, ci sono fatti incontrovertibili: non è che la magistratura politicizzata lo stava perseguitando, il poverino. Fu lui ad andare lì e a dire: «Sì, sono un gran ladrone e come me ce ne sono tanti altri in Parlamento». Lui, in questo modo, voleva avvisare i suoi compagni di ruberie, far varare, che so, un’amnistia. Ma gli altri 39 ladroni gli voltarono le spalle, usandolo (questo sì) come capro espiatorio di tutta Tangentopoli, mentre loro ne uscivano impuniti (e oggi lo celebrano, pensate un po’, amici traditori e ipocriti).

Visto che le cose si stavano mettendo male il caro Bottino decise di fare il grande passo: darsi alla latitanza di lusso ad Hammamet, in Tunisia.

Insomma, noi ci apprestiamo ad onorare la memoria di un tizio condannato con sentenza passata in giudicato per corruzione e finanziamento illecito (robetta, dieci anni di galera); e altri processi gli pendevano sul groppone, tutti destinati a finire male, a mio modesto avviso, essendo Bottino reo confesso, ma la morte lo salvò da ulteriori condanne.

Gli unici che hanno ragione ad onorarlo sono i vari ladroni che, a vario titolo, hanno prosperato grazie a lui, a cominciare da Silvio Berlusconi, che senza Craxi oggi starebbe lavando con la lingua i bagni in un autogrill e non le labbra delle escort sul lettone di Putin (e infatti Craxi si fece pagare caro da Berlusconi, ricordate il conto off-shore All Iberian).

La celebrazione di un latitante (che poi altro non sarà che autocelebrazione della Casta e richiesta di ulteriore impunità – a destra come a sinistra) sarebbe un po’ come se il presidente della Repubblica Totò Riina, insieme al presidente del Consiglio Provenzano, e ai presidenti di Camera e Senato Raffaele Cutolo e Sandokan celebrassero la memoria del bandito Giuliano (quel sant’uomo) e tutto il parlamento dei Casalesi ad applaudire.

Non è una questione politica: è una questione di onestà. Un italiano onesto non può accettare che lo Stato celebri un criminale reo confesso. Un po’ di dignità, per favore.

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